Le iene: amarsi oltre la morte

Quando scrivi un documentario cerchi di limitare al massimo le contaminazioni per riportare nel più fedele dei modi la realtà. Il servizio delle Iene Amarsi oltre la morte trasmesso il 19 febbraio non è un documentario, ma mi piace pensare che lo sia. Racconta l’amore scevro da ogni costruzione intromettendosi in una storia e aggiungendo qualcosa. La Iena è partita dal messaggio di una persona che, prossima al decesso, voleva che al suo compagno fossero riconosciuti i diritti equiparabili a quelli di due persone sposate. Quei minuti di interviste incrociate e di confessionali hanno toccato il cuore di parecchi italiani. Dimostrano soprattutto che, se una legge può essere sbagliata, anche l’assenza di una legge può essere sbagliata.

Il servizio accenna anche al contratto di convivenza, un palliativo che comunque offre almeno un primo grado di tutela. A monte di tutto però c’è la storia che ti sbatte in faccia una delle molte situazioni in essere quando due individui non sono legati in matrimonio. Badate che è del tutto marginale che qui siano raccontate due persone dello stesso sesso, una delle quali purtroppo viva ora solo nei ricordi di chi l’ha amata. Sfido chiunque, di qualsiasi credo religioso o visione politica, a non trovare negli sguardi dei due protagonisti un’ottima ragione a varare una legge la cui assenza continua a rimanere una grande ingiustizia. Il capo del governo aveva fatto delle promesse precise, il suo vice ha vietato però le trascrizioni dei matrimoni contratti all’estero, poi vedo in tv servizi come quello sopra. Mi manca davvero qualche pezzo per fare dell’Italia il paese che vorrei.

Questo articolo, pubblicato anche sull’Huffington Post, è dedicato a Walter ed Ema. Walter era di Monza, come chi scrive. Un motivo in più, ne servisse uno, per sentirlo vicino.

Le isole volanti di Avatar, con i kokedama il bosco in casa tua

Quando vidi Avatar la prima volta, più di tutto mi impressionarono le isole galleggianti. Nel favolone hollywoodiano, trama ed effetti non mi lasciarono a bocca aperta come l’idea delle bolle boscose sospese nel vuoto e dalle quali gocciolavano cascate. Pur in scala ridotta, mi ha fatto più o meno lo stesso effetto vedere in casa di un amica dei kokedama. Ignoranza mia, non li conoscevo. Sono delle appendici verdi, arbustive o floreali, che possono vivere appese a un filo o isolate su una superficie piana. Non ne scrivo per un rigurgito bricomaniaco, ma per passione del verde.

Amo gli alberi e non sono tra quelli che ritengono i bonsai una forzatura della natura. Penso anzi che, accudire uno o più di loro, sia un po’ come farsi un bosco proprio, solo in miniatura e in proporzioni domestiche. Un kokedama, mi hanno spiegato, è molto più facile da preparare e da accudire. Ha poi lo stesso effetto di abbellimento, portando atmosfere zen a un angolo di casa o di ufficio. A Milano esiste anche un corso che è tenuto in un negozio di biciclette. Non dite che è un caso, perché chi ama pedalare, apprezza i boschi. Provate a pensarci.

Siamo nel pieno dell’inverno, dunque ancora in anticipo per orti, giardini e pedalate fuori porta. Ma non abbastanza presto per dedicarci ad una pianta e ancora di più per conferirle un aspetto molto personale. Anticipo di primavera? Forse. Intanto mettere naso e occhi nel verde può perfino essere un ottimo antidepressivo. Lavorare con le piante riesce a creare piccoli miracoli, che in questo caso durano nel tempo lasciandoci cose belle. Proprio come una sana pedalata, sono piccoli effetti speciali quotidiani per i quali non serve Hollywood.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

A Genova per la Shoah con Bent

Sul Secolo XIX  e Repubblica, la prima del Bent di Sherman a Genova con il prologo de L’ultima onda del lago. La messa in scena della compagnia Cervelli in tempesta  è notevole e personalmente sono davvero  onorato per l’accostamento.

La serata ha aperto la rassegna Occhiali d’Oro, dedicata alla memoria delle persecuzioni omosessuali. Non ri ricorda mai abbastanza…

Mattarella e La Cava, le pagine di un presidente

Mattarella è un presidente che, a mio parere, è partito col piede giusto. Di lui stiamo leggendo un po’ di tutto e forse iniziamo ad averne le orecchie piene. Vorrei, però, concentrarmi solo per un attimo su un suo gesto perché, se il buongiorno si vede dal mattino, penso che da questa figura possiamo aspettarci molto. Un capo di Stato che comincia dalle Fosse Ardeatine non è solo un uomo che rende omaggio a un eccidio. E’ il segnale che proprio partendo dalla nostra storia bisogna guardare avanti. Non sono le Fosse in quanto tali, mai abbastanza ricordate, ma il gesto del visitarle come primo atto. Sostituiamo pure storia con cultura, tradizioni, eventi che ci hanno segnato, mettete quello che volete ma posso quasi sapere solo il minimo indispensabile di Mattarella per mettere il primo like. Il suo si chiama “rispetto”.

Mi viene in mente una frase di Marguerite Yourcenar:

Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito.

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Per quanto mi riguarda, l’essersi infilato in quella cavità maledetta fa di Mattarella uno che le pagine scritte, piacciano o non piacciano, le legge, le rispetta, le porta con sé. Vedo le Fosse Ardeatine come una biblioteca con 335 storie urlate e spezzate. Con la visita delle scorse ore, sono state raccolte, spolverate e ordinate su uno scaffale e ritornate ad essere davvero un monito contro l’inverno dello spirito.

Trovo un certo parallelismo con un altro uomo, affatto famoso, forse meno titolato, forse senza calcolo politico – non so se Mattarella ne abbia ma qui non mi interessa – forse che non ha subito quello che la vita ha già riservato al neo presidente. Sicuramente è uno che non conoscerà né i riflettori della cronaca, né i saloni pomposi di Roma. Si chiama Antonio La Cava e ha perfino una fan page di facebook che lo acclama presidente della Repubblica. Antonio è un maestro elementare che, dopo 42 anni di servizio, anziché godersi la pensione in santa pace, ha preso un apecar e lo ha trasformato in biblioteca ambulante. Avete letto bene. Gira con il suo biblioautocarro tra i paesini della Lucania a trasmettere la passione per i libri e le storie. 500 chilometri al mese sono davvero tanti e sono quelli che macina tra le piazze annunciandosi al suono di un organetto.

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Ecco, forse, la chiave di tutto. Passione. Grazie Sergio, Grazie Antonio, vecchie pagine e vecchie piazze vi aspettano per essere rinfrescate dal vostro rispetto. Son pronto a scommettere che non ci deluderete.

Post scriptum. Mentre sto per chiudere il pezzo, apprendo che oggi (domenica) il Presidente, quello che sta a Roma, ha scelto di spostarsi a piedi nel centro per rispettare il blocco del traffico come tutti gli altri cittadini. L’esempio scende dall’alto e io gli appioppo subito un altro like.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.