Il gusto di perdersi in un bosco

Peter Weir e il suo team ne l’Attimo Fuggente interpretato da Robin Williams scelsero una frase di Thoreau per portarci lontano.

Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto.

Settimana scorsa ho incrociato ad una conferenza stampa un collega che non vedevo da un po’. Convenevoli (pochi), commenti sulla serata (abbastanza) e a seguire suo elenco (lunghissimo) di dove stava lavorando e su quali canali era in onda. Alla domanda: “come stai?” la risposta è stata: “mediaticamente bene”. Sembra una pagina delle gag del milanese imbruttito, ma purtroppo per il soggetto – che a questo punto potreste davvero aver ammirato in tv per la sua gioia – è tutto vero.

Ho sperato che a un certo punto qualcuno gli schiacciasse un tasto di reset e me lo azzerasse. Così, tanto per creare un vuoto televisivo. Ho voglia di boschi (e di boscaioli e di boscaiole) non di primedonne che si sentono star dimenticando che essere famosi su facebook è come essere ricchi al monopoli.
Stando a leggere un bel pezzo apparso sul sito della Bbc, il “tipo mediatico” avrebbe bisogno di sentirsi insignificante. Se la scienza ci informa che spendere i soldi in viaggi fa bene, muoversi in luoghi maestosi che facciano sentire piccoli, ma davvero piccoli, praticamente insignificanti, ha dei benefici strepitosi.

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Un video aiuta ad entrare nello stato d’animo, ma basta un qualsiasi buon documentario.

Lo stupore che nasce dalla meraviglia e dalla sorpresa guardando paesaggi sconfinati rende persone migliori e tendenzialmente agevola la relazione con altri individui.

Ad affermarlo è Paul Piff della California University. L’esperimento applicato è stato quello di mostrare a due campioni di individui due video diversi, nella fattispecie un documentario della serie Planet Earth – la serie più prestigiosa di documentari sul nostro pianeta mai prodotta, con la voce di David Attenborough – e una commedia. Quindi si è chiesto ai due gruppi di impegnarsi in un gioco di società che prevedesse di impegnare denaro. Il primo gruppo, consapevole di sentirsi piccolo in proporzione alla meraviglia del mondo, non ha dato molta importanza al quattrino e si è dimostrato molto più leale nell’attenersi alle regole e mostrare empatia con l’avversario.

È il passaggio dal tolemaico al copernicano. Condivido la visione del collega della Bbc quando afferma di assistere al passaggio dal sentirsi il centro dell’universo alla consapevolezza di occupare un piccolo spazio nella polvere stellare. È appena uscito un libro che aiuta a calarsi in questa visione. In Ogni albero è un poeta, Tiziano Fratus coniuga competenza naturalistica e abilità letteraria nel viaggio attraverso gli alberi fino quasi a non dare più importanza a contare il tempo.

Quando mi lascio circondare dalle fronde dei primi alberi e seguo le linee rette di un sentiero che si inoltra in un bosco, penso al grande mistero del tempo. Ai secondi che scadono. A quell’io che ci lascia dietro a ogni passo, che nasce e muore e rinasce ogni ora consumata, ogni giorno che si va spegnendo. E alla malinconia, che ti fa andare e tornare. Vivere così in transito costante. Con l’aggravante della consapevolezza che ti raggiunge ai 40. Non ho mai capito se la malinconia nasca dalla mancanza dei fondamenti e se si sviluppi indipendentemente, così: come uno nasce alto e snello e col bioritmo accelerato tu invece nasci malinconico. Mi fermo. I piedi ben piantati negli scarponcini. Le suole bene affondate nella polvere dello sterrato. Le spalle dritte. Lo sguardo in avanti. Il torace che si solleva. Guardo le fronde smosse di una quercia. Ma esisteranno alberi malinconici?

E soprattutto, gli alberi che copertura mediatica avranno?

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.