Non buchiamo il referendum delle trivelle

Tra malinformazione e silenzi, domenica 17 ci sarà chiesto di dire la nostra al referendum sulle trivelle, ribattezzato No Triv.

Estremizzo le due posizioni che vi sarà capitato di sentire. La prima: se continuiamo a bucare, ci si sgonfia il pianeta sotto i piedi e sarà un gran casino con un disastro via l’altro tra maree nere, terremoti e torri in metallo all’orizzonte così brutte che neanche i gabbiani vorranno farci sopra la cacca. La seconda: se non buchiamo dovremo andare a piedi, avremo orde di disoccupati per le strade, diventeremo una specie di terzo mondo fuori dal terzo mondo.

Tra le due apocalissi che portano allo stesso risultato di sfiga eterna, va ben chiarito che se vincesse il Sì non si fermerebbero tutte le nuove trivellazioni. In realtà si chiede agli italiani di cancellare l’articolo che permette ricerche e estrazioni di gas e petrolio in mare entro le 12 miglia marine dalla costa. Nulla cambia per le attività a distanza superiore e per quelle sulla terraferma. Rimane inoltre il divieto di approvare nuove concessioni. Una vittoria del Sì porterebbe in circa vent’anni all’estinzione delle concessioni in essere, mentre la vittoria del No garantirebbe di fatto la possibilità di giungere all’esaurimento di ogni giacimento.

Precisato questo, vorrei però chiedervi pochi minuti di una domenica di primavera per dare un segnale. Se la stagione della fioritura e dei primi caldi non vi lascia insensibili, andate a votare. E votate Sì, possibilmente. Se vi piacciono prati e boschi, se pensate che una boccata d’aria fresca e un bicchiere di acqua limpida abbiano un valore, sarà una domenica per dirlo. Ci sono almeno 5 ragioni per farlo. Cinque significati in un solo Sì.

1 Diamo un segnale che l’attenzione all’ambiente c’è ed è diffusa
In molti sostengono che non sia un referendum importante, che gli italiani se ne fregheranno, che tutto sommato si parla di limitazioni minime e che si minacciano posti di lavoro. Dimostriamo il contrario, votando il Sì alle limitazioni che sarà un no secco alle correnti di corruzioni legate al petrolio, ai suoi rischi, al suo sviluppo. Obama tenne un suo discorso in una fabbrica di pala eoliche riconvertita da un impianto per la produzione di strutture petrolifere. Passate il messaggio ai nostri dirigenti e ai politici di plastica più esperti in riciclaggio proprio che non in quello dei rifiuti.

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2 Il petrolio è il passato
Nessun illuso sostiene che se ne possa fare a meno già oggi. Non è così e non lo sarà per un bel po’ ancora. Però siamo tra i primi paesi per utilizzo di rinnovabili. Facciamo capire che vogliamo puntare in direzione del futuro pulito. Scrivendo Sì scriveremo Sì anche alla riconversione e a puntare in modo più diretto verso il rinnovabile, che negli ultimi due anni segna in Italia una preoccupante frenata del tasso di crescita.

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3 Le trivelle non sono grandi opere per il turismo e l’ambiente
Il referendum tocca le trivelle all’interno delle acque territoriali, quelle più vicine alla costa e che sono una ferita alla integrità di un paesaggio dove il giacimento dovrebbe essere quello turistico e non quello fossile. C’è davvero qualcuno che pensa che una torre in metallo all’orizzonte aiuti a proporre il Bel Paese, anche se è comoda per i gabbiani che possono riposare al largo?

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4 Le trivelle rischiano di creare discariche
Se ne è già parlato e ci sono indagini in corso. Ribadito che fuori dalle acque territoriali si può fare poco, esprimere una eco-opinione sostenuta da molti cittadini è un segnale forte anche per le società coinvolte, che sarebbero costrette a prevedere un calo di profitto da un eventuale boicottaggio.

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5 Le piattaforme sono un rischio
Nessuna attività è senza rischi. Alcune sono però più a rischio di altre. Quelle legate all’attività estrattiva rimangono ben fissate nella memoria collettiva a distanza di anni. Per i vantaggi economici relativamente contenuti, potrebbe non valere la pena mettersi in gioco a pochi metri dalle spiagge. Il problema rimane per i nostri vicini – Croazia e Grecia su tutti – ma almeno la loro opinione pubblica avrebbe un segnale di quello che sta succedendo da noi. Credo nel contagio positivo delle buone azioni.

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Se siete scettici o volete diffondere il messaggio ma siete davanti a muri incerti, diffondete questa intervista di Mario Tozzi raccolta da Radio Popolare. Alla domanda se questo è un referendum tecnico, la risposta. Sì, lo è, come del resto lo sono tutti, ma il valore simbolico è forte. Significa che se vincessero i Sì finalmente il nostro paese si allineerebbe con quella che è l’unica posizione possibile oggi: l’abbandono dei combustibili fossili. Se noi abbiamo aderito all’accordo sul clima di Parigi, vuol dire che entro il 2050 dovremo tagliare le nostre emissioni inquinanti. E quando lo facciamo? Nel 2049? Non c’è tempo da perdere, devi cominciare adesso a investire sulle energie rinnovabili e su quelle incentrare tutta la strategia energetica del Paese.

Proprio perché non c’è tempo da perdere, andare a dire la nostra domenica 17 non sarà tempo perso. E’ anche questo un gesto per chi crede nella primavera.