Archivi tag: al gore

Il rimedio è nel male

In quale direzione sta andando l’ecologismo? Esprimono opinioni gli scienziati, i politici, i militanti, li ascoltano gente come chi scrive, che compie ogni giorno piccoli gesti senza clamore come preferire la bici all’auto e buttare il preziosissimo alluminio solo nei cassonetti dedicati.

Recentemente si è aggiunto in libreria il pensiero del filosofo. Guanda ha appena pubblicatoIl fanatismo dell’apocalisse di Pascal Bruckner. Il pensiero del “polemista” francese (la definizione arriva dal risvolto di copertina) si riassume in una frase dell’epilogo:l’ambientalismo catastrofista è una catastrofe per l’ambiente. La sua posizione sintetizzata in poche righe stralciate dalle pagine:

Se nel prossimo secolo si dovrà sviluppare una generosa tutela dell’ambiente, sarà in funzione dell’uomo e della natura nella loro interazione reciproca, non come avvocato ventriloquo di un’entità chiamata terra. Gli amici della terra sono stati troppo a lungo nemici dell’umanità: è ora che l’ambientalismo dell’ammirazione prenda il posto dell’ambientalismo dell’accusa. Potremmo essere all’alba di un rinnovamento senza precedenti dell’architettura, dell’industria, dell’agricoltura. Ogni nuova invenzione deve fare colpo sul desiderio umano, generare stupore, sorpresa, condurre popoli in un viaggio inedito. È una porta stretta (Luca 13, 24) ma è la porta della salvezza. Se nel prossimo secolo si dovrà sviluppare una generosa tutela dell’ambiente, sarà in funzione dell’uomo, della natura, nella loro interazione reciproca e non come avvocato ventriloquo di un’entità chiamata terra.

La citazione forte che ricorderò è il rimedio è nel male.

Il rimedio è nel male in questa civiltà industriale tanto biasimata, in questa scienza che spaventa, in questa crisi che non finisce mai, in questa globalizzazione. Solo un aumento delle ricerche, un’esplosione di creatività, un salto tecnologico inedito potranno salvarci. Dobbiamo solo sforzarci di allontanare le frontiere dell’impossibile, incoraggiando iniziative più folli, le idee più sorprendente.

Questo ricorda molto il “be foolish” di Steve Jobs. Siate un po’ pazzi e rischiate pure per risolvere i problemi. Non è tanto chiaro dalla lettura se il “think green” debba essere prima o dopo il “be foolish”, né è chiaro se servirà e chi sarà un controllore di questi illuminati, ma il messaggio è evidente oltre che affascinante: secondo Bruckner dovremmo trasformare la scarsità di risorse in abbondanza di invenzioni. Potremmo solo così essere all’alba di un rinnovamento senza precedenti, dove troveranno spazio pionieri e esploratori. L’autore analizza una serie di opinioni che spaziano su tutti i fronti dell’ecologia, ma condanna implacabilmente le posizioni ortodosse di Evo Morales e dell’ultimatum di Al Gore, personaggi che non esita a definire guastafeste travestiti da indovini. Probabilmente, vista la citazione di Luca, accetterebbe più volentieri i principi dell’enciclica sull’ecologia di Giovanni Paolo II, in cui il pontefice che amava la natura avverte l’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, che consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. L’attenzione che torna sull’uomo, dunque.
Il presupposto dell’autore è fondamentalmente quello di condanna al catastrofismo generalizzato, un catastrofismo che comunque riconosce insito nella cultura umana, c’era già nel “1000 non più di 1000” di 11 secoli fa e lo abbiamo attualizzato nella quasi-bufala del millennium bug che alla fine del 1999 immaginava in tilt il pianeta.
Ho letto con curiosità e interesse i quadri tra i capitoli. Il primo è dedicato all’auto e si intitola “Fine della libido?”. Pone la questione su come siamo riusciti a togliere importanza ai veicoli, ma non per l’ingombro delle sontuose cabrio e per la sete dei luccicanti suv, ma solo perché nella scala di importanza le quattro ruote sono passate in secondo piano rispetto a telefonini, palmari e tutti quei gioielli della tecnologia di cui ora ci piace dare sfoggio.
Ricapitolando: testo ricco, opinioni forti e abbondanza di citazioni che possono dare comunque al lettore una visione laica sulla scelta della parte su cui schierarsi. Una sola nota: trovo abbastanza difficile da digerire il prezzo, nell’era del libero scambio delle informazioni, 22€ forse sono davvero un po’  troppe per approfondire una pur rispettabile opinione sull’ecologismo.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Catastrofi: dobbiamo imparare cos’è un medicane

Si leggono contemporaneamente di catastrofici effetti sul clima portati agli estremi delle alte temperature o di imminenti glaciazioni. Il denominatore comune tra le due teorie è il disastroso effetto che sta modificando il modello climatico, probabilmente influenzato anche dalle attività umane.

Entrambe le previsioni condividono previsioni affatto ottimistiche per l’area del Mediterraneo. Filippo Giorgi, unico scienziato italiano presente nell’organo esecutivo del Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) oltre che vincitore del Premio Nobel per la pace 2007 insieme ad Al Gore, in una intervista su Vanity Fair si esprime anche alla luce dei recenti eventi che hanno sconvolto la Sardegna chiarendo che le popolazioni del Mare Nostrum dovranno familiarizzare prima possibile con il neologismo “medicane”, composto da Mediterraneo e hurricane (uragano in inglese).

Non aumentano la frequenza degli eventi, sostengono all’IPCC, ma la loro intensità. Non pensiamolo come a un problema lontano, perché i modelli di studio affermano che le zone più esposte alle formazioni e eventi di portata catastrofica per entità delle precipitazioni sono entrambe in Italia, precisamente nel Golfo di Genova e in Sicilia.

Ci sono due aspetti positivi, se vogliamo coglierli, per le azioni di rimedio del futuro. Il primo, macroeconomico, è che secondo Giorgi non siamo al punto di non ritorno. Se riusciremo a contenere le emissioni di CO2 e di gas serra in atmosfera riusciremo a contenere anche l’aumento del 2% della temperature, ma dobbiamo agire presto, non oltre il 2050.

Il secondo, di carattere ambientale, concerne il dissesto idrogeologico che in Italia è un cancro di cui troppi amministratori si sono disinteressati benché responsabili. Possiamo agire sulla certezza della pena e sull’obbligo di ripristino con sanzioni anche pecuniarie che dovrebbero essere un disincentivo concreto per chi, dietro scrivanie importanti, deve riflettere prima di apporre firme di comodo su edifici e opere inutili. Licenziare qualcuno in tronco e mandarlo a spalare fango non sarebbe una cattiva mossa. I morti, purtroppo non li ripaga nessuno, ma sapere che almeno qualcuno ha pagato limiterebbe (forse) prossimi disastri.