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Cade la terra e canta l’Azzurro per lo scacco alla camorra

Ogni tanto capita di imbattersi in luoghi abbandonati, così densi di suggestione e talmente ricchi di fascino che spesso è difficile non rimanerne incantati. Proprio in quanto abbandonato, il luogo in questione – paese, palazzo, parco, metteteci quello che volete purché ci sia quella patina da relitto – non ha il potere di attrarre nessun interesse economico. Solo emozioni. Rettifico, non dovrebbe avere, perché invece non è così e vorrei innescare il contraddittorio di questa nostra Italia che a volte procede a tre velocità, di cui una, ahimè, è una retromarcia.

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Partiamo da questa. Della camorra abbiamo sentito un po’ di tutto. Cinquanta sfumature di male non basterebbero a raccontare quanto questa piaga danneggia l’ambiente, oltre alla società. Vorrei portare all’attenzione di chi ancora non la conoscesse la vicenda della Reggia del Carditello, perché è un caso esemplare di luogo lasciato abbandonato dove l’abbandono è fine a se stesso e agli interessi locali. Di chi? Citofonare camorra. Brevemente: i Borbone costruiscono un idillio architettonico definita una piccola Versailles, la storia lo fa abbandonare, la camorra se ne impossessa, un ministro e una giornalista che prendono posizione contro la malavita e pro recupero sono minacciati in prima persona in pure stile da film: “Piantatela di parlare di Carditello o siete morti”. Non posso non sottoscrivere le parole di Gian Antonio Stella:

C’è una sola risposta che il governo può dare alle minacce contro Massimo Bray e Nadia Verdile, la cronista che da anni denuncia il degrado della reggia borbonica nella Terra dei Fuochi. Deve raddoppiare gli sforzi e gli investimenti e la presenza di agenti e carabinieri: la battaglia di Carditello va vinta. E la camorra deve uscirne umiliata. Ne va dell’onore dello Stato.

Aggiungo di mio che gente così va colpita con ogni strumento che la legge mette a disposizione, a partire da quella che queste bestie non sopportano: il diritto.

Ci sono poi altri strumenti, da marcia avanti veloce. Ne vorrei citare uno letterario e uno musicale. Chi meglio può aver trattato il tema dell’abbandono se non un’abbandonologa? La qualifica arriva da un bimbo che, domandando all’autrice Carmen Pellegrino di cosa si occupasse, si è sentito rispondere dalla stessa che lei si dedica alla (ri)scoperta dei luoghi abbandonati. L’abbandonologa ha adesso pubblicato un libro. Cade la Terra è la sua opera prima ed è davvero un bell’esordio.

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Potete trovare in rete qualche anticipazione, ma solo perdendovi in Alento, paese in abbandono, potrete respirare quella patina così forte che fa tanto Italia dell’entroterra. Il book trailer è davvero toccante. Per quanto mi riguarda un piccolo film da mandare ai concorsi.  Qualcuno dice che c’è molto sud nelle parole dell’autrice campana, ma non sono d’accordo. Per esperienza, potrei dirvi che ho trovato molta provincia dispersa, dalle valli alpine al tavoliere pugliese, passando per una dorsale appenninica che trova degli appunti lirici che la Pellegrino coglie e amplifica benissimo. A partire dalla scelta della protagonista Estella, una ex suora. La storia è narrata a più voci. Sono fantasmi o persone reali? A voi scoprirlo. Di concreto ci sono i magnifici piani fotografici sul paesaggio. C’è il taglio dei particolari.

Mi voltai e subito, solitario, mi apparve l’olmo le cui foglie, benché si fosse in inverno, erano tutte intatte. Sembrava un monumento, simile tanto a una grossa statua di cui però non aveva l’immobilità. Mi parve infatti che fosse diverso dalla sua fama, che non avesse nulla di letargico, nulla degli alberi che per anni non si muovono, o lo fanno poco, a dirla grande. L’olmo, conclusi, era del tipo fracassone, lievemente avvinazzato, con le radici che sembravano sfuggire dal suolo con una ramificazione randagia che andava dove ce ne era bisogno, caduta la terra, cadute le stelle…. Questo grande albero dal sonno insonne, questo generoso fracassone dall’odore povero credeva nella gioia di darsi, come fa il frutto che cade, felice com’è di farlo, perché solo ciò che non si dà muore

E poi ci sono gli scorci delle vedute d’insieme.

Dovrò dirglielo che la prossima casa a crollare sarà la sua, che ci resterà sotto se non viene via. Ma sarà inutile perché lascerà quel fosso tanto abilmente guarnito di nebbie, con tutte le erbe e le paludi. Da qui, il paese morto sembra oscillare nella sua massa convessa, come una nave nel mezzo della tempesta, e dalla poppa non si vede la prua. Il fogliame che fino a ieri pendeva lasco dagli alberi oggi ha piombato la strada. I pipistrelli riappaiono veloci, corrono di qua e di là e si suicidano contro le rovine. Succede sempre così quando viene novembre: da un momento all’altro sopraggiunge la notte e non si vede più niente. In quel buio so che c’è lei e ci sono loro

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Carmen fa un’ottima regia sul paesaggio, proponendoci i fotogrammi di una storia densa di poesia che probabilmente ambienterete in luoghi che il vostro cuore ha ben presente.

C’è anche chi si sta occupando di luoghi abbandonati a tempo di musica. Il Libero Coro Bonamici di Pisa è uno dei cori vocal pop più premiati della Penisola. La film maker Francesca Carrera, con la direttrice Ilaria Bellucci, i suoi coristi e qualche volontario, hanno scelto luoghi dimenticati in Toscana – tra tutti: il Teatro Rossi a Pisa e il borgo fantasma di Toiano nel comune di Palaia – per ambientare il loro prossimo video. Hanno scelto Azzurro di Celentano e si sono lanciati in un crowdfunding per finanziarsi e riuscire così a raccontare questi posti (anche) con la melodia. Ve la sentite di fare una piccola scommessa? Mettiamola così: pochi euro per portare alla ribalta luoghi fuori dal comune e toglierli dal dimenticatoio a suon di musica.

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Notizie, storie, melodie. Cose che nessun camorrista capirà mai.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.