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Occhio ai cinghiali (e chiamatemi Obelix)

Curiosi si sapere la storia dei troppi cinghiali (e caprioli e cervi e ogni altra cosa si muova nel bosco che si possa impallinare)?

Si alzano reti. Ci sarà una rivolta brutale e distruttiva, un’invasione e un macello che potrebbero coinvolgere centinaia di migliaia di individui nei prossimi anni.

Non è l’incipit di un nuovo romanzo fantasy, ma uno scenario italiano raccontato dal New York Times. Prima che però vi procuriate armi e munizioni – o un rifugio, a seconda se vi sentite più Zagor o più Gandhi – sappiate che non parliamo di nuove invasioni barbariche ma di cinghiali.

L’ungulato selvaggio italiano più diffuso ha un problema: è troppo diffuso. E i consigli regionali stanno dandosi da fare per la riduzione della popolazione. Toscana e Liguria su tutte. Ovviamente scodinzolano i cacciatori, che possono contare su una stagione più estesa. Si aggiungono anche i contadini, che sperano di non trovare più i loro campi pieni di crateri che manco una pioggia di meteore. Per chi coltiva, in effetti, i cinghiali sono distruttori di raccolti, sterminatori di greggi e animali allevati, causa di incidenti stradali. Una specie di apocalisse in salsa agreste, insomma.

Dall’altra parte della barricata ambientalisti e intellettuali che “sui cinghiali solo bugie, la Toscana condanna a morte degli innocenti”. Con Dacia Maraini a sostenere che ogni scusa è buona per fare strage di animali selvatici o Enzo Maiorca che si domanda quale diritto abbiano gli umani a compiere decimazioni contro altre creature viventi. Prese di posizione forti che sfociano nel sostenere che se il cacciatore 73enne è stato seccato dal cinghiale la colpa non è del cinghiale. E vorrei ben vedere, a prescindere dai pro e contro cinghiali: se vai a caccia accetti il rischio di morire, condiviso – guarda un po’- tra te e la preda che vorresti impallinare.

Prima che mi si obbietti l’avermi riconosciuto con la testa in un paiolo di cinghiale alla Obelix – lo ammetto, mi piace la selvaggina e per la mia forma potreste pure confondermi per il compagno di Asterix, il quale caccia però cinghiali solo per il proprio sostentamento e non per divertirsi a impallinare esseri viventi – credo che la verità stia nel mezzo. Forse non è necessario preparare arsenali o irrorare veleni. I periodi di caccia ci sono già e bastano. Come i rimedi.

PS. In realtà, non mangio più cinghiale da un po’. Precisamente da quando ho conosciuto Gildo. È il cinghiale che mi viene a trovare di notte al paesello dove mi ritiro a scrivere. Me lo avevano segnalato Federica e Beatrice, che gestiscono un magnifico maneggio al margine del nostro bosco e lo trovano spesso a condividere il recinto coi cavalli. Vi garantisco che nessuno di noi tre ha mai avuto nulla da temere. In compenso, quando domenica scorsa ho sentito le carabine scaricarsi nella vallata, mi son domandato che effetto faccia essere dalla parte sbagliata della canna. Forza Gildo, corri!

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Un promemoria che scotta

Nell’attesa del nuovo governo e della decisione di dove immagazzinare i nostri camion (una fila come tra Milano e Torino) di materiale radioattivo, è on line un filmato che in due minuti ricorda decenni di disastri radioattivi.

Le conseguenze purtroppo sono dilatate nel tempo. Il fatto che un disastro sia passato da un po’ (son 27 anni da Chernobyl) non ci rende immuni dalle conseguenze. Ce lo dimostrano i cinghiali radioattivi delle valli piemontesi: su 100 analizzati, ben 25 avevano delle dosi di Cesio 137 molto superiori al previsto (soglia massima consentita 600 Becquerel, soglia rilevata 5621). Non illudiamoci che l’effetto sia limitato al Piemonte e ai cinghiali, perché se gli ungulati tra Val Susa e Monviso son quasi diventati fosforescenti andando a ruzzolare tra cespugli irrorati di Cesio, non è finita lì. La nube di Chernobyl, prima di arrivare a godersi il panorama della Mole, è passata dalla Scandinavia e su tutto l’arco alpino tra Alto Adige e Liguria. Non solo: come troviamo gli effetti nei cinghiali (e quindi nelle loro carni, salsicce, derivati e in tutto quello che non è ancora stato analizzato), è  lecito aspettarseli anche nei funghi, nei tuberi, nei frutti di bosco e nei tartufi. E tutta ‘sta roba chi l’analizza?

Insomma, se ricordare non guasta e ci aiuta a tener presente che non è mai saggio manovrare cose che poi rischiano di scappare di mano (maneggiare l’atomo non è come giocare col Lego), è meglio d’ora in avanti tenere un occhio anche su quel che ci capita di mangiare tra le valli. Quel che credevamo puro perché protetto dalla natura selvaggia, potrebbe non esserlo. Ve lo dice un goloso che vorrebbe davvero evitare di andare in giro con un contatore Geiger in tasca.