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Lombardia bear-friendly

Daniza e le avventure degli orsi sulle Alpi. Location: settore alpino centrale. Riassunto delle puntate precedenti. 



I grigionesi si sentono minacciati dagli orsi al punto da aspettarli fuori dalla tana per seccarli alla fine del letargo
I trentini ne fanno un problema politico del tipo “per accontentare gli elettori, io signorotto locale decido di dimezzare la popolazione plantigrada”. Il valore è probabilmente stato determinato in preda agli effetti allucinogeni dei funghi trovati dai cercatori che si appostano a sbirciare la cucciolata con mamma orsa in circolazione. 

Stai a vedere che, alla fine, la più bear-friendly è l’industrializzata Lombardia, quella che di solito fa notizia per il blocco del traffico o per gli inceneritori. L’assessore all’ambiente Claudia Maria Terzi, 39 enne bergamasca, afferma di voler rispettare i principi del progetto Europeo Life Arctos e dunque tutelare la popolazione plantigrada rimborsando i danni provocati dalla stessa e incoraggiando l’installazione dei recinti elettrificati per proteggere il bestiame. Non solo.

Non cacceremo via l’orso, piuttosto vorremmo che sulle nostre montagne avesse un angolo di paradiso dove vivere – dichiara al Corriere della Sera – Ecco perché continueremo a tutelarlo come stiamo facendo dal 1999, quando abbiamo assistito al suo ritorno nelle provincie di Bergamo, Brescia e Sondrio. Perché una convivenza con l’uomo è possibile.


C’è dunque un nesso tra industrializzazione e attenzione alle tematiche ambientali? Pare di sì. Cioè chi è più coinvolto nei settori avanzati e si è misurato pesantemente coi rischi ambientali tende a preservare la naturalità meglio di chi si spaccia per naturale e poi non esita a sparare o sbattere gli animali nei recinti. Penso che tutti gli appassionati di natura se ne dovrebbero ricordare la prossima volta che decidono dove trascorrere le vacanze alpine, magari tenendo presente che la Lombardia conta 24 parchi regionali, oltre al Parco Nazionale dello Stelvio. #iostocondaniza e il documentario lo dimostra.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

L’ultimo pascolo dell’estate

Si avvicinano le giornate cristalline di settembre, quelle in cui in uno stesso panorama si vedono l’infuocata dei boschi e le montagne ingiallite a fare da pilastri a cieli cobalto. Speriamo che l’autunno sia un po’ meno originale della stagione che lo ha preceduto. Rimane comunque un momento di riflessione.

Vi svelo un paio di posti a me molto cari, a ridosso dei 4000 alpini ma raggiungibili con facilità. Ci vado per ricaricare l’anima e il corpo, a salutare i pascoli prima del riposo invernale. In Valle d’Aosta, tutti conoscono la maestosità del Monte Bianco e la sagoma svettante del Cervino. Di fronte a loro ci si può arrivare con sentieri e carrarecce, senza dover fare code, timbrare cartellini o sopportare suoni che non siano naturali.

Un’angolazione originale della piramide granitica più famosa del mondo è quella che si gode da Gillerey, frazione di Torgnon. Il comune è uno di quelli della Val d’Aosta dove non ci passi per caso, ci devi andare apposta. Lasciando la celebre strada che porta alla ancor più celebre Cervinia, il paese è adagiato sulla sinistra. Chi ama i luoghi preservati benedirà il fatto che Torgnon non è affatto celebre, nonostante i vicini ingombranti. E’ aggraziato come molti paesi da queste parti, ma qui ci sono almeno un paio di motivi in più per venirci. Il primo è il borgo di Triatel, del quale la parte più antica è stata recuperata integralmente e mostra come si viveva sulle Alpi fino all’inizio del ‘900. 

Una grande lezione per chi ama la montagna, un ottimo spunto per tutti gli altri che possono comprendere come l’abitare le Alpi non sia affatto scontato. Il secondo motivo è la straordinaria veduta su Cervino e Plateau Rosa che si gode da Gillerey, a monte dell’abitato, il poggio è caratterizzato da una chiesetta esagonale con dodici rocce attorno a rappresentare gli apostoli. La strada che ci arriva fa parte della Balconata del Cervino e il tempietto appare all’improvviso come se qualcuno ce lo avesse appena appoggiato. Lo sterrato che pennella le foreste di Torgnon attraversando conche e crinali può essere percorso a piedi, in bici e perfino con gli sci  da sciescursionismo in inverno. 

Cambio scena, ci si avvicina al ghiacciaio quasi a sentirne il freddo. Sul versante opposto della Vallée, superata Aosta e quasi al cospetto del tetto d’Europa, si punta a La Thuile. La stazione invernale è molto conosciuta, anche per la condivisione del comprensorio sciistico con la francese La Rosière. Meno nota, invece è la parte escursionistica. Il tracciato delle cascate del Rutor è tra i più affascinanti che si possano percorrere. Raggiunta la terza cascata, l’invito è a proseguire per risalire l’ultimo crinale a guadagnare la quota del rifugio Deffeyes. Qui niente rumori e zero inquinamento luminoso. L’edificio fronteggia il circo glaciale del Rutor con un’angolazione da spettacolo perfetto. Il ghiacciaio si è molto ritirato dall’800, quando una volta all’anno provocava disastri appena l’eccessivo scioglimento delle nevi faceva saltare il tappo di detriti e provocava un’improvvisa alluvione a valle. 

Oggi il corso del torrente è una lezione vivente dell’orografia alpina, con un ponte nuovo di zecca sospeso sul salto della terza cascata. Il Sentiero del Centocinquantenario che si imbocca dalla parte opposta del ponte è una via alternativa alla discesa. In tutto questo, il Monte Bianco è lì, a guardare ogni passo come il gigante sonnacchioso che possiede la montagna ma non si fa problemi a fartela godere. Generoso lui, come solo la natura sa essere. Due occhi, a volte, non bastano per portare a casa tanta grandezza, ecco perché in montagna serve anche il cuore.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Mai provato ad abbracciare un albero?

Alberi, boschi e giardini sono un tesoro per l’Italia. In passato si è scritto molto a proposito, ma L’Italia è un bosco di Tiziano Fratus va oltre il classico saggio perché è un po’ guida, un po’ racconto e un po’ manuale per presentare il lato verde del Bel Paese.

La sequoia del castello Gamba in Val d’Aosta (37 metri di altezza x 7.65 di altezza)


Dai passi alpini alle isole, alberi monumentali, parchi, giardini botanici e orti urbani sono uno spunto per scoprire che da noi la situazione del verde è un elemento rassicurante e proprio per questo deve responsabilizzarci perché non retroceda. Così si ribadisce che il bosco vergine abbandonato dall’uomo potrebbe non essere la soluzione migliore perché troppo sensibile a incendi o dissesti. Al contrario il bosco curato è stato e può continuare ad essere un elemento di vita. Inorridiranno i duri e puri dell’ambiente ma è così: “se l’uomo smette di salire in montagna (nei boschi) la montagna scende a valle (con le frane)” è un detto popolare delle valli lombarde. L’autore apre però la sua via, antichissima eppur attuale, agli alberi.

Oggi che i boschi hanno smesso di vestirci, di nutrirci, di proteggerci, sono diventati palestre dell’anima, è qui che possiamo venire ad alleggerirci, a sgrassare via il nero, l’ossessione, la furia. Provare davvero a vigilare sui nostri pensieri come un pescatore vigila sui pesci di cui si nutrirà.
In Italia s’aggirano silenziosi veri e propri cercatori d’alberi: guardano, annuiscono, misurano, documentano, fotografano, tracciano, pensano, catalogano. Sognano e realizzano nuovi strumenti per amare il paese, tracciano percorsi botanici che illuminano il paesaggio: avvicinano il passato al futuro.


Gli itinerari sono documentati con una precisione da guida escursionistica, rivelando la passione dell’autore per l’argomento. Se posso esprimere una critica – l’unica, bonaria – va precisato che si capisce subito quali sono le zone che Fratus conosce meglio e delle quali è appassionato. Qualche dimenticanza si lascia perdonare, anche perché a voler elencare tutto non sarebbe bastata una wikipedia arborea. L’autore, avvalendosi di citazioni attinte da letteratura e storia, incanta al punto da trasportare nelle oasi verdi fatte di tronchi e foglie, che in Italia, informa la sezione statistica, ammontano a circa un terzo del territorio totale. La dovizia tecnica non sconfina mai nella noia e qualche excursus di storia e filosofia arborea è una nota raffinata.

Questo libro è un invito a fermarsi e a perdersi tra i tanti boschi e parchi d’Italia, a lasciarsi andare di fronte al vento forte (…) Il bosco è un universo di significati, di citazioni, d’immagini, di sensazioni e di ricordi. È una delle parole più presenti nell’esistenza di tanti. Ma di quale bosco si parla?


Quelli nei quali ho letto il libro per scriverne sono nella vallata di La Thuile (Ao) e nel parco Puez Odle (Bz). Ma il verde non è solo nelle Alpi. Fratus non dimentica gli orti urbani (come a Torino, Milano e Genova), i giardini monumentali (da manuale quello di Villa Hanbury a Ventimiglia o all’Abbazia di Fiastra nelle Marche) o il racconto degli alberi coltivati che sono diventati compagni dell’uomo come gli ulivi e i carrubi, sculture viventi che punteggiano le campagne del nostro sud. 

La scelta di quale albero abbracciare è lasciata al lettore con l’invito di tenere queste buone pagine sul comodino o nello zaino. Come Fratus insegna, è davvero un piacere scoprire che c’è sempre un bosco o un orto che ci aspetta dietro l’angolo. Spesso per confortarci, ma qualche volta, precisa l’autore, anche per chiedere la nostra protezione.

Perché l’Italia sia un paese forestale è spiegato in un documentario dell’Ispra.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.



Ponza, l’isola fragile che se pulisci ti ospita

Ponza è una virgola di terra nel Tirreno meridionale. È un gioiellino fragile e, come tutti gli oggetti preziosi, va trattato con cura, perché il 97% delle sue coste soffre l’erosione naturale che vento, mare e pioggia riservano a molti dei nostri litorali quando non sono coperti da cemento e strade. Qui di strada ce n’è una sola e il cemento è solo quello delle casette tradizionali. Fortuna? Preferisco pensare che i Ponzesi siano stati accorti nel non farsi contaminare e i palazzinari erano impegnati altrove.

Un’ora e mezza di aliscafo portano in un piccolo mondo che incanta, come racconta il giornalista Piero Vigorelli che di Ponza si è innamorato anni fa e non se ne è più separato. Non sei ancora sceso e il paese già ti abbraccia con le linee vanvitelliane del porto borbonico. 

La strada serpeggia nella geografia stretta che collega le due baie principali all’estremità dell’isola sfiorando le case dal tetto piatto e dai colori sgargianti. All’orizzonte galleggia la vicina Palmarola, con le sue case-grotta abitate da millenni. Come le piccole costruzioni che punteggiano i crinali, molte di loro sono stanze in affitto, pensate per chi preferisce un’ospitalità rustica. In alternativa ci sono sempre le quattro stelle del Chiaia di Luna a picco sulla omonima spiaggia o del Santa Domitilla con le sue suggestive grotte romane per un percorso benessere con l’acqua di mare. Atmosfere ancora diverse nella classe dei B&B di Anna Fendi o, per i nostalgici, della pensione che oggi si chiama Silvia, ma che qui tutti additano come la casa che ospitò Mussolini. Mentre i mastini di Hitler fiutavano rabbiosi la penisola in cerca del luogo dove l’esercito custodiva il dittatore appena destituito, a Ponza si viveva il paradosso del capo dei fascisti piantonato dove lui stesso aveva spedito i suoi oppositori. Perché parlo dell’ospitalità di Ponza? Perché potrebbe essere gratis. Avete letto bene.

Ne abbiamo già parlato, ma alla vigilia dell’estate la notizia è ancora più ghiotta e si arricchisce di un motivo ecologico ulteriore per visitare l’isola: con i rifiuti e i materiali recuperati dalle spiagge si organizzerà lo Stracquo

È l’arte che viene dal mare, dove le opere in mostra sono realizzate da artisti nazionali ed esposte nel luogo dove dormivano i confinati. Per chi non c’è mai stato, ma anche per chi ama il mare, l’occasione di Ponza è quella di un luogo dove è difficile uscirne senza aver lasciato un pezzo di cuore. Vi fornisco quattro motivi per vederla almeno una volta nella vita. Circumnavigare l’isola e raggiungere l’isola di Palmarola è come sentirsi gabbiani. Arrivati a destinazione la cala Brigantina e le rocce torreggianti della scogliera Cattedrale ti lasciano senza fiato per la loro immensità. La spiaggia di Chiaia di Luna è tra le più belle del mondo, parola di Jacques Cousteau e Folco Quilici. La Ponza sotterranea della galleria romana di Chiaia e delle  cisterne ti accompagna nei silenzi lontani che immagini accarezzati dai fruscii di tuniche e piedi scalzi. Le onde di lucciole che la sera fluttuano tra i crinali ti immergono in una fiaba, ma ti tocchi e nel profumo delle ginestre scopri che è tutto vero. Aggiungici sentieri a picco, canoe, bici e ottimo cibo, e potresti scoprire il tuo Eden a due ore da Roma. 


Aspetti da migliorare? La mobilità sostenibile per contenere al massimo le auto private, approfittare di quelle nicchie di legge che senza violare vincoli ambientali permettono di incrementare le energie alternative come solare termico e fotovoltaico, sfruttare la capacità di accumulo di acqua del sottosuolo e integrare con un dissalatore per evitare il trasporto con la nave. Tutti argomenti che la nuova amministrazione condivide e che lascia aspettare grandi cose, come la precisione svizzera dei cassonetti della differenziata ben presenti già anticipa. Ci conto, il Mediterraneo avrà un cuore verdeblu e, sono sicuro, parecchi estimatori in Europa pronti a viverlo per dodici mesi l’anno.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

La bici delle meraviglie

La bici del futuro esiste già. Partiamo da una citazione semplicissima come:

Niente è comparabile col semplice piacere di una pedalata. (John F. Kennedy)

per arrivare a raccontare la Valour, dove il telaio monoblocco in carbonio nasconde un concentrato di tecnologia da far invidia a un’auto next generation.

Se la aprissimo (cosa improbabile dato che qui il ciclista tradizionale si sentirebbe davvero sbalestrato), troveremmo bluetooth per dialogare col traffico e le vetture che la circondano, manubrio a vibrazione per segnalare uno sbilanciamento o la perdita della direzione, connessione permanente per la navigazione, antifurto e sistema di tracciatura, fino al sensore per rilevare altre bici uguali in zona e socializzare così con gli altri ciclisti colleghi di questi pedali del XXI secolo.

Kennedy sosterrebbe ancora la sua affermazione? Rimarrebbe il semplice piacere nel caso della Valour? Personalmente sono un po’ all’antica, le mie bici non sono poi così tecnologiche e sempre di più apprezzo il dove, bisogna riconoscerlo, lo sforzo della pedalata equivale a quello di avere il sellino appoggiato su un cancello. Però non si può non riconoscere che l’oggetto non sia affascinante. I sistemi e le app che la regolano non sono ancora del tutto operativi in Italia, ma chi avesse 999 dollari (730 euro) può farsi avanti ed essere il primo a portare sulle nostre strade questo gioiellino.

Non dimentichi di scrivermi, però, perché sarei davvero curioso di provarla.
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Esercizi urbani del XXI secolo

Lo stato di salute di una città si misura anche dalla qualità dei progetti che la rinnovano. Gli spazi verdi devono essere al centro di ogni logica di sviluppo, ma dove l’amministrazione è particolarmente illuminata, spesso il manto erboso va oltre lasciando le piazze per arrampicarsi sulle pareti degli edifici come nelle costruzioni dell’Oasi d’Aboukir a Parigi o di Digby Road a Londra (la parete vivente più alta d’Europa)


Altre volte ancora il verde si snoda per i centri abitati per diventare corridoi in grado accompagnare i ciclisti proteggendoli dal traffico e dalla calura come nella ciclovia di 23 km tra Copenhagen e Albertslund.

Ben 22 municipalità si sono messe in rete per realizzare un sistema ciclistico integrato. Ancora più ambizioso è il  progetto Rio a Madrid si propone di riqualificare il Manzanares allontanando le auto dal fiume e creando una fascia protetta di 45 chilometri.

Il verde stimola il movimento e proprio uno studio condotto dall’università del Governatorato delle Foreste del Regno Unito dimostra che ogni chilometro pedalato apporta un beneficio sociale di 0,4€, permettendo un risparmio annuo del sistema sanitario nazionale di circa 20 milioni. 

Un passo ulteriore si ha quando la città assume la forma dalla foresta con costruzioni di 50 metri che riprendono le sagome degli alberi con pannelli solari al posto delle chiome. Questo non è più un progetto ma una visione. Il tecnobosco sta crescendo davvero a Singapore. Fantascienza? No, per ora mi piace pensare a esercizi concreti di città sostenibili. 

Progettisti italiani, dove siete?
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Pronto a bere l’acqua del cesso?

La carenza di acqua potabile che oggi affligge alcune aree delle terra e domani potrebbe toccarci da vicino, obbliga studiosi e tecnici a ipotizzare scelte drastiche. Come bersi l’acqua del cesso. Avete letto bene, un sistema di filtri e membrane la renderebbero pura, probabilmente ancora meno contaminata di quanto fosse prima dell’immissione nelle condotte che alimentano i nostri water. E’ una scelta che, ammettiamolo, oggi ci fa schifo. Esattamente perché si tratta di una opzione disgustosa, dovrebbe ancora di più obbligarci a riflettere quando sprechiamo anche una sola goccia d’acqua.  



Qualche buona regola per risparmiare la risorsa preziosa che assieme all’aria ci permette di vivere: 
Applicate un riduttore di flusso ai rubinetti di casa: l’acqua si miscela con l’aria, risparmiando fino al 30 per cento di acqua.
Scegliete la doccia invece del bagno: in media, riempire la vasca comporta un consumo d’acqua quattro volte superiore rispetto alla doccia. Sapete che esiste una doccia che si spegne da sola?
Fate scorrere l’acqua dal rubinetto solo per il minimo indispensabile
Alla prossima sostituzione, prevedete l’acquisto elettrodomestici di classe A e A+, sono progettati per ridurre il consumo di acqua. Il prezzo d’acquisto maggiore ma si ripaga in termini di risparmio energetico.
Effettuate i lavaggi in lavatrice e lavastoviglie solo a pieno carico e pulite periodicamente il filtro

> Lavate piatti, frutta e verdura in una bacinella e usate l’acqua corrente solo per il risciacquo
Riutilizzate l’acqua adoperata per lavare le verdure per innaffiare il giardino e quando scolate l’acqua bollente della pasta, conservatela nel lavandino con un goccio di detersivo: è già pronta per pulire i piatti a fine pasto
Innaffiate le piante di sera: dopo il tramonto l’acqua evapora più lentamente
In bagno, scegliete uno sciacquone con lo scarico differenziato e doppio pulsante: per evacuare la pipì basta poca acqua
Fate un controllo periodico chiudendo tutti i rubinetti: se il contatore dell’acqua gira lo stesso c’è una perdita
Quando lavate l’auto, usate il secchio e la spugna: si risparmia molto rispetto al getto della canna
Raccogliete l’acqua piovana e quella dei climatizzatori e sfruttatela per gli usi non potabili, ad esempio per lavare l’auto e innaffiare il giardino
Provvedete a una corretta manutenzione: un rubinetto che perde una goccia al secondo disperde in un anno circa 5.000 litri.



http://www.huffingtonpost.it/2014/05/01/riciclo-acqua-bagno-california_n_5248412.html?utm_hp_ref=italy

Earth Day, supereroi alla festa della Terra

Supereroi cercasi! Non sfogliate i Comics. Oggi si celebra la Giornata Mondiale della Terra. Indetta dall’ONU, si propone di sensibilizzare i cittadini del pianeta sul tema dell’ambiente. Ogni paese che vi aderisce, declinerà la ricorrenza attraverso migliaia di eventi. Nel nostro paese,
Earth Day Italia organizza momenti di incontro in giro per la penisola.

Dal 22 al 29 aprile al Maxxi di Roma c’è “Cambiamo Clima!”, una mostra fotografica con cui si raccontano al grande pubblico gli Eroi della Terra. I protagonisti sono supereroi ma non sono usciti dai Comic Book. C’è la storia del guardiano delle più grande discarica campana che respira piano per non morire asfissiato, quella dei netturbini siciliani che ritirano i rifiuti tra le case a dorso di mulo, la testimonianza della famiglia i cui genitori hanno deciso di vivere in un bosco tra Veneto e Trentino, i ricordi del guardaparco dell’oasi di San Massimo, dove 200 ettari di foresta sono curati senza usare prodotti chimici. Nel riportare la notizia, Repubblica accompagna con un bel commento di Carlo Petrini, Patron di Slow Food. Chi sono i supereroi della Terra nel 2014?

Sono quelli che crescono il cibo e fanno sì che la terra l’aria e l’acqua, le risorse che servono a fornircelo, non si compromettano mentre vengono impiegate. Sono i custodi di un pezzo di mondo con il loro piccolo orto, la loro piccola azienda agricola, i terreni sui quali seminano e generano il cibo per la loro famiglia o per un’economia locale che non chiede che si distrugga per produrre, ma pretende che si conservi la porzione di terra su cui si vive, grazie a cui ci si nutre. Sono tanti per il mondo. Ho il privilegio di conoscerne molti, grazie alla rete internazionale di Slow Food e di Terra Madre e so che molti altri ancora ce ne sono. E credo siano in aumento. 

A Roma, il 21 aprile si è tenuta la Maratona a Km Zero nella Riserva Naturale del Parco dell’Aniene, per promuovere la fruizione dei Parchi Urbani e dei Prodotti a Km Zero nell’Anno Internazionale dell’Agricoltura Familiare. È stata l’occasione per ricordare ville, giardini, parchi urbani, aiuole, un patrimonio di cui spesso non ci rendiamo conto. Non è solo una una questione estetica, ma di salute. Sapevate che in Italia il verde urbano contribuisce ad assorbire 12 milioni di tonnellate di CO2, pari al 3% del totale delle emissioni nocive della penisola?

Per la 44esima edizione della manifestazione, l’ONG ambientalista Green Cross, insieme ad Earth Day Italia, hanno deciso inoltre di pubblicare un decalogo che spieghi come fare a ridurre i nostri rifiuti. Secondo un rapporto Ispra, infatti, nel nostro Paese si contano annualmente 31,4 milioni di tonnellate di rifiuti urbani: molti sono smaltiti in modo scorretto, spesso abbandonati sul ciglio delle strade o “nascosti” nelle zone verdi.

I consigli di Earth Day sono conosciuti ai più, ma servono comunque per avvicinare le molte persone che ancora non hanno sviluppato una sensibilità sul tema.


1. Evita i prodotti usa e getta. Un esempio: le pile ricaricabili si possono riusare centinaia di volte, facendo risparmiare a te denaro e all’ambiente pericolose sostanze;

2. internet permette di inviare e ricevere documenti ed evitare di stamparli: si salvano alberi e si limita l’inquinamento causato dai trasporti;

3. comprando prodotti sfusi e alla spina al supermercato si limitano imballaggi di carta, cartone, plastica, polistirolo;

4. dimentichiamoci dei sacchetti di plastica: per gli acquisti preferiamo le borse di carta, cotone, iuta, biodegradabili o comunque riutilizzabili;

5. impariamo a preferire cibi e acqua che arrivano da vicino e impariamo a cucinare anche con gli avanzi : esistono tantissime gustose ricette che ti aiutano a “ricreare” al meglio gli alimenti, evitando che vadano a finire nell’immondizia;

6. per conservare gli alimenti, usiamo i contenitori di vetro e non l’alluminio: inquina, e per la sua produzione lo spreco di energia è enorme. Se si consumano lattine e pellicole di alluminio, è importantissime che siano smaltite negli appositi cassonetti;

7. se indumenti, accessori o giocattoli non ti piacciono più, regalali a qualcun altro: quello che per noi è uno scarto, per un’altra persona può diventare una risorsa preziosa. Conosci, ad esempio, i gruppi di “Te lo regalo se vieni a prendertelo“?;

8. prima di gettare via un computer o un telefonino, verifica che non si possa riparare o che non esistano pezzi di ricambio. E ricorda che le apparecchiature elettroniche vanno smaltite in modo adeguato e non gettate nell’indifferenziata;

9. fai la raccolta differenziata, soprattutto della frazione organica: in questo modo si possono produrre fertilizzanti alternativi a quelli chimici;

10.non bruciare rifiuti di alcun genere: la combustione incontrollata dell’immondizia libera nell’aria sostanze molto velenose.

Ötzi, l’iceman che è in noi

Ötzi, la mummia ritrovata sul ghiacciaio del Similaun in Alto Adige Südtirol, in un certo senso è ancora viva. Frammenti di materiale biologico prelevati dal corpo conservato nel museo di Bolzano, analizzati e confrontati con un campione di 4000 abitanti della zona, ha dimostrato che un tirolese su otto ha nel proprio DNA una mutazione riscontrata anche in Ötzi. Facendo due brevi calcoli, dunque, dopo circa 400 generazioni si può dimostrare che un po’ di quella mummia viva tra noi.

Ogni volta che visito il museo archeologico (fino al febbraio 2015 c’è la mostra Frozen Stories, dedicata alle conseguenze archeologiche del cambiamento climatico), di fronte a quel corpo, non posso non pensare a una serie di elementi come la sua vita, le ferite, le cause della morte, cosa possono aver visto quegli occhi prima di chiudersi per sempre. Poi non posso non pensare a cosa vedono invece gli occhi dei discendenti della mummia. 


Chissà se, confrontando le immagini, l’antenato si sentirebbe a casa oggi e il pronipote riconoscerebbe le stesse valli. Mi immagino che l’istinto, o certi istinti o sensi come olfatto e udito, fossero molto più sviluppati dei nostri attuali. Cosa vedrebbe, sentirebbe, udirebbe e soprattutto percepirebbe un Ötzi di oggi? 

Soprattutto, se ancora fosse accettabile la veduta dalle montagne, come farei a spiegargli lo scempio appena usciti dall’Alto Adige e arrivati in Val Padana?

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

La nuova arca, niente Noah ne Russel Crowe ma un frigorifero

Con Noè e Russel Crowe torna alla ribalta il tema dell’arca. Ma se non fosse una citazione biblica, si rinunciasse al legno di uno scafo e ci si ponesse nelle condizioni di andare molto in là nel tempo? 


L’arca del terzo millennio è sicuramente molto meno affascinante. Immaginiamola come un grosso congelatore, anzi una rete di grossi congelatori chiamati criolaboratori dove cellule ed embrioni sono conservati a -225 gradi celsius. In taniche di azoto liquido sono sospesi interi zoo. I frozen zoo di San Diego, Melbourne e Londra sono i più celebri e insieme conservano 48.000 campioni cellulari di 5.500 specie. Lo scopo? Mantenere la memoria biologica del soggetto e aspettare che un giorno la scienza consenta di riportarlo in vita.


Garanzie di successo non ce ne sono. Nel 2008 provarono a isolare un frammento di dna da un esemplare di tigre della Tasmania conservato sotto alcol da oltre un secolo. Manipolato con il genoma di una cavia, il dna diede segni di reazione. L’esperimento non andò oltre ma il proseguimento degli studi sulle cellule staminali e i progressi della genetica lasciano sperare che in qualche decennio si potranno crescere in laboratorio animali interi partendo dalle cellule indotte a diventare spermatozoi e ovociti.
Nell’attesa, gli effetti speciali iniziamo a goderli al cinema.

PS: A chi si domandasse se qualcuno lo ha già pensato anche con uomini, rispondo “sì”. E’ stato fatto e con corpi interi congelati prima della morte, ma questa è tutta un’altra storia.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.