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Trump cow boys e indiani, la lotta infinita

Contro Trump e i suoi cow boys gli indiani perdono, la storia si ripete. Mi hanno colpito molto le immagini delle fiamme che si levano alte dai teepee della pianura centrale americana. Se non fosse stato per le auto e i cellulari, sarei tornato allo scontro tra cowboy e pellerossa, tra i cattivi conquistatori e i nativi delle praterie. I servizi relativi alla Dakota Pipeline hanno dato rilievo alla notizia calcando la mano su come il presidente Trump abbia riaperto – e subito messo a tacere tra le polemiche di atti imposti – questioni ambientali che Obama aveva chiuso con un certo successo.

Non sono certo sulle posizioni ambientali di Trump – anzi, mi ci riconosco come un granchio sul Monte Bianco – ma val la pena di rimarcare qualche fatto:

  • Obama aveva già autorizzato la posa dell’oleodotto Dakota, accogliendo la richiesta di una deviazione che rispettasse il territorio Sioux e non mettesse a rischio le falde acquifere dell’area considerata sacra dalle tribù. Trump ha “solo” deciso di soprassedere alla deviazione scegliendo il percorso più breve.
  • Di fatto, la condotta, è un progetto di oltre tre miliardi di euro in grado di pompare 470.000 barili di petrolio al giorno lungo i 1900 km che separano i pozzi del Canada dalle raffinerie dell’Illinois ed era autorizzata da anni.
  • Questo petrolio era già comunque trasportato su rotaia, con i rischi che le manovre comportano. Intendiamoci, un oleodotto non è scevro di rischi, ma sono minori che non quelli legati alla movimentazione con veicoli.

Precisato quanto sopra lascio i fatti per le riflessioni, assolutamente personali, su come si è arrivati a un caso emblematico.

In questo momento Trump è il mostro da sbattere in prima pagina. Il suo essere maldestro in certe affermazioni lo porta a essere ridicolizzato o giudicato facilmente. Troppo facilmente, affermano i sostenitori. Però, ammettiamolo, se le cerca. Così la scena delle tende bruciate diventa quella del nativo cacciato dall’invasore.

Curiosamente, nel suo recente decreto sull’immigrazione, Trump ha dimenticato che i nativi erano loro, i pellerossa. E che il muro che lui vorrebbe costruire per contenere i messicani, gli indiani non hanno fatto in tempo a farlo perché i bianchi erano un casino di più e avevano i Winchester. Guardatevi le vignette satiriche sul tema, sono esilaranti.

Altrettanto curiosamente, la stampa americana ha scoperto che fino a giugno il nuovo presidente aveva una partecipazione nella società incaricata di realizzare l’opera. Trump non ha mai confermato, o smentito. Però ha ricevuto da personaggi legati all’azienda 100.000 dollari a sostegno della campagna elettorale.

Per offuscare la notizia, nell’atto di firma ha sottolineato almeno tre volte che per tutte le future condotte si sarebbe usato acciaio americano e si sarebbero creati nuovi posti di lavoro.

In questo momento dire nell’interno degli States che si creano posti di lavoro significa promettere oro. La crisi più nera si estende tra gli Appalachi e le Montagne Rocciose. Questo dall’Europa ci è poco chiaro. Ed è vero che i posti di lavoro si faranno e saranno circa 40.000, ma saranno relativi al solo periodo delle costruzioni e del loro indotto, perché a regime le condotte saranno tutte automatizzate e a farle funzionare basteranno meno di 40 persone. Uso il plurale perché c’è anche un altro oleodotto, il Keystone, in merito al quale l’amministrazione appena insediata ha invitato società amiche a candidarsi per la costruzione.

Il privilegiare un investimento tanto massiccio ci conferma che al di là delle belle parole sulle fonti rinnovabili si continuano a premiare le fonti fossili. Anche convertendo i miliardi investiti nell’estrazione e nelle condotte in opere e ricerche par limitare il petrolio, una società energivora come la nostra non riuscirebbe a cambiare a breve. Servirebbe crederci.

Trump non mi dà questa impressione, al di là di quello che dice è uno che premia logiche palazzinare e di sfruttamento del territorio. Più che “Trump il cattivo a priori” temo il ritorno agli anni ’80 che anche in Italia hanno fatto disastri per l’ambiente., riotrno di cui Trump potrebbe essere un attore perfetto. Stai a vedere che quella macchina del tempo che i programmi satirici americani invocano per tornare a prima delle elezioni, il neo presidente sempre più biondo la sta davvero azionando a suo favore.

 

11 good news per l’ ambiente 2015

Il 2015 sarà un anno migliore del precedente per le good news di ambiente e ricerca? Nessuno lo sa, ma mi ha impressionato sentire citato l’ambiente anche nel discorso di congedo del Presidente Napolitano. Così ho scelto 10 notizie di buon auspicio per ricordare il 2014 in modo positivo. Mi scuso per l’arbitrarietà della scelta, è solo un modo per leggere, tra le righe e le date, che con la buona volontà qualcosa di buono si può sempre fare. I buoni esempi, si sa, sono spesso contagiosi, tanto più se li si considera messaggi di speranza.

Le 10 Good News del 2014.

1. L’ONU ha ufficialmente condannato la caccia giapponese alle balene. Stop dunque alla farsa della ricerca scientifica che nasconde invece la caccia ai cetacei nelle zone antartiche.

2. La bici si piazza al primo posto tra i mezzi preferiti dagli italiani assieme alle moto. Non è purtroppo un indice riferito alle scelte quotidiane ma alle preferenze nei sondaggi. La parte positiva della dichiarazione è che l’attitudine a spostarsi e a fare vacanze in bici è effettivamente in crescita.

3. Matera sarà la Capitale Europea della Cultura 2019. La città dei sassi e delle chiese rupestri richiamerà l’attenzione del continente e dei molti italiani che ancora non la conoscono. Sarà anche l’occasione per scoprire una delle regioni della penisola meno conosciute.

4. L’Uomo è riuscito a far atterrare un oggetto su una cometa.
Con l’acquisizione di nuove conoscenze di un corpo spaziale semplice, si riaccende il dibattito sull’ambiente complesso della Terra e in particolare sulla formazione degli oceani.

5. L’Italia è prima, davanti alla Germania, nello sfruttamento dell’energia solare, che si avvicina ora al 10%. La nostra nazione si afferma al settimo posto nella classifica dello sfruttamento energetico rinnovabile procapite (eolico+solare).

6. Lego abbandona lo storico partner Shell grazie alla campagna di Greenpeace che denuncia la politica scellerata di esplorazione artica del colosso petrolifero.

7. Lo strato di ozono si rafforza e il buco sembra restringersi dopo una tendenza contraria di decenni. Non è un invito ad abbassare la guardia ma un incoraggiamento a incrementare le azioni comuni indotte dai vari stati, prima fra tutti la Comunità Europea.

8. Fabiola Gianotti è la prima donna e la prima italiana a dirigere il CERN di Ginevra.Il riconoscimento ha una grande rilevanza per i cervelli italiani che, nonostante un clima non certo favorevole alla ricerca, riescono ad affermarsi ai massimi livelli. Spero che il messaggio aiuterà a dare voce ai molti scienziati che ogni giorno raccontano il nostro paesaggio e i suoi mille problemi proponendo soluzioni.

9. Si rafforza Ozoshare, il sito dedicato a chi ha qualcosa da raccontare sull’ambiente.Le comunità che lo compongono sono ancora molto incentrate sul mondo anglosassone, ma gli spunti per approfondire e condividere stili di vita sostenibili non mancano. La potenza del messaggio sta tutta nella possibilità di trovare persone con la stessa passione per stili di vita verdi.

10. Chiudo con una notizia che è anche una cartolina di buon auspicio. Orso e lupo sono tornati sulle Alpi lombarde, cuore della catena montuosa assediata da milioni di abitanti. Il messaggio di speranza è nelle parole del ricercatore Mauro Canziani.

Nel secolo che ci separa dalla loro estinzione su scala locale, sono scomparse le taglie e i premi concessi per l’abbattimento delle cosiddette “bestie feroci”. I boschi hanno in parte riguadagnato i loro antichi spazi. Gli ungulati selvatici – anche grazie a programmi di reintroduzione – hanno conosciuto un deciso incremento e la presenza dell’uomo, che un tempo interessava gran parte dello spazio alpino, ha lasciato posto a silenziose montagne dove trovare riparo invernale o allevare i propri cuccioli.

11. Vi lascio anche una fiaba che racconta di riciclo e di rispetto. E’ stata scritta con l’aiuto di due bambini, spero vi piaccia. Condividere un augurio con una favola è un messaggio per tutte le età. Buon 2015.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Bellezza e felicità, a casaccio

Non sarà la scoperta dell’acqua calda, ma i “50 segreti di felicità quotidiana” pubblicati dall’Huff Post oggi sono un invito al trattarsi bene. Piccole attenzioni come il fare bene una doccia, scegliere percorsi alternativi, cambiare punti di osservazione, fare gentilezze a casaccio… avete un vostro, piccolo, personalissimo segreto da condividere? Ognuno può dire la propria scrivendo a now@huffingtonpost.it
Siamo in molti a pensarla allo stesso modo e a vivere con forti affinità, quella dell’uomo è, in fondo, una lunga storia e potremmo davvero scoprire che qualcuno ha capito qualcosa prima e meglio. Tanto vale approfittarne.  E’ bello viziarsi un po’, ce lo meritiamo. 



L’atomo impazzito fuori dalla porta

L’Italia ha rinunciato al nucleare. Il proprio. Come la mettiamo con quello degli altri, alle porte della nostra nazione?

Questa mappa ci mostra che i francesi giocano con gli atomi appena oltre il confine. Questo non  sarebbe grave se tutto fosse sufficientemente controllato. Sono assolutamente a favore delle fonti rinnovabili, ma sono anche sufficientemente realista per capire che dobbiamo studiare fonti di energia in grado di sostenere i prossimi dieci miliardi della popolazione. Hollande è la persona giusta a promuovere gli studi? Il presidente francese, a seguito delle promesse fatte in campagna elettorale, non è chiaro nei suoi programmi attuali.

Le centrali d’oltralpe sono vecchiotte e non sono i soggetti di studio ideali, ma sono soprattutto insicure, come il recente blitz di Greenpeace ha dimostrato. Prima ancora ci era atterrato un temerario col paracadute.

Se dovesse capitare il pazzo squinternato che ci prova con una cintura di tritolo in vita?

La batteria arriverà dagli alberi

Pile e accumulatori esausti contengono piombo, cromo, cadmio, rame, zinco, ma soprattutto mercurio. Una pila stilo contiene 1 grammo di mercurio, sufficiente a inquinare 1000 litri d’acqua. Ecco perché vanno assolutamente conferite in discarica e MAI smaltite come indifferenziate.

I problemi delle batterie legati al loro peso in fase d’uso ma soprattutto al loro smaltimento a fine ciclo potrebbero aver trovato una soluzione alla Maryland University.
Una fetta di legno abbinata a strati di stagno potrebbe diventare una batteria durevole ed efficiente, ma soprattutto essere compatibile con l’ambiente.

«L’idea arriva dagli alberi – dicono i ricercatori – le fibre che compongono un tronco possono trattenere acqua altamente mineralizzata e quindi sono ideali per immagazzinare elettroliti, rendendo la struttura legnosa non solo la base ma la struttura attiva della batteria».

Facciamo due conti? Ogni anno si immettono sul mercato europeo 800.000 tonnellate di batterie per auto (come 8 grandi portaerei), 190.000 tonnellate di batterie industriali e 160.000 tonnellate di pile portatili (di cui solo il 30% ricaricabili). Vi rendete conto di quanto minerale (risorsa non rinnovabile) sprechiamo? Il legno almeno, in quanto risorsa coltivabile, potrebbe davvero diventare l’uovo di Colombo, utile nel ciclo di vita per trasformare CO2 in ossigeno e dopo la raccolta per accumulare energia.

Scopri qui quanto sei vicino a un tumore

Il neoministro Zanonato potrebbe riconsiderare le scelte dell’energia atomica. Ma abbiamo imparato qualcosa da Fukushima o no? Soprattutto: prima di costruire presupposti per nuovi scheletri, il neoministro ha idea di cosa fare di quelli vecchi? 
In Europa ci sono 89 centrali vicine al termine del loro ciclo vitale. Di questi siti, molti sono in prossimità del confine italiano. Ricordo che la prossimità in tema di impianti atomici è molto relativa: Chernobyl dista da Roma circa 1700 km ed ebbe gli effetti che sappiamo sulla nostra alimentazione (latte e alimenti contaminati in tutta Europa). Ci sono però degli effetti che purtroppo non conosciamo e non conosceremo mai.

Ci sono immagini che non vorremmo mai vedere

I siti del nucleare italiano ed europeo, da qui si capisce quanto si è distanti dal rischio

Precisato questo, mi sono domandato cosa succede quando gli impianti vanno dismessi.  Una macchina finisce da un rottamaio, una lavatrice in discarica, l’umido nel cassonetto verde, ma una centrale atomica? Non è un argomento semplice da trattare. Le centrali atomiche nel loro ciclo di vita generano tre tipi di prodotti: quelli altamente radioattivi che sono stati vicino al reattore e decadono in 100.000 anni (come dire che se i primi homo sapiens avessero avuto delle centrali saremmo qui ancora a subirne le conseguenze), quelli mediamente reattivi  e quelli pochissimo reattivi (paragonabili alle scorie prodotte dagli ospedali). Per saperne qualcosa in più basta leggere qui.
Quel che poi rimane della centrale vera e propia, è il problema più grosso e si sta ponendo in Italia con il reattore di Caorso (in provincia di Piacenza). A ruota si ci sarà da pensare a Trino (Vercelli), Latina e Garigliano (Caserta). Poi andranno bonificati i cinque impianti di trattamento del combustibile che erano di servizio agli impianti italiani (due in Piemonte, due in Lazio, uno in Basilicata).  Questa è la mappa del nucleare italiano.  La società che si occupa in Italia di questo genere di smantellamenti è la Sogin (acronimo di Società Gestione Impianti Nucleari). Ha già curato parecchi lavori tra cui lo smontaggio dell’edificio turbine di Latina (14.000 tonnellate, come il ponte di Brooklyn) e dell’acciaio di Caorso (10.000 tonnellate, Torre Eiffel). La società è altamente specializzata nel campo dal nome elegante di decommissioning, riportare cioè allo stato di green field (prato verde) senza alcuna emissione un sito che prima era una entità atomica. I nostri tecnici sono apprezzati anche all’estero e  stando alle affermazioni dell’AD della società Giuseppe Nucci, il lavoro dei prossimi anni sarà la più grande operazione di bonifica ambientale a livello europeo (guarda il video istituzionale) .
Dalle affermazioni di Sogin, è un’agenzia dello stato, apprendo che ad oggi abbiamo spedito oltre confine (destinazione non pervenuta) il 98% delle nostre scorie e che ci serve assolutamente un deposito di scorie italiano. Ne dovremo anzi  fare due, uno di superficie e un altro sotterraneo. Il primo sarà una specie di parco tecnologico (lo definiscono così e mi immagino una Disneyland dell’atomo) destinato a diventare un polo di eccellenza delle ricerca, almeno stando alle affermazioni del video istituzionale. Lo scavo sarà quello destinato invece ad ospitare il peggio della nostra energia atomica. La località iniziale prescelta del 2003 era Scanzano Jonico, ma seguirono reazioni infuocate alla comunica  del decreto legge. In effetti i lucani non l’avevano presa affatto bene e il governo aveva deciso di riconsiderare la scelta del sito, che attualmente è ancora in via definizione. Spetta alla Sogin fornire un elenco dopo un incontro con le località che si candideranno ad ospitare i rifiuti.
Sarò un po’ all’antica, ma mi immagino due scene curiose: la prima i rappresentanti delle località che sgomitano e si picchiano per contendersi il ruolo quando apriranno le selezioni (in Svezia è successo questo). La seconda i tecnici di Sogin che devono scegliere un luogo ad altissima sensibilità che sarà poi amministrato dalla stessa Sogin, come dire che controllato e controllore coincidono. E’ un conto in cui qualcosa non torna, ma intanto il tempo stringe. Presto ci saranno circa 80.000 metri cubi (una fila di TIR di 13 km) di materiale da gestire. La gestione tocca il trasporto, lo stoccaggio, il monitoraggio geologico, dell’aria e della falda  idrica del sito. Prima che l’esecutivo di Monti si arenasse, Passera aveva garantito una risposta entro l’inizio del 2013. Intanto la mappa è pronta e al ritmo a cui la Sogin sta smontando le centrali (sono bravini e procedono celermente) sarà una delle prime scelte che il prossimo governo dovrà affrontare e sono proprio curioso, probabilmente assieme a qualche altro milione di italiani, di scoprire a chi toccherà la patata bollente e le scorie quasi ancora tiepide.
Questo articolo è stato pubblicato anche sull’HuffingtonPost.

Energia dal sole, da Abu Dhabi a casa nostra

Dopo tre anni e 600 milioni di dollari, ad Abu Dhabi si è conclusa la costruzione del più grande impianto di produzione di energia solare del mondo. Considerato che le sabbie su cui è appoggiato galleggiano su un mare di petrolio, il segnale è abbastanza forte. La struttura è in grado di fornire energia a migliaia di abitazioni facendo risparmiare all’ambiente circa 175000 tonnellate di CO2 l’anno (dato stimato).

In Italia l’impianto più grande è quello installato sui tetti della fiera di Rimini e alimenta parte del fabbisogno del quartiere espositivo.

Dal grandissimo al piccolissimo con una domanda che spesso mi sento rivolgere. Ma a una famiglia conviene sfruttare il sole? La primissima risposta non può che essere  un genericissimo “dipende”. Vanno piuttosto valutati con attenzione quali sono i parametri per l’efficienza di un micro impianto per la produzione di energia. Non c’è una unica formula ma una serie di elementi da prendere in considerazione (tra cui irraggiamento della zona, inclinazione della falda, restituzione ala rete, efficienza della progettazione, qualità delle struttura). Tutto concorre a influenzare il bilancio. In estrema, estremissima, sintesi, possiamo considerare che per la produzione di 3 Kw (dimensione familiare) servono circa 3500 euro che si recuperano in circa 6 anni in una fascia climatica tra Liguria e Toscana.

Diverso il caso per un impianto solare a vocazione termica (riscalda l’acqua) che è relativamente più semplice e a circolo chiuso. Permette di risparmiare immediatamente sui costi della produzione sanitaria.

Il mio punto di vista sulla verità: se interpellerete 10 tecnici diversi otterrete 10 risposte diverse. C’è però un elemento alla base di tutto: optare per la realizzazione di un impianto è fondamentalmente una scelta etica. Mettetevi il cuore in pace che prima o poi si ripaga, è solo questione di tempo. Il risparmiare emissioni nocive è il vero valore aggiunto. E per chi crede che il futuro della Terra non abbia prezzo, è questo l’importante.

La Svizzera senza mare ma con navi all’avanguardia

Gli svizzeri sembra che di navi se ne intendono davvero. Passi che non si affacciano sul mare ma hanno già vinto la Coppa America, da due anni detengono anche il primato della nave solare più grande. Il progetto è ambizioso.

La PlanetSolar Turanor, dopo aver circumnavigato la Terra spinta solo dal sole e dai 540 metri quadri di pannelli fotovoltaici, ora continuerà a navigare dedicandosi agli studi sull’ambiente.

Non sarà la soluzione definitiva per spostare le merci, i cui cargo richiedono molta più energia, ma è una dimostrazione che le tecnologie esistono e che un certo tipo di nautica come diporto e crociere potrebbe diventare un po’ più verde di quello che è.

In fondo, Darwin insegna che il coraggio di sperimentare è sempre apprezzato anche dalla natura.

L’invasione delle scatole vuote

Passo tra le macchine mentre pedalo verso la stazione.
Conto. Su 10 auto, la maggior parte grigie metallizzate o nere (dove è finita la creatività italiana?), 9 sono scatole che contengono una sola persona.
Questa potrebbe essere una soluzione: il car pooling. Tradotto per chi non mastica l’inglese, significa condividere l’auto approfittando del veicolo per puntare a una stessa tappa o destinazione.

Nessun oltranzismo: è ovvio che qualcuno non può davvero farne a meno, come è purtroppo un dato oggettivo che in Italia alcune zone non sono coperte dal servizio pubblico e scoraggiano ogni buona volontà. Senza esagerazione né in un senso né nell’altro, però, qualcosa in più potremmo fare. Basterebbe almeno provarci.