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Legno vecchio e poesie di mare

Le vele d’epoca degli yacht 15 metri stazza internazionale in una sera d’autunno a Portofino. La montagna rinfresca l’aria tra le case che non perdono i colori, semmai li fondono con le ombre che scendono dal bosco vicino. Le barche in porto sono allineate all’ormeggio con la prua verso il mare aperto. Le luci sui loro alberi sostituiscono le stelle nel cielo plumbeo. Le sartie si stiracchiano e il legno degli scafi respira, sono le voci di queste signore del mare che stanno raccontandosi le imprese della loro vita. Sono solo a passeggiare sul molo e origlio. 


Ne hanno di esperienze da raccontare. La più anziana, Mariska, è del 1908. Non posso non pensare a questi 106 anni che hanno visto il secolo più travagliato dell’uomo, lo stesso in cui mani sapienti hanno creato e mantenuto uno scafo che sembra la forma lignea dell’onda perfetta. Curioso no? La stessa mano che distrugge e crea.

Una targa al suo interno elenca i nomi dei suoi proprietari, ma quello attuale non vuole definirsi tale. “L’ho solo in consegna prima di passarla al prossimo che la condurrà per mare”, ha raccontato a cena. È il principio della sostenibilità, mantenere non per consumare ma per permettere a chi viene dopo di beneficiarne. Di una barca, del vento, della Terra. Così quando mi invitano a bordo e appoggio i piedi nudi sul ponte in teak avverto sotto di me il mare, il fondale, Gaia.
Tra le persone che hanno vissuto con Mariska anche un pianista. Ne aveva fatto la propria casa e le foto in bianco e nero ritraggono un uomo felice in tutto quel legno. Se mi metto a guardare le insegne degli altri gioielli galleggianti non posso non notare simboli di altri uomini meno anonimi, la corona del Re di Spagna e i colori dei principi Ranieri. Leggo le storie e trovo anche i nomi degli Agnelli, dei Rothschild e di un pezzo di Europa.


Poi, col giorno, le belle signore prendono il largo. Sanno di essere uniche al mondo ma salpano con calma. Poi in mare aperto corrono e sembra che la fatica non le riguardi. Stanno gareggiando sullo sfondo del parco che divide il Golfo di Genova dal Tigullio. Il Portofino Rolex Trophy è la manifestazione che lo Yacht Club Italiano, con la maison orologiera, dedica alle barche che hanno fatto la storia dello yachting mondiale. Sfilano con gli scafi affusolati e 400 metri di vele spiegate a raccogliere la più flebile delle brezze.


Le quattro “sorelle centenarie” MariskaHispaniaTuiga e The Lady Anne appartengono alla famiglia dei 15 metri stazza internazionale e sono accompagnate dalle cugine minori, 12 metri. Tutte ingaggiano un duello dove non scorrerà sangue. È la loro specialità. Le signore son abituate a sfidarsi in mare, salvo poi affiancarsi in porto. E ne sono passati di porti attorno ai loro alberi maestosi. 


La storia che le riguarda è cominciata nel 1908 quando il re Alfonso XIII di Spagna commissiona all’architetto navale William Fife uno yacht di quella che era la classe più all’avanguardia dell’epoca: nasce così Hispania II, varata nel 1909. La barca partecipa a numerose regate e trova un’agguerrita avversaria nella velocissima Mariska. Nel 1909 un amico del re diventa il suo primo e più competitivo rivale. Luis Fernández de Córdoba y Salabert, dodicesimo duca di Medinaceli, si fece costruire Tuiga, dandole il nome swahili delle giraffe per ricordare la sua passione per l’animale che svetta nella savana come il suo scafo svetta sul mare. La leggenda narra che a volte, durante le regate, il duca lascasse le vele per rallentare e lasciar primeggiare il suo sovrano. Quando si dice stile.


La regata è finita, tutte rientrano in porto e i colpi di cannone celebrano la vincitrice. Una Portofino molto diversa dal turistificio dei giorni di punta le abbraccia. Guardo le barche abituate a farsi ammirare e mi convinco ancora una volta che la vera eleganza non abbia età. Ma c’è qualcosa in più. Questi legni da 100 anni assecondano il vento. La scia bianca che lasciano dura solo un attimo prima che il mare la richiuda alla loro poppa. Si muovono senza tracce del proprio passaggio. Una bella lezione vecchia di un secolo ma tanto attuale.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.


Marche, vai a meditare sull’infinito

La colpa, o il merito, sarà anche di Leopardi, ma ogni volta che mi capita di andare nelle Marche ci casco. Ogni siepe, ma aggiungo ogni albero o ogni muro in mattoni e pietra, diventa l’appoggio per il mio infinito. Non è un caso che da ogni rilievo di questa regione si veda la distesa azzurra dell’Adriatico. Allora, approfittando dell’estate agli sgoccioli, provo a suggerirvi un itinerario qui  tra natura e spirito.

Lasciando Ancona, puntate dritti nell’entroterra e arrivate a Cingoli, tanto per rendervi conto da uno dei punti più panoramici di come le Marche siano modellate. Vi sembrerà di cavalcare la cresta di una mare di quiete onde verdi. Qui non mancate di godervi la tela di Lorenzo Lotto per la quale Napolitano in persona chiamò il sindaco pregandolo di prestarla alla mostra delle scuderie del Quirinale. “Senza la vostra opera – disse il Presidente – la mostra non sarebbe la stessa”. La Madonna del Rosario vi aspetta nella chiesa di San Domenico e il vostro sarà un incontro estraneo alle masse. Voi e Lotto, soli, non capita tutti i giorni. Apprezzerete anche l’avveniristico sistema di illuminazione offerto da una ditta leader italiana.

Su stradine solitarie, scendete poi verso la provincia di Macerata. Qui perdetevi tra San Severino Marche e Camerino. Castello sulla vetta del colle, piazza ellittica a valle, godevolissimo museo e l’incanto di San Lorenzo in Doliolo per il primo borgo. Brio universitario, il delizioso teatro Marchetti, il gioco di portici del palazzo ducale affacciato sui giardini per il secondo. Proseguendo in direzione di Tolentino, l’abbazia di Chiaravalle di Fiastra è circondata dalla omonima riserva e offre anche ospitalità.

Tornando verso la costa, sarebbe un peccato non fermarsi a Montecosaro. I motivi sono due. La chiesa di Santa Maria a Pie’ di Chienti è un gioiello romanico a due piani sovrapposti, originalissima nelle sue forme. Il paese a monte è un abbraccio di case dal quale la vista spazia tra l’Appennino e il Conero. Il Museo del cinema a pennello a ridosso della porta che immette nel borgo è l’occasione per toccare con mano cimeli del grande schermo, italiano e non. Mi sono lasciato incantare dalla bombetta di Totò e dal manifesto originale di C’era una volta il west accompagnato dallo spartito autografo di Morricone.

Rientrando in direzione di Ancona, la tappa d’obbligo è nella Basilica Pontificia di Loreto. Qui tutto ricorda il Vaticano, compresa la loggia dalla quale di affacciò San Giovanni XXIII inaugurando la stagione dei Papi viaggiatori. Da qualche mese è agibile il percorso degli spalti, unico in Italia per raccontare le dinamiche difensive di una basilica fortificata. Se a Loreto tutto parla di maestosità, una sosta a Portonovo riporta all’essenzialità romanica, con i sassi bianchi cullati dal rumore delle onde.

Il vantaggio di un percorso del genere è quello di poter essere praticato in tutte le stagioni. Mi piace anche perché trovo sempre una pensione o un b&b pronti a calarmi nell’altra dimensione del sentimento marchigiano, quella che soddisfa il palato con i suoi gusti indimenticabili. Che la via per conciliare spirito e carne passi proprio da qui?

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Lombardia bear-friendly

Daniza e le avventure degli orsi sulle Alpi. Location: settore alpino centrale. Riassunto delle puntate precedenti. 



I grigionesi si sentono minacciati dagli orsi al punto da aspettarli fuori dalla tana per seccarli alla fine del letargo
I trentini ne fanno un problema politico del tipo “per accontentare gli elettori, io signorotto locale decido di dimezzare la popolazione plantigrada”. Il valore è probabilmente stato determinato in preda agli effetti allucinogeni dei funghi trovati dai cercatori che si appostano a sbirciare la cucciolata con mamma orsa in circolazione. 

Stai a vedere che, alla fine, la più bear-friendly è l’industrializzata Lombardia, quella che di solito fa notizia per il blocco del traffico o per gli inceneritori. L’assessore all’ambiente Claudia Maria Terzi, 39 enne bergamasca, afferma di voler rispettare i principi del progetto Europeo Life Arctos e dunque tutelare la popolazione plantigrada rimborsando i danni provocati dalla stessa e incoraggiando l’installazione dei recinti elettrificati per proteggere il bestiame. Non solo.

Non cacceremo via l’orso, piuttosto vorremmo che sulle nostre montagne avesse un angolo di paradiso dove vivere – dichiara al Corriere della Sera – Ecco perché continueremo a tutelarlo come stiamo facendo dal 1999, quando abbiamo assistito al suo ritorno nelle provincie di Bergamo, Brescia e Sondrio. Perché una convivenza con l’uomo è possibile.


C’è dunque un nesso tra industrializzazione e attenzione alle tematiche ambientali? Pare di sì. Cioè chi è più coinvolto nei settori avanzati e si è misurato pesantemente coi rischi ambientali tende a preservare la naturalità meglio di chi si spaccia per naturale e poi non esita a sparare o sbattere gli animali nei recinti. Penso che tutti gli appassionati di natura se ne dovrebbero ricordare la prossima volta che decidono dove trascorrere le vacanze alpine, magari tenendo presente che la Lombardia conta 24 parchi regionali, oltre al Parco Nazionale dello Stelvio. #iostocondaniza e il documentario lo dimostra.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Ti spaccherò le ali, ti brucerò gli occhi

Una petizione sta cercando di eliminare la peggiore pratica che l’attività venatoria italiana conosca, quella delle esche vive per richiamare gli uccelli.


La ricetta dei cacciatori è semplice: catturano uccelli vivi, li mutilano e li rinchiudono in gabbie. Qui lo scenario è da prigione medievale. Non bastano buio e prigionia, vivranno legati e a volte accecati per non distinguere il giorno dalla notte. Lo scopo? Portarli poi sulle rotte dei migratori quando apre la caccia  e usarli come richiami vivi. Ne rende bene l’idea Pecoraro Scanio.

Il Mediterraneo è un luogo di transito fondamentale per i migratori e, per la sua orografia, il nostro paese è un ponte naturale tra i continenti. Usare questi espedienti è come sparare sulla croce rossa. Si è impegnato anche lo scrittore Jonathan Franzen, appassionato birdwatcher e noto per il suo netto schieramento contro l’attività venatoria. 

Ora la petizione approderà ai nostri legislatori. La lobby degli appassionati dei fucili verso il cielo è molto forte e molto trasversale. Non condivido l’idea della caccia ad armi impari, ma conosco alcuni cacciatori che stanno attentissimi a preservare ambiente e fauna per continuare ad esercitare la loro passione. Ce la faremo a far passare il messaggio che c’è un limite? La sofferenza gratuita, no, per favore, quella mai.

Puoi fermarli, ora, se vuoi.
Questo articolo è pubblicato anche sull’HuffingtonPost.

Mai provato ad abbracciare un albero?

Alberi, boschi e giardini sono un tesoro per l’Italia. In passato si è scritto molto a proposito, ma L’Italia è un bosco di Tiziano Fratus va oltre il classico saggio perché è un po’ guida, un po’ racconto e un po’ manuale per presentare il lato verde del Bel Paese.

La sequoia del castello Gamba in Val d’Aosta (37 metri di altezza x 7.65 di altezza)


Dai passi alpini alle isole, alberi monumentali, parchi, giardini botanici e orti urbani sono uno spunto per scoprire che da noi la situazione del verde è un elemento rassicurante e proprio per questo deve responsabilizzarci perché non retroceda. Così si ribadisce che il bosco vergine abbandonato dall’uomo potrebbe non essere la soluzione migliore perché troppo sensibile a incendi o dissesti. Al contrario il bosco curato è stato e può continuare ad essere un elemento di vita. Inorridiranno i duri e puri dell’ambiente ma è così: “se l’uomo smette di salire in montagna (nei boschi) la montagna scende a valle (con le frane)” è un detto popolare delle valli lombarde. L’autore apre però la sua via, antichissima eppur attuale, agli alberi.

Oggi che i boschi hanno smesso di vestirci, di nutrirci, di proteggerci, sono diventati palestre dell’anima, è qui che possiamo venire ad alleggerirci, a sgrassare via il nero, l’ossessione, la furia. Provare davvero a vigilare sui nostri pensieri come un pescatore vigila sui pesci di cui si nutrirà.
In Italia s’aggirano silenziosi veri e propri cercatori d’alberi: guardano, annuiscono, misurano, documentano, fotografano, tracciano, pensano, catalogano. Sognano e realizzano nuovi strumenti per amare il paese, tracciano percorsi botanici che illuminano il paesaggio: avvicinano il passato al futuro.


Gli itinerari sono documentati con una precisione da guida escursionistica, rivelando la passione dell’autore per l’argomento. Se posso esprimere una critica – l’unica, bonaria – va precisato che si capisce subito quali sono le zone che Fratus conosce meglio e delle quali è appassionato. Qualche dimenticanza si lascia perdonare, anche perché a voler elencare tutto non sarebbe bastata una wikipedia arborea. L’autore, avvalendosi di citazioni attinte da letteratura e storia, incanta al punto da trasportare nelle oasi verdi fatte di tronchi e foglie, che in Italia, informa la sezione statistica, ammontano a circa un terzo del territorio totale. La dovizia tecnica non sconfina mai nella noia e qualche excursus di storia e filosofia arborea è una nota raffinata.

Questo libro è un invito a fermarsi e a perdersi tra i tanti boschi e parchi d’Italia, a lasciarsi andare di fronte al vento forte (…) Il bosco è un universo di significati, di citazioni, d’immagini, di sensazioni e di ricordi. È una delle parole più presenti nell’esistenza di tanti. Ma di quale bosco si parla?


Quelli nei quali ho letto il libro per scriverne sono nella vallata di La Thuile (Ao) e nel parco Puez Odle (Bz). Ma il verde non è solo nelle Alpi. Fratus non dimentica gli orti urbani (come a Torino, Milano e Genova), i giardini monumentali (da manuale quello di Villa Hanbury a Ventimiglia o all’Abbazia di Fiastra nelle Marche) o il racconto degli alberi coltivati che sono diventati compagni dell’uomo come gli ulivi e i carrubi, sculture viventi che punteggiano le campagne del nostro sud. 

La scelta di quale albero abbracciare è lasciata al lettore con l’invito di tenere queste buone pagine sul comodino o nello zaino. Come Fratus insegna, è davvero un piacere scoprire che c’è sempre un bosco o un orto che ci aspetta dietro l’angolo. Spesso per confortarci, ma qualche volta, precisa l’autore, anche per chiedere la nostra protezione.

Perché l’Italia sia un paese forestale è spiegato in un documentario dell’Ispra.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.



Come ho detto a Sorrentino che La grande bellezza mi è piaciuto

Ho incontrato Paolo Sorrentino dopo l’ennesima discussione con amici su La grande bellezza, l’Oscar e la figura di Jep Gambardella.
Non sono un critico cinematografico ma mi piace il cinema e la faccio semplice:
> il lavoro si ispira alle atmosfere del La dolce vita di Fellini e a La terrazza di Ettore Scola, ma lo stesso regista riconosce le citazioni e scagli la prima pietra chi non fa qualcosa che non tragga ispirazione da qualcosa già fatto prima,
> ha una realizzazione stilistica di assoluto rilievo,
> rende a Roma la splendida cornice che merita,
> ci sono due dialoghi che sono scritti da urlo e, lo ammetto senza pudore, vorrei saper scrivere così. In entrambi il protagonista è Jep Gambardella: il primo è la conversazione tra amici sulla terrazza (argomento: l’impegno civile) e il secondo un monologo sul come comportarsi a un funerale.
Disturba a qualcuno questo ritratto di Italia? Sicuramente, ma siamo così e se non ci piaciamo in una foto non possiamo certo prenderla col fotografo, tanto più se la foto è impeccabile.
Grazie Sorrentino, anche per il tempo che mi hai dedicato sfrecciarossando tra Roma e Firenze.

Microdizionario dei gesti italiani

E’ on line un microdizionario della gestualità italiana. In due minuti e mezzo i segni del linguaggio universale italiano (universale = ogni abitante del Bel Paese, me compreso, si aspetta sia compreso dal resto del pianeta) sono illustrati dai protagonisti delle campagne di Dolce e Gabbana. Lo ammetto… non mi sarei mai aspettato di dire a loro due: «grazie, divertente». La lezione di oggi che mi ripeto è “mai dare nulla per scontato”.

Perchè l’Italia non funziona

Pierpaolo è un giovane che se leggi ti entusiasma.
Aiuta i genitori al bar, ma cura anche un proprio orto, accarezza passioni e scrive. Sì, ha un libro pubblicato, uno nuovo in uscita ed è un piacere seguirlo anche sui social. Mi ha colpito un pezzo pubblicato di recente sul suo FaceBook, per il suo tono di appello combattivo e senza mezzi termini. Soprattutto mi hanno colpito le reazioni dei suoi concittadini quando il nostro Pierpaolo si è offerto si curare (aggratis!) l’aiuola di fronte al bar. Nota di precisazione: Paolo è di Capaccio ma temo che possiamo sostituire tranquillamente il nome del paesino in provincia di Salerno con Agrate Brianza o Bastia Umbra, tanto per stare un po’ in par condicio, perché purtroppo, quando si tratta di senso civico, l’Italia è, ahimè, quasi tutta uguale. Un disastro.

L’altro giorno ho capito com’è che il meridione, e probabilmente l’italia tutta, non funziona. Nel sistemare un vaso e zappare l’aiuola vecchia, che penso siano entrambi comunali, mi sono passati davanti tipo venti persone con le mani aggrovigliate sul culo, piegate un po’ in avanti, e tutte mi hanno detto “ma ti pagano?” e/o “ma chi te lo fa fare?”. Io, semplicemente, mi ero rotto il cazzo di avere davanti al bar un’aiuola piena di Gratta&Vinci strappati e l’erba gialla.
Nel mio paese di merda, Capaccio, la gente è abituata a pensare che questa “Capaccio” sia una parola che appartiene a terzi, che accolga degli abitanti in semplice villeggiatura. Che sia un fardello che vorrebbe consegnare a uno straniero milionario venuto da molto lontano che, magari, si presenterà un giorno con una borsa piena di assegni e soluzioni magiche che accontentino tutti e rimetterà a posto il paese in 7 giorni come ha fatto Cristo santo.

Capaccesi miei adorati stronzi, avete eletto i vostri cugini piattari e amiconi di scuola che al posto dell’inglese parlano, in casi eccezionali, l’italiano, e adesso riuscite a essere sgomenti se si sono fottuti pure i sassi di Paestum per decorare i giardini delle loro villone pacchiane. Avete costruito le capanne abusive nelle pinete e buttato materassi nel fiume e adesso vi lamentate se abbiamo le comunità rom che ci rubano pure la cassetta della posta, le discariche sotto casa, le trote morte sulle rive. Avete preferito andare al mare ad Acciaroli, perché le spiagge son pulite, lì, eh?, e non avete mai preteso che le nostre, le più lunghe e preziose di qualunque altro paese venissero riqualificate. Avete preso in giro quei due tedeschi che per qualche stoico motivo ancora mettono piede nel centro storico, gli vendete un cono a 10 euro, una cameretta fatiscente a 400 e a nessuno importa se non ci sono neanche i mezzi per raggiungere il paese più vicino, e infatti le visite annuali sono crollate. Avete allevato quei vandali quindicenni dei vostri figli schizzati con le Hogan ai piedi e adesso non potete lasciare un vaso fiorito sotto il portico che il giorno dopo è distrutto. Avete aperto 97 bar in un centro abitato di 100 persone, date 500 euro alle disgraziate che sfruttate 10 ore al giorno, e adesso state chiudendo perché “non ci sono soldi in giro”. E alla fine di tutto questo vi permettete pure di dire che le cose qui non funzionano bene e ce ne dobbiamo andare dall’Italia?

Questo pezzo è in memoria del senso civico. Grazie Paolo.
Testo tratto dalla pagina FaceBook di Pierpaolo Mandetta.

Voi una cosa dovreste fare nella vita: prendervi una cazzo di responsabilità.

I cinque sensi del mare in inverno

Avete mai pensato a scegliere di trascorrere il Natale non nella ovvia montagna ma tra i colori e i profumi di una terra abbracciata dal mare? Sono reduce con la collega Debora Bergaglio da un entusiasmante giro in Salento. Tra presepi, buona cucina, ottimi vini e il profumo del Mediterraneo, garantisco di non aver sentito neppure per un attimo la nostalgia della folla sulle piste da sci. 

Dal sito Buonviaggioitalia.it (testi e foto Debora Bergaglio)
Per raccontare più efficacemente questo viaggio diverso da tutti gli altri e questo territorio che si svela in maniera diversa dal solito, userò i 5 sensi.

VISTA: luce, onde e città messapiche 

Sarà che siamo nel punto più orientale della penisola, sarà che in Salento si abbracciano e si fondono i due mari, l’Adriatico e lo Ionio, ma percepisco una luce intensa e trasparente che ci accompagna durante tutto il viaggio. L’arrivo nel piccolo borgo di Vignacastrisi, nel Comune di Ortelle, a pochi chilometri daCastro, meravigliosa località a picco sul mare, è accompagnato da un chiarore rilassante, destinato tuttavia a tramontare presto, rispetto al resto d’Italia.

buonviaggioitalia_salentoIl nostro Tour lungo il mare, costeggiando le spiagge più belle d’Italia, è accompagnato da questa luce che illumina e accende la bellezza di località come S. Cesarea Terme, Torre dell’Orso e S. Foca sulla costa adriatica, e Porto Cesareo su quella ionica. 

Dall’insenatura di Torre dell’Orso la luce colpisce la pineta e i famosi faraglioni delle due sorelle, simbolo del turismo in Salento e secondo la leggenda nati da due due fanciulle. Un susseguirsi di piscine naturali, grotte, scogli e isole basse rende l’idea del perché il Salento stia crescendo così tanto come meta turistica estiva. Ma noi non siamo qui per vedere le spiagge, per quanto belle, ma per scoprire cosa c’è appena all’interno di esse. La nostra meta èOria, in provincia di Brindisi, dove si trova il Castello di Federico II.
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Per raggiungerlo ci imbattiamo in alcune bellezze inattese, come il caratteristicoquartiere ebraico (foto), dove visse Donnolo, famoso medico farmacista a cui è dedicato l’ospedale di Tel Aviv, e la meravigliosa Cattedrale dedicata a Maria SS. Assunta, attualmente Basilica, da cui svetta a sinistra la Torre dell’Orologio e una bella cupola policroma.
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Ricca di tele e reliquie, la Basilica custodisce una sorpresa davvero inattesa, quasi raccapricciante. Dalla cappella del Battistero si accede infatti all’Oratorio dell’Arciconfraternita della morte, e da qui si può scendere fino alla cripta delle mummie, antico oratorio cinquecentesco alle cui pareti sono appesi i cadaveri disidratati dei confratelli. E infine eccolo, dominante e fiero, il Castello di Federico II, oggi gestito da privati, circondato da mura spesse fino ad 8 metri, un tempo utilizzato per riunire le truppe e dominare la città messapica e i due mari.
OLFATTO: dai sentori del Negroamaro allo show del pesce nella via delle pescherie 

Ulivi e vitigni, vitigni e ulivi, e poi il mare. Il territorio salentino offre una grande varietà di sensazioni olfattive. Prima fra tutte, quella del pregiato vino locale, ilNegroamaro, coltivato soprattutto nel territorio di Guagnano, dove la principale attività è la viticoltura. Qui si trovano cantine che esportano in tutto il mondo, come l’azienda Leone de Castris, pioniera dei vini salentini nel mondo, quest’anno premiata per i primi 70 anni del Five Roses, il primo vino del Salento ad essere esportato negli Stati Uniti.

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Dall’entroterra al mare, l’odore cambia e anche i prodotti. Il pesce domina la cucina e le vie dei borghi, come a Porto Cesareo, dove un’intera via, la via delle Pescherie, si accende come un palcoscenico per raccontare storie di mare. Grandi pescherie colorate, animate e ricche di pescato fresco di ogni genere si alternano immettendo nell’aria l’odore intenso del pesce e del mare di Puglia.

GUSTO: dal sapore intenso delle olive spremute alla cucina contadina del Salento 

Immense distese di ulivi secolari e muretti a secco, con reti allargate sui prati compongono la tela del territorio salentino. Con forme contorte e tenui sfumature del verde raccontano il sacrificio di chi lavora la terra e produce un olio apprezzato in tutto il Paese.

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Da metà ottobre a metà novembre scuole e turisti possono partecipare e vedere la raccolta delle olive e la loro trasformazione in olio purissimo, raccolto con metodi meccanizzati oppure a mano scuotendo le piante con una sorta di pettine.
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E in alcune aziende è possibile assistere alle fasi della lavorazione e poi degustare e acquistare il prodotto negli spacci aziendale. Moltissimi anche gli agriturismi e le locande sparse in tutti i borghi dell’entroterra, da Vignacastrisi a Guagnano, da Oria a Novoli, in cui assaporare una buona cucina contadina, semplice, fatta di ortaggi, carni e pesce, tra cui spiccano piatti tradizionali come le orecchiette e la tipica massa, e poi prodotti che non mancano mai come le fave, la cicoria, il finocchietto, talvolta anche la carne di cavallo. E per finire il dolcezza un buon pasticciotto, il caffè invece si prende al mare, come si usa fra gli abitanti di queste zone.

UDITO: il crepitio del fuoco, il ritmo delle feste 

C’è un’espressione molto calzante per sintetizzare le tradizioni più antiche del luogo. Il “fuoco buono di Puglia, messaggero di pace nel mondo”, ovvero una fra le più vive tradizioni del Mediterraneo, simbolo di incontro fra popoli, religioni e culture attorno al fuoco.

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Il crepitio del fuoco e il rullo ritmico dei tamburi trascinano verso le feste e le tradizioni del Salento. Fra queste il più importante evento invernale è senza dubbio la Fòcara di Novoli, un falò di 25 metri di altezza e 20 di diametro, il più grande del Mediterraneo, che brucia durante tutta la notte del 16 Gennaio in onore di S. Antonio, patrono di Novoli.
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E’ un ritmo incalzante, allegro, un’aria di festa, fatta di suoni, una musica che si propaga velocemente come le fiamme del falò, in un grande abbraccio per la rievocazione del rito laico della Festa della vite e del Paesaggio del Parco del Negroamaro, che inizia l’8 Dicembre e culmina il 17 gennaio di ogni anno.

TATTO: l’abbraccio dell’ospitalità, le tecniche artigianali dei presepi

Passione è il sentimento che si avverte a pelle, arrivando in Salento. Quella passione che splende negli occhi fieri dei suoi abitanti, legati alla loro terra, ai suoi frutti, alle loro attività. Accoglienza è la sensazione che si percepisce dai modi gentili dei proprietari delle strutture ricettive, dai B&B alle dimore, che considerano il turista non già come un cliente, bensì come un ospite.

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Arte e maestria sono gli aspetti che contraddistinguono e mantengono in vita gli eventi legati alla tradizione, come gli straordinari presepi viventi che coinvolgono larga parte della popolazione locale, impegnata a far rivivere mestieri antichi e tecniche di lavorazione ormai dimenticate.
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Particolarmente significativi, direi da non perdere, il presepe vivente di Vignacastrisi, con circa 150 figuranti in costume e numerose scene per le vie del centro storico, e quello di S. Donato, ambientato in una location d’eccezione, quasi esotica per la presenza di cactus e di un delizioso percorso botanico.  
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Il SESTO SENSO è il ben – essere, ovvero la sensazione di relax, di armonia e di aver staccato veramente la spina che prova il turista che sceglie il Salento, sia d’estate, ma anche d’inverno, all’insegna di un tour insolito, ricco di magia e di scoperte non scontate.