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L’orango che è in tutti noi

Un vicepresidente del Senato bolla un ministro “orango”. L’onorevole sarà ben informato che la differenza nel DNA tra un uomo (perfino se presidente di Senato o ministro) e un primate come uno scimpanzè è minore del 2% e i gorilla sono, nel loro genoma, molto più vicini di quanto non si creda all’homo sapiens sapiens.

Immagino che il vicepresidente sia anche al corrente che perfino il maiale non è distantissimo da noi in quanto a cromosomi. Nelle prime giornate di esistenza del feto, uomo e maiale sono anzi praticamente indistinguibili. A volte anche dopo la nascita, vien da pensare a leggere certe dichiarazioni.
Consiglio non a caso la lettura di “Uomini per caso”, buon compendio di come selezione ed evoluzione hanno agito sugli ominidi. Non su tutti a dire il vero. Dopo le 288 scorrevolissime pagine, le idee saranno più chiare dal punto di vista scientifico. Il testo é invece completamente inutile per argomenti come educazione, cortesia e rispetto, per i quali si rimanda direttamente alla cronaca di questi giorni.
Questo pezzo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Precisazione scientifica a seguito dei commenti apparsi sul blog dell’HP:
… non è la composizione percentuale di basi azotate ma piuttosto il grado di uguaglianza delle sequenze che codificano per le proteine che ci compongono, che regolano l’accrescimento e la differenziazione dei tessuti etc. Siamo veramente molto simili alle scimmie.
Vuole semplicemente dire che il 98% della sequenza del nostro DNA si sovrappone a quella di una scimmia. In quel piccolo 2% sta tutta la differenza. Non stupisce se si pensa che solo meno del 5% del nostro DNA codifica per delle proteine, il che non vuol dire come lei sostiene che il restante DNA sia inutile… (Vincenzo La Manna)

Il giorno in cui sono morto un po’

All’anagrafe faccio “stefano” e uno stretto nugolo di amici mi chiama “orso” un po’ per il carattere e un po’ per un piccolo tatuaggio sul braccio, quindi se leggo un titolo di giornale tipo “hanno ucciso l’orso Stefano” mi sento chiamato in causa. Parecchio.

Stefano, quello ucciso, era un orso bruno marsicano. Lo hanno aspettato e fatto secco con tre colpi mentre probabilmente si sentiva al sicuro e libero di scorrazzare nell’area protetta del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio, Molise. La scena è stata più simile a una sadica esecuzione. Il primo colpo al femore per fermarlo. Il secondo caricato a pallettoni per farlo soffrire. Il terzo, letale, alla testa.

Così, di questi tempi, neppure l’altro stefano, quello vivo che sta scrivendo, si sente tanto sicuro, cosciente che l’unica differenza con lo Stefano impallinato é il potersi difendere, con le mani, con le parole, se serve anche con le armi. Con la legge no, purtroppo, perché quella avrebbe dovuto proteggere entrambi. Tutto era dunque precluso all’altro Stefano, perfino l’istinto naturale, ancora più indifeso anche perché la sua natura non gli faceva più temere l’uomo.
Questo rende il gesto ancora più grave. Un segnale che la guardia non dovrebbe mai essere abbassata perché l’uomo é un gran bastardo quando ci si mette. E questa cosa, sarò all’antica, uccide ogni giorno un po’ anche lo stefano rimasto vivo.
Intanto la Lav, Lega Anti Vivisezione, ha messo una taglia: chi fornirà notizie attendibili per incastrare gli esecutori, riceverà una ricompensa. Riusciremo davvero a dare un valore a tutto?