Archivi tag: montagna

Valanghe: lo spettacolo in sicurezza

Anche se spesso ci è presentata come un fenomeno catastrofico causa di vittime, una valanga è in realtà un evento assolutamente naturale. In caso di sovraccarico di neve, la montagna scarica a valle quello che per la temperatura, gli agenti atmosferici o la conformazione orografica non riesce più a trattenere in quota. Le scelte avventate di scialpinisti o la tragica concomitanza di fatalità fanno il resto trasformando, solo occasionalmente, il fenomeno in tragedia. 
Nei giorni scorsi ha fatto il giro dei social e delle testate la valanga della Val Passiria filmata da un contadino. Senza mietere vittime, la colata di neve ha lambito un gruppo di case incanalandosi lungo la strada. Conosco la valle, nei dintorni di Merano, e ci sono tornato con un intento preciso: sfatare il terrore delle valanghe e invitare la gente ad ammirarle in sicurezza. Credetemi, non solo è possibile ma anche una lezione imperdibile per chi ama la montagna.
La valle di Plan, frazione di Moso in Passiria, in provincia di Bolzano, non è solo un paradiso ecologico chiuso al traffico veicolare privato, ma anche un punto di osservazione privilegiato per lasciarsi incantare dalle scivolate della neve verso valle. Dalla posizione di sicurezza della pista pedonale che costeggia il torrente, una passeggiata collega il centro abitato alla malga Lazins. Tra febbraio ed aprile sentirete boati e fruscii intensi e ammirerete vagonate di neve, ma non dovete temere. Con la raccomandazione di attenersi alla traccia ben battuta (è disponibile anche un servizio di carrozze a cavallo) un’ora di tranquilla passeggiata a portata di famiglia conduce in un circo bianco dove c’è anche l’occasione di gustare un’ottima cucina alpina nella stube della malga. Per la cronaca, la traccia della valanga del filmato la vedete prima di entrare in paese sulla destra della strada. I muri di neve ai fianchi dell’asfalto testimoniano i quasi 8 (otto!) metri di neve caduti nelle ultime settimane.
Basterà una passeggiata così per leggere in modo diverso la prossima notizia di una valanga. La lezione è sempre la stessa. Come insegnano i vecchi nei paesi: le case non vanno costruite a caso ma osservando i solchi di scarico sui pendii, i boschi non vanno tagliati indiscriminatamente perché trattengono neve e acqua, l’uomo non deve sfidare inutilmente la montagna quando le condizioni lo sconsigliano. Dopo un giro così ci sarà un’altra confidenza con la natura e anche un messaggio per chi vuole coglierlo: la montagna non uccide, la stupidità sì.
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Naturale o programmata, ecco la neve

Arriva la neve, ma non sempre è sufficiente a permettere di preparare le piste come ogni sciatore desidera. Spesso è un problema di scarse precipitazioni, spesso di alte temperature che obbligano a integrare la neve naturale con quella programmata. Sottolineo il termine programmata perché è improprio usare il termine artificiale, in quanto la neve è neve, semmai si discrimina se a rimpolpare il manto nevoso sono le precipitazioni meteo o la pianificazione umana. Questo anche per sfatare il mito che la neve sparata dai cannoni sia addizionata con componenti chimiche di sintesi.

L’ecologia di una stazione sciistica si misura semmai con altri parametri. Premesso che la montagna degli impianti non è mai completamente green, almeno non tanto quanto vorremmo, si possono leggere pochi, essenziali segnali per capire quanto è limitato l’impatto di una stazione sciistica.

Il primo grosso elemento grigio che sporca la neve è la mobilità. Sì, auto e mezzi privati non aiutano l’ambiente. Piuttosto è utile pensare all’integrazione con i mezzi pubblici, come già avviene ad esempio a Pila (Valle d’Aosta) e a Plan de Corones (Alto Adige Südtirol), dove una stazione ferroviaria è creata apposta per gli sciatori e integrata con la partenza dello skilift.

Poi svolge un ruolo importante l’energia. Per sparare la neve coi cannoni serve corrente per il cannone e per pompare acqua in quota. La corrente è davvero pulita se è prodotta con impianti da fonti rinnovabili (in montagna l’idroelettrico) e il pompaggio è davvero ecologico se limitato all’indispensabile accumulando in quota acqua nei bacini, riempiti in momenti di grandi precipitazioni come la primavera e l’autunno.

Poi fanno la differenza tanti piccoli accorgimenti. Qualche esempio? Il fare in modo che la gestione dei rifugi in quota sia attenta ai temi del riciclo dei rifiuti e del chilometro zero. Tanto per fare un esempio, è poco avveduto chiedere del pesce di mare in rifugio o ordinare la Sanpellegrino sul Terminillo. Sul tema dell’acqua in particolare è bene ricordare che siamo in montagna e non è detto che l’acqua del rubinetto non sia migliore di quella che vi servono in bottiglia.
Un altro spunto arriva dai gatti delle nevi. I più recenti sono catalizzati e alcuni sono addirittura ibridi. Se in una stazione il parco mezzi è aggiornato, è un indice di sicura attenzione all’ambiente.

L’integrazione degli impianti tra i versanti di una montagna o tra più valli, è un valore aggiunto. In Italia esistono buoni comprensori. Quello eccellente che ci invidiano in tutto il mondo è sicuramente il Dolomiti Superski. Spalmato su Alto Adige, Veneto e Trentino permette di dimenticarsi della macchina e muoversi come se gli sci o la snowboard fossero il solo mezzo di collegamento.

A titolo personale, considero deleterio e da scoraggiare l’eliski, per questo diffido dalle stazioni sciistiche che lo propongono. Un elicottero inquina come un gruppo di autobus, disturba la quiete da molti chilometri e spesso porta degli scellerati a quote dove gli sci non dovrebbero neppure arrivare. Si sa, però, che gli esibizionisti sono sempre pronti a farsi notare, per questo li terrei lontano da certe idee sanzionandoli pesantemente.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Messner: la montagna non è una cartolina

Tre castelli medievali, un forte dolomitico della Grande Guerra, una avveniristica rampa sotterranea si affacciano ai luoghi tra i più suggestivi dell’arco alpino, contengono reliquie di chi ha scritto la storia dell’alpinismo, raccontano con opere d’arte cosa succede quando uomini e montagne si incontrano.

Sono le 5 tappe del Messner Mountain Museum e suggestionano perfino chi si avvicina per la prima volta al mondo incantato delle vette. Ho avuto la possibilità di conoscerle con il protagonista, Reinhold Messner, e confermo che non sono semplici musei ma percorsi di esperienza e coinvolgimento che tutti possono respirare al punto da farne tesoro e conservarli nel bagaglio indelebile delle emozioni da raccontare.

Un film documentario di 50 minuti racconta ora, partendo dalla sua prima volta sulle montagne di casa,  quello che il più grande alpinista vivente considera il suo quindicesimo 8000, un concatenarsi di racconti, oggetti e esperienze che palpitano all’interno delle mura. Cassin, Bonatti, ma anche i grandi esploratori Amudsen, Scheckelton, sono lì attraverso gli oggetti che li hanno accompagnati e ci parlano. La voce narrante intervallata dalle riflessioni di Messner è un viaggio attraverso le parole e i gesti dell’alpinista che ritorna alle sue esperienze più forti, quelle delle risate, quelle delle lacrime. Se pensate di conoscere tutto di lui, forse dovrete ricredervi. C’è un Messner sconosciuto dietro l’alpinista: collezionista di opere d’arte, contadino, filosofo, con la sua personale idea di ecologia. Preparatevi a frasi forti: “Dio è un’invenzione dell’uomo”, “la montagna non deve essere una cartolina”, “mi sono scontrato col più grande fallimento”. Messner non è un uomo facile e nel film ne dà un’idea. L’uomo che ha scalato le più alte montagne, ha ancora una storia potente da svelare.

La prima ufficiale è al Festival dei Festival di Lugano. Se siete in zona e amate la montagna, non esserci è un peccato.

Questo articolo è pubblicato anche sull’HuffingtonPost.

Domenica dove: la montagna va a Pila

Per chi cerca una stazione montana attenta ai temi dell’ambiente suggerisco Pila, in Valle d’Aosta.

Della corona di boschi che circonda il Monte Emilius, appena sopra Aosta, si possono raccontare cose interessanti: si cammina in una cornice panoramica che spazia dal Gran Paradiso al Monte Rosa passando per il Bianco e il Cervino, si pedala alla grande in un bike park con diversi gradi di difficoltà, ci si destreggia con un parco avventura che mette alla prova il senso dell’equilibrio, si mangia e si beve bene grazie a una costellazione di locali tradizionali sui sentieri.

La cartina è scaricabile sui palmari. Buono anche il livello del servizio alberghiero, ho molto apprezzato il trattamento dell’Hotel La Chance, con un ottimo rapporto qualità prezzo e un piccolo centro benessere affacciato sul prato e il Monte Bianco.

Ma veniamo alla parte eco. La località merita di essere presa in considerazione per almeno tre motivi. Il primo e più importante è la mobilità sostenibile: scendendo dal treno nella stazione aostana la telecabina porta direttamente in quota facendone il punto di interscambio diretto rotaia-fune più vicino a Milano e Torino. Proprio la vicinanza dalle grandi direttrici premette di contenere i tempi di spostamento e i relativi costi, ambientali e di portafoglio. Infine, la stazione è attenta ad argomenti come la piantumazione dell’erba sulle piste da sci, la raccolta dell’acqua in quota per non pomparla dal fondovalle, la raccolta differenziata dei rifiuti.
Insomma, che si voglia salire a Pila per fare sport, dormire in rifugio o solo abbandonarsi alla lettura di un libro su uno dei laghi d’alta quota che punteggiano la conca, qui non manca energia, come del resto il nome della località lascia ben sperare da subito.

La carrozzina con le montagne intorno

Per la prima volta nella storia del turismo, un paese alpino mette ufficialmente in rete un network di sentieri su scala nazionale e destinato espressamente al pubblico con difficoltà motorie.

Intendiamoci, la novità non è il sentiero per gli handicappati o la pagina web della descrizione del percorso. In Italia esistono tracciati segnalati su parks.it , come ne esistono nelle singole regioni e in certi comprensori turistici. La novità è che un intero stato si è mobilitato e ha messo un sigillo su scala nazionale definendo i percorsi, la segnaletica e, soprattutto, creando le condizioni per arrivarci anche con i mezzi pubblici.

Il paese è la Svizzera. A questo punto si possono pensare due cose: 1- facile, è un piccolo paese ed è ricco, 2- erano già in vantaggio per la rete sentieristica integrata con mezzi pubblici.

Punto 1. Sì, è facile. La Svizzera sarà anche piccola ma è un groviglio di valli e montagne, e comunque è facile perché gli svizzeri sono ben organizzati, hanno senso civico e si muovono nelle loro parti in modo coordinato. Ricordo che, sembrerà una sciocchezza, in certe regioni italiane chi organizza le linee bus nelle valli non tiene conto di dove iniziano i sentieri e le fermate sono distribuite come fagioli in un barattolo, cioè a caso.

Punto 2. Certo che sono in vantaggio, ma non perché un giorno si è spalancato il cielo e una colomba bianca ha illuminato il paese del groviera e cioccolato. Sono partiti prima e hanno costruito un “sistema”. Cos’è un sistema? Cito Wikipedia: “il sistema, nel suo significato più generico, è un insieme di elementi interconnessi tra di loro o con l’ambiente esterno tramite reciproche relazioni, ma che si comporta come un tutt’uno, secondo proprie regole generali”.

Ora un semplice esercizio prima di lucidare la carrozzina e mettersi lo zaino: sottolineare le parole della definizione wikipediana estranee alla rete italiana. Resta ben poco di diverso se non affrettarsi a mettere un biglietto svizzero in tasca.

Un’ultima nota: non sottovalutiamo questi sentieri. Sono sì stati pensati per individui con difficoltà motorie, ma non disdegniamoli anche per i passeggini, per avvicinare i più piccoli o per gli allergici alla troppa fatica alla montagna.

Questo articolo è stato pubblicato anche sull’Huffington Post.

La coda sul tetto del mondo, il buon senso resta a valle.

Il sole non è ancora sorto quando la comitiva di dieci persone e due guide è incolonnata appesa a una corda sotto un cielo che sta virando dal carbone al cobalto.

Ogni passo è un’impresa, ogni gesto uno sforzo, le maschere scandiscono il respiro. Basta un niente, ma davvero un niente come scivolare, cadere sulle proprie ginocchia, inciampare in una corda, per creare l’incidente che mette a repentaglio la vita del gruppo e delle guide. Lo illustra bene un filmato di National Geographic di una gita finita in tragedia. Ma l’Everest non è da gita, l’Everest non è per tutti.  Eppure una logica di sfruttamento commerciale vuole farlo diventare, portando in vetta comitiva di gente impreparata. Non bastano pochi giorni di acclimatamento per fare di chiunque un alpinista. Non basta una buona attrezzatura per prevenire l’assideramento.

Analogamente, una certa logica commerciale, se vogliamo ancora più sporca, fa in modo che i grandi alpinisti sponsorizzati da altrettanto grandi marchi diffondano a loro volta il nome delle montagne più alte del mondo. Il denominatore comune di tutti è poter dire “siamo stati lì”, vale per l’alpinista, per il suo sponsor, per i partecipanti della gita. Ecco allora il conflitto. Gli sherpa vedono negli alpinisti e nelle loro spedizioni milionarie un ostacolo al loro pane quotidiano. Gli alpinisti vedono negli sherpa e negli improvvisati gitanti un fastidio alla loro impresa. In qualche punto, lassù, il contrasto: dove non c’è lo spazio per un passo fuori posto non c’è spazio nemmeno per la lucidità di una discussione in caso di contatto. È quello che è successo. Gli sherpa attaccano. L’alpinista, nel caso Simone Moro, si difende.

Se anche è andata così non c’è un torto o una ragione. Dovrebbe esserci solo il buon senso. Ma è il presupposto al buon senso che manca: è davvero utile all’economia locale portare lassù una comitiva improvvisata? O davvero utile per il noto alpinista e il suo sponsor milionario cimentarsi nell’ennesima impresa sulla vetta? Tra le tante alternative, un uomo di buon senso non credo risponderebbe affermativamente a entrambe le domande. Simone Moro è abbastanza intelligente per trovare modo di dare eco alla propria capacità. Gli sherpa potrebbero essere stimolati a promuovere forme di turismo di scoperta che non preveda tornelli da metropolitana ai campi base. Ci sarà tempo per rifletterci a valle?

Questo post è stato pubblicato anche sull’HuffingtonPost.

Messner: «Le mie montagne senza ghiaccio»

Questo articolo è pubblicato anche su “Il Corriere della Sera

Una mostra fotografica registra il ritiro eccezionale delle masse bianche

L’alpinista: «Crolli continui, trasformazioni drammatiche. L’uomo non deve insediarsi dove ci sono le sorgenti»

«Senz’acqua la montagna crolla». Il più grande alpinista vivente, oggi anche collezionista d’arte e contadino, ma soprattutto teorico di una nuova ecologia, apre, nel suo museo più vasto, il castello di Firmiano che domina la conca di Bolzano e si confronta a distanza con il maestoso Scilliar, un’inusuale galleria fotografica sui ghiacciai per lanciare un messaggio forte. «Sparisce il ghiaccio, si sgretolano le montagne. È l’acqua allo stato solido che tiene ferme le pareti di roccia. Se si scioglie, noi perdiamo qualcosa. Quando ero piccolo cadevano solo piccoli pezzi ogni tanto, oggi si staccano pietre ogni settimana e talvolta crollano rocce come grattacieli».

CAMBIAMENTI – Messner ha le idee ben chiare su come stanno cambiando le cose e su cosa dovremmo fare per evitare il peggio. «Le Dolomiti erano definite da Le Corbusier le costruzioni più belle del mondo, nate nel mare come coralli. In 50 milioni di anni sono cambiate un po’ le forme, però il verde dei cirmoli, le malghe e poi la verticalità delle rocce sono sempre una combinazione unica». Un suo ritratto esposto in un altro castello, quello di Brunico, mostra capelli e barba fluenti che si fondono nella montagna e che ti immagini fatti apposta per essere mossi dal vento dell’Himalaya. Lo sguardo è fermo e convinto, reso ancora più autorevole dalle ciglia così folte da farlo sembrare forte come gli alberi le cui chiome sono temprate dai venti che sferzano le vette.

RACCONTARE LA MONTAGNA – In questi anni ha aperto cinque musei per raccontare la Montagna. Lontano dal dimostrare i suoi 69 anni, gli occhi che spuntano da quel pelo sono un vispo concentrato delle immagini che hanno ammirato nei cinque continenti. Vette, popoli, deserti e ghiaccio, tanto ghiaccio (compreso quello dell’Antartide), acqua allo stato solido che per lui è talmente importante da averci dedicato una delle tappe del suo percorso museale. A Solda, ai piedi dell’Ortles, un edificio invisibile dall’esterno ospita una collezione di dipinti e cimeli dove l’acqua e il ghiaccio sono protagonisti. «Non potevo portare la gente in vetta, così ho fatto un museo dove il ghiaccio si vede, raffigurato nei quadri e in tutta la sua magnificenza dall’unica apertura ricavata sul tetto». Un taglio che sembra un crepaccio lascia intravedere la vetta dell’Ortles, «la montagna cade e noi qui la sentiamo». Si riferisce al recente crollo della croce sulla vetta, sgretolatasi per la fusione del permafrost.
La mostra appena aperta al castello di Firmiano nell’area delle esposizioni temporanee racconta per immagini il ritiro dei ghiacciai. «Se la tendenza continuerà», sostiene l’alpinista, «gli ecosistemi alpini d’alta quota ne risentiranno in modo drammatico». Eppure nelle sue parole non c’è l’ansia dell’allarmismo. «Lasciamo agli scienziati il giudizio su quanto sta accadendo. La terra si è sempre modificata e io mi rendo conto che sto assistendo a una trasformazione straordinaria».

MANAGER – Reinhold Messner non è più solo uno sportivo. Ormai è anche il manager dei suoi musei ma soprattutto il contadino che attorno al suo castello di Juval coltiva viti da vino e gestisce un’azienda agricola modello con un ristorante a chilometro zero. «Mi sono reso conto che l’acqua è la chiave delle attività in montagna, è la vita. Un maso non può sopravvivere senza acqua, a Juval un acquedotto rifornisce il castello da 400 anni. Se il ghiacciaio della val Senales si fonde, sono finito…».

MESSAGGIO – Il messaggio che l’alpinista lancia è soprattutto una presa di coscienza. «Quando andavamo a scalare, noi sulle Alpi non portavamo neanche la borraccia. Sugli Ottomila avevamo solo il fornello per sciogliere la neve, perché se vai in montagna sai che l’acqua è tutto. L’uomo deve rispettare l’acqua perché da lì viene la vita. Non deve costruire dove si forma e non deve contaminare». Con il pragmatismo della gente di montagna, Messner traccia una linea di confine precisa e invalicabile: oltre i duemila metri non bisognerebbe stabilire alcuna attività. «Alla base di tutto c’è il rispetto per la cultura contadina», precisa Messner. «Nei miei musei ho parlato dei popoli del mondo. Per le Alpi ho coinvolto la mia gente, i sudtirolesi, e i Walser. Essere Walser significa ricordarci delle tradizioni e rispettare l’ambiente, a partire proprio dall’acqua. I problemi che abbiamo con le Alpi sono parecchi. Molti dalla città vorrebbero usarle solo per passare il weekend. Altri sognano le Alpi di Heidi. Io mi batto per la realtà. Abbiamo una responsabilità, il diritto di tutelare e anche sfruttare le Alpi dove l’uomo ha sempre lavorato. Se il turismo ci porta i mezzi per sopravvivere è giusto approfittarne. L’allacciamento tra turismo e agricoltura è la base per l’economia di montagna, però oltre una certa quota, dove c’è il ghiacciaio, dove l’acqua si forma, l’uomo non deve insediarsi».

GUARDARE IL PAESAGGIO – Gli allestimenti dei musei rivelano un’estetica che oscilla tra minimalismo ed esaltazione per la materia: ferro grezzo per le strutture, pietra sulle mura e i quadri che si stagliano come chiazze di colore. Mentre passeggia di fronte alle tele invita a guardare un paesaggio alpino sul confine tra il pascolo smeraldo, la roccia rugginosa e il ghiaccio perlato. Quella mano che ha impugnato una piccozza su tutte le vette più alte del pianeta vuole ora accarezzare i colori.

Questo articolo è pubblicato anche su “Il Corriere della Sera

Gayart nel cuore delle Dolomiti segrete

Questo articolo è pubblicato anche su Mondo in Tasca

La Val Fiscalina nel Südtirol è un piccolo solco tra pareti di roccia alle spalle delle Dolomiti di Sesto Pusteria. Un minuscolo mondo immerso nella quiete della natura. In inverno si ascoltano i tonfi della neve che cade dai rami, in estate il suono delle cascate

Le Dolomiti da cartolina sono quelle che tutti conoscono e fotografano. Sono, purtroppo, le Dolomiti che sopportano il traffico e il congestionamento, quelle che forse, un giorno, chiuderemo alle auto per lasciarle solo ai mezzi pubblici. Poi ci sono le Dolomiti più nascoste, quelle in cui ti sembra di essere stato catapultato in un angolino di Canada e dove a un certo punto incappi in una baita dove due uomini dipinti ti raccontano di storie e tradizioni che passano anche da Harrer, il protagonista di Sette anni in Tibet. Ecco, queste sono le dolomiti che amo.

Val Fiscalina, quiete assoluta

valfiscalinaSiamo in Val Fiscalina, potreste aver difficoltà a trovarla sulla mappa perché e solo un piccolo solco tra pareti di roccia alle spalle delle Dolomiti di Sesto Pusteria, in Alto Adige – Südtirol. Che si vada in pieno inverno ad ascoltare i tonfi della neve che cade dai rami o in estate quando le cascate diffondono la loro eco tra le cenge, il quadretto è quello di un posto isolato e immerso nella quiete assoluta.
La coltre dei pini all’ingresso della vallata si para a chi arriva come fosse un esercito verde. Le creste sullo sfondo sono aguzze e formano un circo curvo al punto giusto da sembrare una cornice che nasconde qualcosa. Non ci sono impianti di risalita ma solo una pista battuta con a fianco l’anello per lo sci da fondo.

Sci alpinismo ma anche salutari passeggiate

valfisca2Chi pratica lo sci alpinismo può inerpicarsi verso il passo, meglio se accompagnato da una guida, mentre chiunque può invece fare una ciaspolata sull’altopiano che sovrasta Moso. Gli impianti più vicini per lo sci da discesa sono quelli in paese.
Naturalmente si può anche solo staccare la spina e basta, limitandosi magari a camminare e ossigenarsi sul percorso completamente pianeggiante che inizia alla fine della strada.
Il distacco è netto, nell’ultimo parcheggio delle auto finisce il XXI secolo e ci si cala nel silenzio. Sembra incredibile eppure è quello che succede qui dove l’ultima casa della valle è la stazione di posta ora trasformata in un delizioso chalet albergo, friendly per chiunque della montagna cerca l’autentico.

Arte popolare e opere dell’artista Albert Stoltz

valfisca3Autentica come la decorazione dei due selvaggi di cui si raccontava disegnati sulla baita vicino al torrente. Sembrano usciti davvero da un libro di gaycomics appena pubblicato ma risalgono agli inizi del ‘900. Sono disegni di Albert Stoltz, un artista che con i fratelli Ignaz e Rudolf ha lasciato molte opere sulle facciate dell’Alto Adige. All’imbocco della nostra vallata, in località Moso, c’è un museo dedicato al fratello Rudolf che ospita anche opere degli altri membri della famiglia. Albert in particolare divenne famoso come pittore di guerra impegnato sul fronte italo austriaco e le sue opere ci mostrano uno spaccato di vita bellica, con i soldati che combattono coperti di loden tra i ghiacciai in inverno e che lavorano a torso nudo in estate per scavare trincee. La contemporaneità del tratto del disegno rende questo museo fruibile a chiunque sia appassionato di arte popolare. Non da meno è l’impatto delle figure sul muro del vicino cimitero o della via crucis all’interno della chiesa, originale non solo per il tratto ma perché dipinta tutta in toni di blu. Museo e valle sono raggiungibile con una camminata pianeggiate di circa un’ora, è impossibile perdersi grazie allo sterrato che costeggia il fiume.

Heinrich Harrer, avventuriero e alpinista

valfisca4A proposito di camminate, una curiosità non a tutti nota riguarda il personaggio di Heinrich Harrer. Lo conosciamo per aver scritto Sette anni in Tibet e lo immaginiamo con la faccia di Brad Pitt che ne interpretò il ruolo nella trasposizione cinematografica.
Avventuriero e ottimo alpinista, fu maestro di sci ospite per molte stagioni della famiglia che ancora oggi gestisce l’Alte Post al termine della strada. La vecchia stazione di posta è stata infatti sapientemente recuperata e oggi è un romantico nido che accoglie coppie in cerca del paesaggio romantico assoluto o single in ricarica creativa. Cito entrambe le categorie volutamente in quanto parte in causa.

Galleggiare sotto le stelle

valfisca5La spa è alimentata con l’acqua di sorgente, offre la sauna al legno aromatico e i massaggi al tampone di erbe alpine. La piscina riscaldata affacciata al bosco ha una parte all’aperto dove si può galleggiare sotto le stelle. Il ristorante è all’altezza del luogo e delle tradizioni locali attente agli ingredienti a chilometro zero, con i formaggi del contadino e le verdure stagionali dell’orto. C’è un elemento in più che mi piace considerare in un posto così: l’attenzione ecologica che mettono nella gestione si combina con la possibilità di raggiungere la località con i mezzi pubblici combinando il treno fino a Sesto Val Pusteria e poi l’autobus che attraversa Moso e raggiunge la valle, come dire che qui la macchina è davvero superflua. In Alto Adige, tra l’altro, grazie alla Mobil Card, si può viaggiare da uno e sei giorni su ogni mezzo pubblico.

Questo articolo è pubblicato anche su Mondo in Tasca

Siediti e godi, sei al Banff.

Il prossimo 6 marzo un nome canadese ricorrerà tra le vie di Milano e, a seguire, tra quelle italiane. Banff è una piccola città dello stato dell’Alberta lungo la Trans Canadian Highway, incorniciata dal Parco delle montagne rocciose. Con 7500 abitanti e quasi altrettanti orsi e coguari nei paraggi è uno dei paradisi degli sport di montagna. E’ anche la sede di uno dei film festival di montagna più celebri del pianeta, secondo solo al nostro di Trento per anzianità.

In programma alla fine di ottobre, il Banff Mountain Film Festival è un grande evento celebrato nello spirito dell’avventura: una rassegna di nove giorni in cui i riflettori sono puntati su filmati e libri di montagna con ospiti internazionali, autori, registi, alpinisti, climber ed esploratori provenienti da ogni angolo del globo.
Al termine delle proiezioni, i migliori film di ogni annata sono raccolti in una selezione e portati in giro per il mondo in un tour che quest’anno toccherà  390 città in oltre 35 nazioni, per un totale di circa 700 serate. Ora anche italiane.
Dedicato al dinamico pubblico di appassionati di sport outdoor, il BMFF World Tour Italy che inizia questa settimana riproporrà agli spettatori le straordinarie, coinvolgenti ed elettrizzanti atmosfere del festival canadese, giunto quest’anno alla sua 37ma edizione.
In circa due ore di proiezione gli undici film, selezionati tra i migliori, spazieranno da quelli dedicati all’alpinismo fino a quelli estratti dal programma che raggruppa i video più intensi e veloci di Banff. L’elenco completo dei filmati del tour italiano è consultabile sul sito.
Immaginatevi fotogrammi di imprese alpinistiche e sportive di ogni tipo all’interno di scenari decisamente fuori dall’ordinario, tra grandi spazi selvaggi, natura incontaminata, montagne, mari, deserti. Con un filo di rammarico, scorrendo il programma è evidente che prevalgono nettamente gli sport adrenalinici, di quelli che ti inchiodano alla poltrona, a discapito di dimensioni più quiete delle alte quote. Così i riders si fiondano in sella piroettando su trampolini di terra battuta, canoe si buttano in acque bianche sfidando tsunami fluviali, arrampicatori si espongono a vertigini mozzafiato, snowboarder scelgono canaloni suicidi, fino agli uomini che con le  tute alari volano (sì, avete letto bene, volano!) nelle valli sfiorando rocce e pini, allacciate le cinture e guardate questo. Da documentarista, obietto bonariamente che zoppica un po’ la parte più puramente naturalistica, anche se eccellentemente rappresentata da Mountains in motion di Paul Zizka che sarà un piacere gustare sul megaschermo da 155 metri quadri del cinema Orfeo a Milano. Con la straordinaria tecnica del time-lapse, le montagne rocciose aspetteranno gli italiani per l’anteprima nazionale. Per chi ama davvero la montagna sarà un peccato non esserci.