Archivi tag: natura

preti che predicano il verde

Sono sempre stato affascinato da un certo tipo di sacerdote, quello che non ha paura di sporcarsi le mani, in una missione oltremare come nei quartieri più critici delle nostre città. Nel 2008, l’indimenticato Candido Cannavò pubblicava Pretacci, storie di uomini che portano il vangelo sul marciapiede.

Ho chiesto al figlio Alessandro di raccontarmi cosa avesse spinto papà ad abbandonare per qualche ora il tempio del giornalismo milanese per dedicarsi a quei sacerdoti che al pulpito e alle speculazioni teologiche hanno preferito l’impegno nelle zone più difficili del nostro paese, in aree dove perfino le forze dell’ordine hanno difficoltà a muoversi.

«Candido ha sempre avuto una particolare attenzione per le fasce più deboli, gli emarginati, gli invisibili – dice Alessandro Cannavò – Da direttore della Gazzetta ha spesso coinvolto i campioni dello sport in iniziative sociali. Non era mosso solo da una spinta etica, sapeva col fiuto del giornalista di razza che le loro storie sono dei veri tesori di umanità.

Con questa convinzione si è avvicinato ai pretacci, affettuoso e ironico dispregiativo per definire i preti in prima linea nell’affrontare le emergenze sociali. Papà non era religioso ma ammirava quel volto del cristianesimo che affonda ogni giorno le mani nella melma della violenza, delle sopraffazioni, dell’indifferenza e della miseria materiale e morale per estrarre il buono che nonostante tutto esiste e che può crescere.

È una chiesa che non ha paura, forte della consapevolezza di essere portatrice della parola e dell’esempio di Gesù Cristo. Un mondo, quello dei pretacci, che ha raccontato andando in giro per l’Italia con il taccuino in mano e l’entusiasmo di un giovane cronista. Ho un solo rammarico: che mio padre sia morto prima dell’arrivo di Bergoglio. Avrebbe vissuto questo pontefice come una vittoria personale.»

Proprio Papa Francesco, con l’enciclica Laudato sì del 2015, prende una posizione ferma sull’ecologia, non solo quella delle bandiere ambientaliste, ma quella integrale per l’equità verso i poveri, l’impegno nella società, naturalmente anche quella per la Natura. Con il titolo è preso in prestito dal Cantico delle creature di San Francesco, il pontefice chiede per la nostra terra, “casa comune” maltrattata e saccheggiata, una “conversione ecologica” e un “cambiamento di rotta”.

Oggi esce Preti Verdi, l’Italia dei veleni e i sacerdoti-simbolo della battaglia ambientalista. 

Mi piace pensarlo come il passo di un unico percorso iniziato dai primi missionari. Mario Lancisi racconta le storie di dieci sacerdoti combattenti che predicano e agiscono per terra, acqua e aria pulita, elementi indispensabili per la salute e il lavoro. L’Italia dei veleni è colta da diverse angolazioni, quelle che hanno riempito pagine di giornali e che rievocano nei nostri occhi animali agonizzanti, bambini ammalati, terra marcia.

La geografia degli orrori non ha purtroppo bisogno di presentazioni. Ritroviamo l’ILVA di Taranto, il petrolchimico di Augusta, la famigerata terra dei fuochi, l’eternit di Casale, l’inceneritore di Brescia, il cemento selvaggio del Veneto. Se l’Italia vista da Capri, dal Canal Grande, dai Fori Imperiali, dalla cupola del Brunelleschi ci rende orgogliosi, quella vista dai campanili di Don Albino Bizzotto, Padre Guidalberto Bormolini, Don Michele Olivieri, Padre Maurizio Patriciello, Padre Nicola Preziuso, Don Palmiro Prisutto, Don Marco Ricci, Don Gabriele Scalmana, Don Giuseppe Trifirò, Padre Bernardino Zanella, ci fa vergognare, increduli che si tratti dello stesso paese.

Ho volutamente citato tutti questi sacerdoti perché possiate cercarli in rete e incuriosirvi. L’autore ci aiuta a fissarli nella memoria perché se ne possa parlare. È giustissimo che l’ecologia ci racconti di balene e delfini da proteggere, ma c’è un mondo che in parallelo non possiamo dimenticare e che forse deve toccare la nostra coscienza prima di ogni altro aspetto, perché il male lo abbiamo in casa. Preti verdi serve a questo.

La generazione Oceano per il prossimo decennio

Quando sentiamo parlare di crisi climatica e delle minacce del climate change, non sempre abbiamo a fuoco il problema nella sua totalità. La questione non è solo legata ai dati di innalzamento della temperatura globale. La definizione è molto più complicata, condizionata da una serie di variabili, di cui la più imprevedibile è quella generata dalla specie che vedete riflessa ogni mattina nello specchio. La nostra.

Aiutiamoci con una definizione. “Il clima è lo stato dell’atmosfera e dell’oceano che è in equilibrio con la forzatura solare esterna, cioè le condizioni che si ripetono frequentemente e che in qualche modo caratterizzano lo stato fondamentale del sistema atmosfera-oceano”. Le parole di Antonio Navarra, direttore del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, rendono evidenti quanto il problema sia da concentrare tanto sulla componente aerea quanto su quella acquea del nostro pianeta.

Se l’aria è spesso al centro delle nostre attenzioni, non fosse altro perché è il nostro principale alimento, non altrettanta attenzione è dedicata agli oceani. È l’economia a dirci che 3 miliardi di esseri umani dipendono la loro esistenza dal continente liquido, ma è la climatologia a spiegarci che perfino chi vive nell’ultimo rifugio di montagna dipende dal mare. E se, fino a non molto tempo fa, esso era considerato una risorsa inesauribile e inattaccabile, oggi abbiamo dati a sufficienza per definirlo seriamente minacciato.

A ricordarcelo e a sensibilizzarci, le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2021 – 2030 “Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile”. Questa iniziativa punta a mobilitare la comunità scientifica, i governi, il settore privato e la società civile intorno a un programma comune di ricerca e di innovazione tecnologica che focalizza sette obiettivi da conseguire per l’oceano. Dobbiamo fare di tutto per garantirlo:

  • pulito, con le fonti di inquinamento chiaramente identificate e ridotte fino ad essere rimosse,
  • sano, con ecosistemi marini mappati, protetti, reintegrati e saggiamente gestiti,
  • sostenibile, così da garantire la fornitura di cibo e di risorse che generino occupazione nel rispetto degli equilibri,
  • predicibile, dando alla società la capacità di comprendere le condizioni oceaniche attuali e ipotizzare le future,
  • sicuro, in cui le persone abbiano coscienza dei pericoli che comunque fanno parte del sistema marino,
  • accessibile, per la divulgazione di dati, informazioni e tecnologie,
  • fonte di ispirazione e coinvolgente, perché la società possa capire e condividere il mare in relazione al benessere umano e animale.

Ci sono molti testimoni schierati, ma l’agente di cambiamento più efficace rimaniamo noi, con la parsimonia dei nostri consumi quotidiani, con la leggerezza delle confezioni che acquistiamo, con il voto che esprimiamo, con le risorse che ricicliamo e riutilizziamo, con la sottoscrizione e la condivisione del Manifesto.

E naturalmente con gli esempi che portiamo ai più piccoli. Mi ha colpito la storia di Ida e la Balena volante, graphic novel dove una bambina che vive in un bosco riceve la visita di un cetaceo. Inizialmente impaurita dalle sue dimensioni – chi di noi non si è mai trovato almeno un attimo smarrito di fronte alla vastità del mare? – accetta l’invito di cavalcarla per scoprire il mondo e la sua diversità. Una successione di quadri dipinti con raffinatezza per un racconto filosofico nato da una coppia di illustratori svizzeri che vivono insieme in mezzo alla natura, proprio come la piccola protagonista. Impugnando colori e pennello, esprimono l’idea che tutti avremmo bisogno di una balena per ampliare gli orizzonti arrivando a quello assoluto del blu. Chissà che il decennio degli oceani non sia davvero la nostra occasione per lasciare il bosco a cui siamo aggrappati e guardare in modo diverso il mondo che lasceremo in eredità a Ida.

Il labirinto di bambù

Copernicus, l’agenzia europea che si occupa dell’osservazione del territorio, ha pubblicato i dati degli incendi boschivi degli ultimi mesi. In una delle estati più incandescenti che si ricordi, in Europa vince il Portogallo, che si è fumato circa 2300 kmq (circa due volte la provincia di Napoli). L’Italia è buona seconda con 1300 kmq (quasi la provincia di Milano). La mappa dei focolai è impressionante: domina il rosso dove le fiamme sono divampate, con i dati che stanno peggiorando rispetto all’annata precedente. Su scala mondiale, la graticola non cambia, le foto del satellite mostrano il pianeta come un grande barbecue, con le prossime salamelle che rischiamo di essere noi. Secondo la Bbc, entro il 2025 ci saremo giocati oltre il 50% delle specie della foresta amazzonica. Non illudiamoci che se un bosco brucia lo si ripianti e -pluff- tutto rispunta e torna come prima. Spesso lo si brucia apposta per fare spazio ad allevamenti lager, piantagioni intensive, miniere. In ogni caso perdiamo una fonte di ossigeno, ci giochiamo l’azione stabilizzante delle radici, mandiamo in fumo l’ecosistema. Potremmo continuare, ma mi fermo qui.

Nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa. Per esempio, prestare attenzione negli acquisti cercando sull’etichetta l’origine della materia prima, che deve essere proveniente da foreste certificate. Dovremmo privilegiare nell’acquisto le specie a ricrescita veloce. Personalmente ho scoperto il bambù. Il che non fa di me un panda (è il loro alimento principale), ma uno consapevole di scegliere una sorta di pianta dei miracoli (per l’ambiente). Ha un ritmo di crescita che arriva ai 30 cm al giorno, a parità di età produce il 35% in più di ossigeno della media delle altre piante, arriva ad assorbire 12 tonnellate di CO2 per ettaro all’anno, cresce da zero a 4000 m e infine è versatile. Se ne fanno carta, arredi, costruzioni, cibo (perfino se non siete dei panda). In Giappone sono anche sicuri che le foreste di bambù abbiano un potere senza eguali sul fisico e sulla psiche. Grazie al shinrin-yoku, letteralmente bagno di foresta, camminare tra i tronchi migliora il potere immunitario e diminuisce lo stress.

Volete provare l’esperienza del perdervi in una foresta di bambù ma non potete volare fino a Kyoto? Andate verso Parma, al Bosco della Masone. Franco Maria Ricci – sì, è l’editore, il bibliofilo, il designer e il collezionista – ha creato nei pressi della sua abitazione il labirinto più grande del mondo radunando una ventina di specie di bambù. Un’occasione a cui non mancare, perfino se non siete dei panda.

Il weekend del 23 e 24 settembre sarà anche quello di Under the bamboo tree, una due giorni dedicata a questa pianta dei miracoli. Il bambù sarà il vero fil vert della manifestazione: si potrà passeggiare tra i viali del Labirinto, accompagnati dalle guide che illustreranno le peculiarità delle varie specie presenti, ci si potrà cimentare nella costruzione di oggetti di uso quotidiano o gustare speciali infusi al gusto di bambù. I più piccoli potranno divertirsi a costruire aquiloni o osservare le spregiudicate acrobazie dei trapezisti e i
mirabolanti spettacoli dei giocolieri, che utilizzeranno attrezzi rigorosamente in bambù.
I viali del dedalo verde saranno popolati anche da musicisti, che terranno piccoli concerti di flauto tra le fronde, da scovare negli angoli segreti, e dai disegnatori, impegnati a dipingere en plein air sotto la guida del maestro acquerellista Lorenzo Dotti.

Come racconta Franco Maria Ricci:

La pianta tradizionale dei labirinti è il bosso; anch’io forse
l’avrei usato, se fossi stato più giovane; ma il bosso cresce lentamente, mentre il bambù è velocissimo. L’età mi ha fatto innamorare di questa pianta meravigliosa, che è uno dei molti doni
dell’Oriente.
Se i bambù (il mio parco ne conta venti specie diverse) sono cresciuti così rigogliosi è forse perché respirano bene, a poca distanza da un fiume il cui nome profuma  di Cina: il Po. Si tratta di una pianta straordinaria, che non si ammala, non si spoglia d’inverno, a causa della sua impaziente crescita assorbe grandi quantità di anidride carbonica lasciando a noi l’ossigeno e non provoca disastri a causa di tifoni o trombe d’aria (nessuno è mai morto perché gli era caduto addosso un tronco di bambù).

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

 

 

 

Ecco perché il freddo fa bene

Dai social sembra che neve e freddo stiano imperversando come mai prima d’ora. Dalle stesse voci che quest’estate «uff che caldo», ora si ascolta «brr che freddo». Urlavano al lupo della steppa infuocata, ma ora sono certi che dal Brennero iniziano a scendere i mammut. La verità è che è normale che in inverno faccia freddo e, guarda un po’, in estate caldo. Non è colpa del global warming insomma, le cui conseguenze concrete e minacciose sono ben altre e di più larga scala.

Piuttosto, l’ambiente naturale ha bisogno del freddo e della neve per il suo ciclo di vita. E ci sono benefici affatto scontati anche per il nostro organismo. Non tutto il freddo viene per nuocere, insomma: le energie aumentano, le calorie si smaltiscono più facilmente, si alleviano certi fastidi circolatori, si ottimizzano i risultati dell’esercizio fisico e della tonificazione muscolare.

slide_513106_7205254_compressed

Come la pausa invernale giova dunque alla vegetazione, un cambio nella routine dei mesi freddi è un toccasana per la salute del nostro fisico, ben più minacciato dall’aria stagnante cittadina che non dall’ondata di freddo stagionale. Non serve essere sportivi accaniti e neppure troppo allenati per incamminarsi su un sentiero e perdersi nella quiete cristallina di montagne sconosciute al caos vacanziero. Ci sono altipiani dove l’ossigeno del bosco incontaminato e il fresco della neve appena caduta sono una risorsa fruibile da sentieri pianeggianti.

slide_513106_7205256_compressed

Magari, poi, tra una baita e l’altra si scopre anche il gusto delle pietanze. Hanno sposato perfettamente il binomio passeggiate/sapori gli ideatori di Alps Culinaria, una serie di weekend dedicati all’esplorazione facile e golosa delle Alpi. Quattro appuntamenti per altrettante località in Val Isarco. Tre coinvolgono gli altipiani di Barbiano, Velturno e Villandro con le Dolomiti a fare da sfondo. Uno si spinge sotto le Dolomiti di Funes a toccare le cattedrali di roccia.

slide_513106_7205242_compressed

L’Italia ha l’enorme fortuna di un ambiente montuoso (alpino e appenninico) che lascia staccare la spina permettendo di incontrare paesaggi invidiabili e specialità della tradizione, roba che tedeschi, inglesi e francesi apprezzano inventandosi le occasioni più disparate – spesso fuori stagione – per venirci a trovare quando noi italiani pensiamo alla invariabilità dell’equazione vacanza invernale=sci.

n-INVERNO-large570

Diversamente, diventa normale che ci si abitui a sentirsi rispondere “tutto esaurito” quando si prenota un soggiorno. Pensiamoci: un impianto di risalita – che spesso si è mangiato pure un pezzo di bosco – può arrivare alla capacità massima di ricettività, dopo la quale non ce n’è più per nessuno, salvo la pena di lunghe code, con tutti che guardano tutti nell’attesa di attaccarsi al filo per salire. Praticamente è il trasferimento dello stress tra i picchi.

In mezzo agli alberi e sugli altopiani invece questo non succede, perché la coda più grossa in cui si potrebbe incappare è quella di una volpe e lo sguardo più intenso quello di un camoscio che spia da dietro un cespuglio. È un invito anche all’ascolto, del vento tra gli alberi o della neve che cade dai rami con quei tonfi attutiti che non hanno uguali. Magari lasciandosi consigliare dai padroni di casa, ben informati sull’accessibilità dei sentieri e sull’apertura delle strutture in quota.

slide_513106_7205252_compressed

C’è poi un libro che educa all’ascolto di questa straordinaria biblioteca dei rumori. Il sole che nessuno vede di Tiziano Fratus nasce dalla semplice azione di sedersi spalancando le orecchie e il cuore, con la dedizione a cui ci ha abituati l’autore nei confronti di foreste e corsi d’acqua.

L’uomo medita – scrive Fratus – perché trova giovamento nel dimenticare quello che è per la società in cui è immerso. Smette di dare ascolto a quell’io che ha dentro per iniziare a ricostruire il mondo sentendosi parte dell’immensa materia che lo circonda e lo compone. È un cambio viscerale. Chi accetta di entrare in questa dimensione inizia a riconoscersi della stessa materia di un bosco libero nel cielo e non di una colonna fumante, sia essa di auto o sciatori incalliti.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

slide_513106_7205238_compressed

Obama – Trump, sfida all’ultimo pianeta

Obama e Trump si passeranno il testimone alla Casa Bianca il 20 gennaio. Nessuno sa bene cosa potrebbe accadere alla Terra da quel giorno, visto che la direzione politica dello stato più potente del pianeta passerà da chi ha dimostrato di esserci impegnato (anche) per l’ambiente a chi ha pubblicamente dichiarato che “il concetto di riscaldamento globale è stato montato dai cinesi per rendere non competitive le industrie statunitensi”. Sì, Trump dubita pubblicamente delle prove scientifiche del global warming.

In attesa dei prossimi 4 anni di mandato e pronto a ricredermi se le dichiarazioni twittate dal neoeletto saranno smentite, voglio ricordare Obama per qualche suo gesto coerente con le dichiarazioni in campagna elettorale in tema di rispetto per l’ecologia.

  1. Ha sottoscritto il trattato di Parigi che prevede un drastico taglio alle emissioni di anidride carbonica.
  2. Con il suo omologo canadese Trodeau è riuscito a imporre limiti restrittivi alla ricerca e allo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas sulle coste atlantiche e artiche.
  3. Ha dichiarato riserva marina un’area del Pacifico la cui superficie è quasi tre volte quella della penisola italiana.
  4. Ha bandito i microgranuli, particelle di plastica indistruttibili presenti in molti dentifrici e creme cosmetiche. Finiti in mare, questi componenti sono alla fine ingoiati da pesci e uccelli.
  5. Ha posto il veto sul progetto di un oleodotto di circa 2000 chilometri tra i porti del Texas e l’Alberta, in Canada.
  6. Ha esteso la protezione della costa californiana includendo circa 20000 micro-isole e scogliere.
  7. Ha ratificato accordi con 13 case automobilistiche per ridurre le emissioni inquinanti e migliorare le prestazioni ecologiche dei veicoli.
  8. Ha spinto in direzione delle centrali energetiche pulite.
  9. Ha esteso la protezione dell’ambiente in nove stati iscrivendo i territori come wilderness, cioè inviolabili da strade e costruzioni di qualsiasi genere.
  10. Ha usato per 23 volte il potere dell’Antiquities Act del 1906 per proclamare monumenti nazionali. Nessun presidente prima di lui era arrivato a tutelare un numero così elevato di tesori naturali e storici.
  11. In piena recessione ha puntato sulle fonti rinnovabili con 90 miliardi di dollari di investimenti per impianti e posti di lavoro.
  12. Ha stabilito una strategia nazionale per proteggere le api e gli insetti impollinatori.
  13. Si è lasciato coinvolgere in molti programmi di divulgazione a favore della protezione dell’ambiente. Rimane memorabile la sua partecipazione alla trasmissione di Bear Grylls. Durante l’episodio Obama si è lasciato guidare in Alaska per commentare il considerevole ritiro dei ghiacciai. Il sentiero e le situazioni erano evidentemente preparate in anticipo, ma l’impegno è stato apprezzabile.
  14. Una nota che non c’entra con l’ambiente naturale ma con la naturalità delle cose: ha tinto di rainbow la Casa bianca e il mondo prendendo più volte posizioni a favore della comunità LGBT.

Obama poteva fare di più? Certo! Gli Usa hanno dormito sonni pesanti nelle ratifiche dei trattati internazionali, probabilmente per gli enormi interessi in gioco. Per l’ambiente non si fa mai abbastanza, non ci si stanca di ripeterlo. Intanto, però, qualcosa Obama ha fatto.

Ora ci aspettano quattro anni di Trump. Speriamo che qualcuno gli ricordi che la  Terra non è uno yacht per miliardari che se affonda offre una scialuppa ovattata per salvarsi su una spiaggia dorata. Anche se poi fosse, chi sale sulla scialuppa? L’augurio d’obbligo è “Buon lavoro Mr. Trump, ci risentiamo nel 2020 sperando di scrivere altrettanto bene di lei”.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Good news per il 2017 della Terra

Le good news per la Terra non dovrebbero mai mancare. Anziché dieci all’anno, ce ne vorrebbero dieci di una certa portata ogni giorno. E probabilmente non basterebbero a compensare i disastri, ambientali e non, che produciamo quotidianamente, soprattutto nelle aree dove le priorità sono altre (vedere alle voci “pace” e “fame”).

Convinto però che le buone notizie siano contagiose, ecco qualche pillolina verde che dovrebbe farci strizzare l’occhio al 2017 con un po’ di ottimismo.

  1. Le emissioni di anidride carbonica non sono aumentate per il terzo anno consecutivo. Gli studiosi del Global Carbon Project – un gruppo di scienziati che misura le emissioni di CO2 in atmosfera – hanno confermato che piante, terre e acque hanno compensato il gas emesso dall’attività umana. Non un vero e proprio invito a respirare in città a pieni polmoni ma una conferma che lasciare la macchina in garage e piantare alberi serve.
  2. Barack Obama e il suo omologo canadese Trodeau sono riusciti a imporre limiti restrittivi alla ricerca e allo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas sulle coste atlantiche e artiche. Trump era già stato eletto con le sue affermazioni stile “non esiste un problema climatico” ma il presidente uscente è riuscito a piantare qualche cartello off limits sulle aree sensibili. Trump e suoi hanno quattro anni per scoprirli.
  3. La grid parity per il fotovoltaico – energia prodotta dal solare allo stesso prezzo dell’energia generata dalle fonti fossili – è sempre più vicina. Secondo il centro studi della Deutsche Bank il risultato potrebbe essere conseguito già entro i prossimi due anni. Tra i fattori determinanti per il raggiungimento figurano l’aumento dei prezzi dell’elettricità generata dalle fonti convenzionali e i costi del solare in continuo calo. Se lo dicono i tedeschi che l’astro vicino lo vedono spesso solo in cartolina, noi che siamo il paese del sole dovremmo crederci di più. Pannelli alla mano, gente!
  4. Il traffico sulle nostre strade si conferma in diminuzione. Il rapporto Traffic Scorecard 2016 della Inrix, azienda specializzata nell’analisi dei dati sulla mobilità, ha preso in esame i livelli di congestionamento di 96 città europee classificando l’Italia al decimo posto, con Milano in testa ai luoghi più intasati. Guardiamola così: prima eravamo messi peggio, ma possiamo migliorare e i dati sono un incoraggiamento.
  5. Per il traffico, infatti, non si fa mai abbastanza e per vedere come è andata nel 2016 non ci resta che aspettare. Nell’attesa, pedaliamo, magari incoraggiati dai dati di vendita delle bici a pedalata assistita, ottime per muoversi nel traffico senza arrivare grondanti di sudore agli appuntamenti. L’aumento della produzione di questi gioielli meccanici è del 90,36%, con le esportazioni volate al +166,9%.
  6. E al volo si ispirano quasi le velocità dei treni che da dicembre sfrecciano nel nuovissimo tunnel del San Gottardo. Con una estensione di 57 km, permette a persone e merci di muoversi tra il nord e il sud delle Alpi con molta più agilità che in precedenza, risparmiando traffico ed emissioni ad un ambiente (quello di montagna) spesso massacrato da colonne di camion e auto.
  7. Anche alle Eolie sono arrivati i fenicotteri rosa. Dopo le segnalazioni del 2015 tra Sicilia, Sardegna e Puglia, anche a Lipari il blu si è tinto di rosa per il ritorno di grandi volatili sulla rotta migratoria. Contestualmente, la buona notizia si estende alla reintroduzione in ambiente degli esemplari che hanno richiesto attenzioni mediche.
  8. Dopo il piombo (dei fucili) il peggior nemico degli uccelli è l’olio di sintesi che intacca il piumaggio. Il delta del Po è una delle aree più a rischio e il sistema industriale della Lombardia il maggior contribuente di acque reflue da impianti e scarichi. La good news è che la stessa regione ha stabilito il record del riciclo degli olii esausti. Intendiamoci: riciclare l’olio è un obbligo, ma da qui a stabilire un record è comunque un buon segnale, anche sulla via del recupero e del riuso. Sul piano nazionale il Consorzio Obbligatorio che coordina l’attività di 74 aziende private di conferimento e di 4 impianti di rigenerazione ha raccolto nel 2015 in tutta Italia 167.000 tonnellate di olio lubrificante usato, un dato considerato vicino al 100% del potenziale raccoglibile.
  9. Il consumo di carne è ai minimi storici sulle tavole italiane. Se teniamo conto che bistecche e hamburger non si materializzano sui banchi dei supermercati ma sono spesso il risultato di una catena di sfruttamento intensivo del territorio oltre che del bestiame costretto a spazi di vita ristretti e condizioni di trasporto imbarazzanti, il calo è una buona notizia. Da prima, la carne è passata a essere la seconda voce del budget alimentare delle famiglie italiane dopo frutta e verdura. La spesa relativa alla bistecca è scesa a 97 euro al mese, mentre l’incidenza è del 22% sul totale. Non consumare (troppa) carne è un segno di civiltà.
  10. Il rispetto, coerentemente, si estende anche alle vacanze. Gli italiani apprezzano sempre di più la vacanza verde e rispettosa delle comunità locali. Secondo i dati di Ipr Marketing presentati alla Borsa del Turismo 2016 di Milano, la sostenibilità della destinazione e della vacanza scelta è un requisito che fa la differenza e quindi è una leva per rendere un’esperienza di viaggio di qualità, gratificante e completa. La conferma arriva dal fatto che quasi la metà degli italiani è disposta a pagare di più per le vacanze sostenibili.

Nota: molti dei dati citati si riferiscono a rilevamenti del 2015 ma sono stati presi in considerazione in quanto divulgati nel corso del 2016. Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Un libro, se vi va, per capire la natura

Tra un libro e l’altro, al Pisa Book Festival 2016 non sono mancati i colori del paesaggio tra racconti di mare, storie di montagna e sguardi alla campagna espressamente rivolti ai bambini. Tra le tante promesse prereferendarie, almeno la letteratura ci lascia qualche certezza.

Mauro Corona racconta il suo nuovo romanzo La via del sole allontanandosi dai canoni per i quali lo conosciamo. Un giovane ingegnere ha tutto dalla vita, ma non basta. Nessuno è tanto annoiato quanto un ricco, sostiene lo scrittore citando il poeta Brodskij. Così il protagonista rinuncia al superfluo per ritirarsi su una montagna e scoprire che non tutto si può comprare.

corona

Corona invita a liberarsi dal superfluo per concentrarsi sull’essenziale. È un libro – afferma l’autore – nato per autocritica in una giornata dalla luce pallida dello scorso gennaio. Ha inseguito il sole per un giorno e quando è tramontato ne voleva ancora, di più. Non gli bastava nonostante le ore precedenti. La lezione è per quando ci sentiamo drogati dal non accontentarci, esattamente come quando facciamo il gioco dei signori del marketing che ci vogliono in overdose di oggetti e non riusciamo a fermarci dal volerne di nuovi.

Avete presente le file per l’ultimo cellulare appena uscito? Ecco! È questa fame che ci fa provocare disastri e spesso ci rende infelici. Il rampollo protagonista scopre che, una volta tra i monti dove finalmente può dedicarsi – senza preoccupazioni – unicamente alla contemplazione della palla infuocata che attraversa il cielo, le ore di luce a sua disposizione non gli bastano più e inizia a far abbattere le montagne che gli fanno ombra. Lezione durissima da uno scrittore che arriva da una valle, quella del Vajont, dove una società energivora e cieca si è macchiata del delitto di 2000 persone.

larsson

Björn Larsson è il papà della bellissima storia del pirata Long John Silver. Nell’intervista ci lancia anche uno scoop made in Napoli. Se lo abbiamo amato nei racconti del fuorilegge che, ritiratosi tra le baie del Madagascar, traccia un bilancio della sua vita, se ci ha incantato con il capitolo aggiuntivo, ora l’autore torna ad affascinarci con una raccolta dedicata al mare attraverso le parole di Conrad, Maupassant, Cristoforo Colombo e molti altri.

Larsson conosce molto bene la materia, e non solo perché vive buona parte del suo tempo su una barca a vela. In Raccontare il mare usa tutta la capacità di romanziere e di fine paesaggista per tracciare quella cornice dell’anima che il regno di Nettuno rappresenta per ognuno di noi. Se amate le grandi distese blu, il rumore delle onde e i battiti d’ala dei gabbiani sopra di voi, questo è un saggio da non perdere. Magari in abbinata a Long John, casomai non lo aveste ancora letto. O vi andasse di riscoprirlo.

C’è un’appendice campagnola dedicata all’infanzia che ho apprezzato nel panorama del Book Festival. Lo spaventagente è una fiaba scritta da Davide Mazzocco e illustrata da Paula Dias con immagini dal sapore di bozzetto cinematografico che fanno di ogni tavola un quadro.

mazzocco2

Con i punti di vista di un corvo e la narrazione in rima, il tema della guerra tra gli spazi chiusi (del contadino) e quelli aperti senza confini (dei volatili) riveste un’attualità pazzesca. Ci vedo la volontà di chi alza barriere come se la natura si potesse fermare. La battaglia ha una sola soluzione sensata, però, come sempre: quella di non combatterla e avere il coraggio di fare un passo indietro. Se vi sembra che questa storia abbia il sapore di una lezione di umanità, non siete lontani. La confezione portagiochi fatta a tubo e riciclabile è un valore aggiunto per un’opera dedicata all’infanzia e non solo.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Occhio ai cinghiali (e chiamatemi Obelix)

Curiosi si sapere la storia dei troppi cinghiali (e caprioli e cervi e ogni altra cosa si muova nel bosco che si possa impallinare)?

Si alzano reti. Ci sarà una rivolta brutale e distruttiva, un’invasione e un macello che potrebbero coinvolgere centinaia di migliaia di individui nei prossimi anni.

Non è l’incipit di un nuovo romanzo fantasy, ma uno scenario italiano raccontato dal New York Times. Prima che però vi procuriate armi e munizioni – o un rifugio, a seconda se vi sentite più Zagor o più Gandhi – sappiate che non parliamo di nuove invasioni barbariche ma di cinghiali.

L’ungulato selvaggio italiano più diffuso ha un problema: è troppo diffuso. E i consigli regionali stanno dandosi da fare per la riduzione della popolazione. Toscana e Liguria su tutte. Ovviamente scodinzolano i cacciatori, che possono contare su una stagione più estesa. Si aggiungono anche i contadini, che sperano di non trovare più i loro campi pieni di crateri che manco una pioggia di meteore. Per chi coltiva, in effetti, i cinghiali sono distruttori di raccolti, sterminatori di greggi e animali allevati, causa di incidenti stradali. Una specie di apocalisse in salsa agreste, insomma.

Dall’altra parte della barricata ambientalisti e intellettuali che “sui cinghiali solo bugie, la Toscana condanna a morte degli innocenti”. Con Dacia Maraini a sostenere che ogni scusa è buona per fare strage di animali selvatici o Enzo Maiorca che si domanda quale diritto abbiano gli umani a compiere decimazioni contro altre creature viventi. Prese di posizione forti che sfociano nel sostenere che se il cacciatore 73enne è stato seccato dal cinghiale la colpa non è del cinghiale. E vorrei ben vedere, a prescindere dai pro e contro cinghiali: se vai a caccia accetti il rischio di morire, condiviso – guarda un po’- tra te e la preda che vorresti impallinare.

Prima che mi si obbietti l’avermi riconosciuto con la testa in un paiolo di cinghiale alla Obelix – lo ammetto, mi piace la selvaggina e per la mia forma potreste pure confondermi per il compagno di Asterix, il quale caccia però cinghiali solo per il proprio sostentamento e non per divertirsi a impallinare esseri viventi – credo che la verità stia nel mezzo. Forse non è necessario preparare arsenali o irrorare veleni. I periodi di caccia ci sono già e bastano. Come i rimedi.

PS. In realtà, non mangio più cinghiale da un po’. Precisamente da quando ho conosciuto Gildo. È il cinghiale che mi viene a trovare di notte al paesello dove mi ritiro a scrivere. Me lo avevano segnalato Federica e Beatrice, che gestiscono un magnifico maneggio al margine del nostro bosco e lo trovano spesso a condividere il recinto coi cavalli. Vi garantisco che nessuno di noi tre ha mai avuto nulla da temere. In compenso, quando domenica scorsa ho sentito le carabine scaricarsi nella vallata, mi son domandato che effetto faccia essere dalla parte sbagliata della canna. Forza Gildo, corri!

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Non buchiamo il referendum delle trivelle

Tra malinformazione e silenzi, domenica 17 ci sarà chiesto di dire la nostra al referendum sulle trivelle, ribattezzato No Triv.

Estremizzo le due posizioni che vi sarà capitato di sentire. La prima: se continuiamo a bucare, ci si sgonfia il pianeta sotto i piedi e sarà un gran casino con un disastro via l’altro tra maree nere, terremoti e torri in metallo all’orizzonte così brutte che neanche i gabbiani vorranno farci sopra la cacca. La seconda: se non buchiamo dovremo andare a piedi, avremo orde di disoccupati per le strade, diventeremo una specie di terzo mondo fuori dal terzo mondo.
Continua la lettura di Non buchiamo il referendum delle trivelle

Il gusto di perdersi in un bosco

Peter Weir e il suo team ne l’Attimo Fuggente interpretato da Robin Williams scelsero una frase di Thoreau per portarci lontano.

Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto.

Continua la lettura di Il gusto di perdersi in un bosco