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Social Street, che bello salutarsi in città

Social Street compie un anno e a Bologna, Milano, reggio Calabria e Palermo, solo cper citare alcune città è tempo di bilanci. L’occasione dell’internet festival di Pisa è il momento per ascoltare come il fenomeno si sia diffuso dalle sue origini fino ad arrivare ad essere un fenomeno di ecologia urbana. Social Street è innazittutto un social di ritorno. Per chi crede che facebook sia l’anticamera della solitudine, Social Street è la smentita. Ci si incontra su fb, ma poi ci si vede anche perchè ci si scopre vicini. Milano è la seconda città per Social Street dopo Bologna, l’ultima aggiunta è Reggio Calabria, ma nella lista ci sono anche piccoli paesi a conferma che non c’è più distinzione tra grande città e centro minore. A Palermo diventa l’occasione per rompere schemi consolidati.
Forse c’è una Social Street anche vicino a te
La forza delle Social Street è quella di nascere dal basso, non c’è competizione tra le vie ma grandissima libertà e socialitá a costo zero. Si aiutano a recuperare beni, si trasforma un parcheggio abusivo in area pedonale, si fa in modo che perfino l’amministrazione si rende conto del vivere comune senza esprimere una direzione. Pierluigi, ricercatore chimico in pensione della storica via Fondazza bolognese da cui è partita la scintilla, racconta della signora che da Trieste esprime il desiderio di tornare nella sua Bologna e i cittadini si attivano per aiutarla a trovare casa.
Qualcuno chiede, qualcuno offre, senza regolazioni economiche, solo il sapere che ci sia qualcuno che magari ti nutre il gatto se sei via è un aiuto. Non servono milioni di investimento ma un sistema protetto dove non ci sono amministrazioni o movimenti politici a cui rendere conto. E’ dunque l’affermazione che la città appartiene ai cittadini e non alla pubblica amministrazione. L’obbiettivo primario è creare socialità e se fallisce questo non è più Social Street. Poi possono esserci altri obbiettivi secondari come organizzare mostre, eventi, recuperi, ma non vogliamo perdere la concentrazione sulla socialità
Un fenomeno di questo tipo è molto simile al vecchio sistema che nei paesi era vicino all’assistenza sociale, quella positiva che non solo vigilava ma era anche un aiuto a vivere. Ed è curioso che proprio ora, nell’era dei social virtuali, ci sia un ritorno. Federico Bastiani, ideatore di Social Street, spiega la ragione dell’interesse dei sociologi al fenomeno.
Nell’implementare Social street volutamente non abbiamo creato una struttura che stabilisse regole ferree, non abbiamo registrato loghi, non abbiamo sposato i classici meccanismi che guidano la nostra economia basati sul do ut des, abbiamo tenuto fuori l’economia e la politica per preservare l’obiettivo originale del progetto, ricostruire la socialità nelle città, a costo zero. Un messaggio semplice dal forte impatto sociale, la potenza del saluto, di un abbraccio fra vicini di casa, la potenza del dono… non sono misurabili in un “bilancio” perché sono relazioni, sono capitale sociale impagabile. Da questa “banalità” del messaggio sta scaturendo un’energia ed una forza che a detta dei sociologici, non ha precedenti e per questo siamo oggetto di studio. Non è un caso che attualmente abbiamo diciotto tesi di laurea differenti che studiano il modello Social street fra sociologici, antropologi, psicologi della comunità, economisti.
Sembra insomma un progetto che di positivo non ha solo il fatto che forse si ritrova l’interesse a sapere cosa puoi fare per il tuo vicino, ma anche l’idea che si crei una responsabilità comune. La strada dove abito è anche mia, se tengo in ordine la casa dove abito, perché non dovrei fare altrettanto con l’ambiente fuori della porta? Vale per la pulizia, l’ordine, la cortesia tra le persone. Chiamateli pure sognatori, se vi va, ma nella vita alcuni sogni, se ci si crede fortemente, sono raggiungibili.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.