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Il trenino rosso, far west fuori porta

Avrete già sentito parlare del trenino rosso della Retica. Scrivo questo post da Poschiavo (Svizzera, Canton Grigioni) dove stiamo girando un documentario proprio sulla Bernina, come la chiamano qui per riferirsi alla linea ferroviaria, che è anche quella che raggiunge la quota più alta in Europa senza essere aiutata da una cremagliera.

Niente è facile quando il vento sferza tagliente, come spero renda la nostra foto di backstage scelta da VisitSwitzerland per il proprio profilo Instagram.

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Però proprio per questo vi consiglio un giro qui. Potreste scoprire come questi uomini si impegnano ogni giorno per mandare avanti un treno che per la sua audacia e per la sua bellezza è stato anche incluso nel World Heritage di Unesco.

Questi non hanno paura degli agenti atmosferici. Sono valligiani, quindi gente schietta abituata a dare pane al pane e vino al vino. Ma con la nostra troupe si sono aperti e con loro stiamo condividendo le giornate. Probabilmente se la ridono pure a vedere noi cittadini che andiamo su, li microfoniamo, li riprendiamo, ascoltiamo i loro discorsi, ma sopratutto impariamo come ancora ci sono luoghi dove a comandare è la natura. Condividiamo spesso con loro la riunione prima dell’alba, in tempo per il treno delle 6.28 che li porterà sui cantieri lungo la linea. Cosa fanno? Puliscono scambi, staccano stalattititi di ghiaccio dalle gallerie, sostituiscono binari, spalano neve, tagliano tronchi, fanno altre cosucce che non vi svelo ora per non rovinarvi la sorpresa del documentario. In poche parole, curano il backstage dello spettacolo ferroviario più avvincente d’Europa.

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L’altra mattina mi sono unito a loro durante lo Snüli. A Milano si chiamerebbe coffee break e si consumerebbe di fronte alla macchinetta del caffè in un corridoio asettico. Qui l’intervallo lo abbiamo fatto nel bosco. I ragazzi hanno radunato i rami e acceso un fuoco, per poi tirar fuori dei würstel e mangiarli dopo averli cotti infilzati con i rami dei pini attorno. Il profumo della foresta che si mescolava alla brace e alle spezie ve lo lascio immaginare.

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Quello che non potete immaginare è la bellezza di questi luoghi attraversati dai binari. Il far west che sognavo quando ero bambino è (anche) qui. Se volte passarci a trovare, con il mio regista Valerio Scheggia e l’operatore Paolo Negro facciamo tappa allo Chalet Stazione. È la casa in legno di Serena e Stefano ma è anche la casa dei nostri train men che qui trovano sempre caffè e un pasto caldo a pochi metri dai binari. Alla sera, passato l’ultimo treno, si gioca con la loro bambina Angelica. Giovedì scorso abbiamo imparato a disegnare cani e gatti. Poi sono arrivati i pizzoccheri. Come li cucinano qui sono una combinazione magica tra l’essere valtellinese di Serena e il rispetto della tradizione dei nonni di Stefano che erano di Teglio, patria della pietanza alpina lombarda.

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Se vorrete fermarvi ci sono delle stanze, così sarete pronti anche voi a saltare sul primo treno del mattino per risalire il Passo del Bernina. Boschi, laghi, ghiacciai scivoleranno senza fretta dai finestrini e rimarranno negli occhi mentre le carrozze arrancano lente dando modo di perdersi tra le montagne. L’avventura passa anche da qui ed è tutt’altro che scontata.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post con una ricca galleria fotografica. Per informarsi sugli orari del trenino rosso o prenotare i posti suggerisco di muoversi per tempo, i posti sono limitati.

Naturale o programmata, ecco la neve

Arriva la neve, ma non sempre è sufficiente a permettere di preparare le piste come ogni sciatore desidera. Spesso è un problema di scarse precipitazioni, spesso di alte temperature che obbligano a integrare la neve naturale con quella programmata. Sottolineo il termine programmata perché è improprio usare il termine artificiale, in quanto la neve è neve, semmai si discrimina se a rimpolpare il manto nevoso sono le precipitazioni meteo o la pianificazione umana. Questo anche per sfatare il mito che la neve sparata dai cannoni sia addizionata con componenti chimiche di sintesi.

L’ecologia di una stazione sciistica si misura semmai con altri parametri. Premesso che la montagna degli impianti non è mai completamente green, almeno non tanto quanto vorremmo, si possono leggere pochi, essenziali segnali per capire quanto è limitato l’impatto di una stazione sciistica.

Il primo grosso elemento grigio che sporca la neve è la mobilità. Sì, auto e mezzi privati non aiutano l’ambiente. Piuttosto è utile pensare all’integrazione con i mezzi pubblici, come già avviene ad esempio a Pila (Valle d’Aosta) e a Plan de Corones (Alto Adige Südtirol), dove una stazione ferroviaria è creata apposta per gli sciatori e integrata con la partenza dello skilift.

Poi svolge un ruolo importante l’energia. Per sparare la neve coi cannoni serve corrente per il cannone e per pompare acqua in quota. La corrente è davvero pulita se è prodotta con impianti da fonti rinnovabili (in montagna l’idroelettrico) e il pompaggio è davvero ecologico se limitato all’indispensabile accumulando in quota acqua nei bacini, riempiti in momenti di grandi precipitazioni come la primavera e l’autunno.

Poi fanno la differenza tanti piccoli accorgimenti. Qualche esempio? Il fare in modo che la gestione dei rifugi in quota sia attenta ai temi del riciclo dei rifiuti e del chilometro zero. Tanto per fare un esempio, è poco avveduto chiedere del pesce di mare in rifugio o ordinare la Sanpellegrino sul Terminillo. Sul tema dell’acqua in particolare è bene ricordare che siamo in montagna e non è detto che l’acqua del rubinetto non sia migliore di quella che vi servono in bottiglia.
Un altro spunto arriva dai gatti delle nevi. I più recenti sono catalizzati e alcuni sono addirittura ibridi. Se in una stazione il parco mezzi è aggiornato, è un indice di sicura attenzione all’ambiente.

L’integrazione degli impianti tra i versanti di una montagna o tra più valli, è un valore aggiunto. In Italia esistono buoni comprensori. Quello eccellente che ci invidiano in tutto il mondo è sicuramente il Dolomiti Superski. Spalmato su Alto Adige, Veneto e Trentino permette di dimenticarsi della macchina e muoversi come se gli sci o la snowboard fossero il solo mezzo di collegamento.

A titolo personale, considero deleterio e da scoraggiare l’eliski, per questo diffido dalle stazioni sciistiche che lo propongono. Un elicottero inquina come un gruppo di autobus, disturba la quiete da molti chilometri e spesso porta degli scellerati a quote dove gli sci non dovrebbero neppure arrivare. Si sa, però, che gli esibizionisti sono sempre pronti a farsi notare, per questo li terrei lontano da certe idee sanzionandoli pesantemente.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Una realtà diversa all’aria aperta, basta un telefonino

Francois Dourlen è un fotografo. Come molti ha iniziato a maneggiare lo smartphone allontanandosi dagli schemi, ne è uscito un percorso originale che ognuno di noi può divertirsi a imboccare scatenando la fantasia. Un treno giocattolo arriva in stazione, l’occhio del Signore degli anelli brilla su un vecchio faro, una nave fantasma attracca in porto, Di Caprio e la Winslet portano il Titanic sulla vostra spiaggia preferita. 

Ispiratevi con una  parte della collezione intanto, poi provateci anche voi, perfino la metropolitana potrebbe aprire porti inimmaginabili.