Messner: «Le mie montagne senza ghiaccio»

Questo articolo è pubblicato anche su “Il Corriere della Sera

Una mostra fotografica registra il ritiro eccezionale delle masse bianche

L’alpinista: «Crolli continui, trasformazioni drammatiche. L’uomo non deve insediarsi dove ci sono le sorgenti»

«Senz’acqua la montagna crolla». Il più grande alpinista vivente, oggi anche collezionista d’arte e contadino, ma soprattutto teorico di una nuova ecologia, apre, nel suo museo più vasto, il castello di Firmiano che domina la conca di Bolzano e si confronta a distanza con il maestoso Scilliar, un’inusuale galleria fotografica sui ghiacciai per lanciare un messaggio forte. «Sparisce il ghiaccio, si sgretolano le montagne. È l’acqua allo stato solido che tiene ferme le pareti di roccia. Se si scioglie, noi perdiamo qualcosa. Quando ero piccolo cadevano solo piccoli pezzi ogni tanto, oggi si staccano pietre ogni settimana e talvolta crollano rocce come grattacieli».

CAMBIAMENTI – Messner ha le idee ben chiare su come stanno cambiando le cose e su cosa dovremmo fare per evitare il peggio. «Le Dolomiti erano definite da Le Corbusier le costruzioni più belle del mondo, nate nel mare come coralli. In 50 milioni di anni sono cambiate un po’ le forme, però il verde dei cirmoli, le malghe e poi la verticalità delle rocce sono sempre una combinazione unica». Un suo ritratto esposto in un altro castello, quello di Brunico, mostra capelli e barba fluenti che si fondono nella montagna e che ti immagini fatti apposta per essere mossi dal vento dell’Himalaya. Lo sguardo è fermo e convinto, reso ancora più autorevole dalle ciglia così folte da farlo sembrare forte come gli alberi le cui chiome sono temprate dai venti che sferzano le vette.

RACCONTARE LA MONTAGNA – In questi anni ha aperto cinque musei per raccontare la Montagna. Lontano dal dimostrare i suoi 69 anni, gli occhi che spuntano da quel pelo sono un vispo concentrato delle immagini che hanno ammirato nei cinque continenti. Vette, popoli, deserti e ghiaccio, tanto ghiaccio (compreso quello dell’Antartide), acqua allo stato solido che per lui è talmente importante da averci dedicato una delle tappe del suo percorso museale. A Solda, ai piedi dell’Ortles, un edificio invisibile dall’esterno ospita una collezione di dipinti e cimeli dove l’acqua e il ghiaccio sono protagonisti. «Non potevo portare la gente in vetta, così ho fatto un museo dove il ghiaccio si vede, raffigurato nei quadri e in tutta la sua magnificenza dall’unica apertura ricavata sul tetto». Un taglio che sembra un crepaccio lascia intravedere la vetta dell’Ortles, «la montagna cade e noi qui la sentiamo». Si riferisce al recente crollo della croce sulla vetta, sgretolatasi per la fusione del permafrost.
La mostra appena aperta al castello di Firmiano nell’area delle esposizioni temporanee racconta per immagini il ritiro dei ghiacciai. «Se la tendenza continuerà», sostiene l’alpinista, «gli ecosistemi alpini d’alta quota ne risentiranno in modo drammatico». Eppure nelle sue parole non c’è l’ansia dell’allarmismo. «Lasciamo agli scienziati il giudizio su quanto sta accadendo. La terra si è sempre modificata e io mi rendo conto che sto assistendo a una trasformazione straordinaria».

MANAGER – Reinhold Messner non è più solo uno sportivo. Ormai è anche il manager dei suoi musei ma soprattutto il contadino che attorno al suo castello di Juval coltiva viti da vino e gestisce un’azienda agricola modello con un ristorante a chilometro zero. «Mi sono reso conto che l’acqua è la chiave delle attività in montagna, è la vita. Un maso non può sopravvivere senza acqua, a Juval un acquedotto rifornisce il castello da 400 anni. Se il ghiacciaio della val Senales si fonde, sono finito…».

MESSAGGIO – Il messaggio che l’alpinista lancia è soprattutto una presa di coscienza. «Quando andavamo a scalare, noi sulle Alpi non portavamo neanche la borraccia. Sugli Ottomila avevamo solo il fornello per sciogliere la neve, perché se vai in montagna sai che l’acqua è tutto. L’uomo deve rispettare l’acqua perché da lì viene la vita. Non deve costruire dove si forma e non deve contaminare». Con il pragmatismo della gente di montagna, Messner traccia una linea di confine precisa e invalicabile: oltre i duemila metri non bisognerebbe stabilire alcuna attività. «Alla base di tutto c’è il rispetto per la cultura contadina», precisa Messner. «Nei miei musei ho parlato dei popoli del mondo. Per le Alpi ho coinvolto la mia gente, i sudtirolesi, e i Walser. Essere Walser significa ricordarci delle tradizioni e rispettare l’ambiente, a partire proprio dall’acqua. I problemi che abbiamo con le Alpi sono parecchi. Molti dalla città vorrebbero usarle solo per passare il weekend. Altri sognano le Alpi di Heidi. Io mi batto per la realtà. Abbiamo una responsabilità, il diritto di tutelare e anche sfruttare le Alpi dove l’uomo ha sempre lavorato. Se il turismo ci porta i mezzi per sopravvivere è giusto approfittarne. L’allacciamento tra turismo e agricoltura è la base per l’economia di montagna, però oltre una certa quota, dove c’è il ghiacciaio, dove l’acqua si forma, l’uomo non deve insediarsi».

GUARDARE IL PAESAGGIO – Gli allestimenti dei musei rivelano un’estetica che oscilla tra minimalismo ed esaltazione per la materia: ferro grezzo per le strutture, pietra sulle mura e i quadri che si stagliano come chiazze di colore. Mentre passeggia di fronte alle tele invita a guardare un paesaggio alpino sul confine tra il pascolo smeraldo, la roccia rugginosa e il ghiaccio perlato. Quella mano che ha impugnato una piccozza su tutte le vette più alte del pianeta vuole ora accarezzare i colori.

Questo articolo è pubblicato anche su “Il Corriere della Sera