K3 RedBull, non è una gara per gipponi

Chi si fosse trovato nella metro milanese recentemente si sarà imbattuto nel messaggio “L’estate è là fuori” della campagna della Jeep, marchio FCA. Rispedisco l’augurio al mittente se la bella stagione implica il trovarsi Jeep in spiaggia, ruote sulla sabbia, motori a fianco al molo, così come proposto dalle immagini pubblicitarie.

Vacanze del genere auguratele agli zauri delle giostre che vivono nel riflesso dei finestrini della propria auto. Meno male che FCA è anche partner di EXPO2015 sulla sostenibilità, altrimenti sarebbe stato lecito aspettarsi Jeep ormeggiate alla boa e pitstop subacquei. Se fossi stato fatto per vivere nell’automobile, probabilmente nascevo coi pistoni.

Nessuno pretende di sostenere una condanna a priori dell’auto, in certi frangenti insostituibile, ma se provassimo a metterci del nostro per muoverci con i nostri mezzi naturali anche in condizioni ambientali estreme? È più o meno quello che succede sabato sulle montagne Torinesi. Tra Susa e la vetta del Rocciamelone si corre la RedBull K3, dove K3 sta per 3 chilometri verticali, e non in auto.

Non è un invito a indossare scarpette e iniziare la salita, ma uno spunto di riflessione su individui che si lanciano in gesti di sola forza fisica in luoghi dove siamo un po’ troppo abituati a muoverci meccanizzati. Non ho la capacità per correre una gara del genere – sarebbero costretti ad usare il calendario anziché il cronometro per misurare la mia prestazione – ma eventi così sono importanti. Tanto più se il suo organizzatore è quel motore umano di Nico Valsesia, runner e ciclista fuoriclasse nonché autore de La fatica non esiste. Il suo quadretto della gara e di chi la corre:

Non è facile trovare un posto dove allenarsi su 3.000 metri in verticale. Gli specialisti fanno ogni giorno i 1.000 metri. Per una gara come questa si allenano con delle ripetute. È l’unico modo per migliorare e imparare a distribuire le forze. Bisogna cercare di lavorare tanto oltre la soglia anaerobica, per aiutare l’organismo a spostare il limite di sopportazione e la produzione di acido lattico. In pratica, bisogna allenare il cuore a sopportare battiti sempre più elevati – anche oltre i 200 al minuto – prima che il metabolismo produca acido lattico. Così si avverte meno la fatica. C’è chi ha una predisposizione genetica, chi nasce con un fisico da atleta, e chi si costruisce con il duro lavoro quotidiano.

Susa è una bella cittadina di fondovalle. Il Rocciamelone è un placido collinone panoramicissimo che non richiede doti alpinistiche se non una ottima resistenza al dislivello che può essere inframezzato al rifugio Cà d’Asti. Eppure chi parteciperà alla gara avrà la possibilità di affrontare un percorso con una dote rara: la via che la percorre passando per il comune di Mompantero disegna un tracciato di oltre 3000 metri di dislivello positivo in uno sviluppo lineare calpestabile molto ridotto. Stando alle dichiarazioni dell’organizzazione, addirittura il più ridotto al mondo. Raccolgo con beneficio del dubbio ma molta considerazione per chi sabato 8 sarà là a correre.

Personalmente ci sarò a guardare e magari sognare. Garantito che se esseri umani – ben allenati ma pur sempre umani e spesso atleti non professionisti – riescono nell’impresa potrò tranquillamente arrivare in spiaggia e alle giostre solo contando sui miei muscoli e senza un cappottino in lamiera luccicante. Forza ragazzi, correte anche per noi.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.