AAA cercasi prossimi estinti

Nessuno è così sciocco da credersi immortale, eppure certi comportamenti della razza umana lo lasciano supporre. Nel documentario Dinosaurs, raccontiamo i protagonisti dell’ultima grande estinzione di massa.

165 milioni di anni in un film

I dinosauri sono apparsi 230 milioni di anni fa e hanno regnato per 165 milioni di anni. Provate a contare fino a un milione e poi fatelo per 165 volte. Capirete che sono numeri tali da rendere ridicola la linea evolutiva umana, di appena 7 milioni di anni, limitabile a due per il concetto di uomo come lo intendiamo oggi. Nel film, realizzato con la consulenza del paleontologo divulgatore Stefano Piccini – quello che ha ispirato il Doctor Steve dei science comic – si presenta il percorso che riporta pochi frammenti di ossa fossilizzate ad essere un dinosauro. Ma non è solo questo il punto.

Come racconta Peter Larson, direttore del Black Hills Institute of Geological Research dove è stata girata una parte del film, i dinosauri sono innanzitutto una grande lezione di ecologia:

I fossili non sono rari. In ogni luogo in cui trovi una roccia sedimentaria troverai dei fossili. Avere un fossile da toccare, che un bambino può guardare, insegna a vedere che l’evoluzione è una cosa reale, che questi animali sono cambiati nel tempo e che la Terra è antica. Quindi è una lezione di scienza, una lezione di valore, qualcosa che ci insegna che la scienza e quello che sappiamo della Terra sono cose molto, molto importanti e ci aiutano ad apprezzare davvero l’importanza che ha per noi. È il solo posto dove saremo mai in grado di vivere. Dobbiamo prenderci cura di questo pianeta. L’estinzione è una cosa che accade. Gli animali si estinguono. E anche noi un giorno ci estingueremo. Potrebbe essere tra un milione di anni, oppure tra sei mesi.

Larson non è solo uno scienziato. È un mito. Gli appassionati di tutto il mondo considerano il suo museo a Hill City – South Dakota una specie di luogo sacro. Di fatto è colui che ha portato a noi i due scheletri di T-Rex più completi mai rinvenuti. Nel film c’è anche Ben Pabst, tra i paleontologi viventi più famosi, con un dinosauro che porta il suo nome. I colleghi gli hanno tributato l’onore per gli scavi negli USA e, più recentemente, per le scoperte dei sauri europei. Che Ben abbia lavorato anche nel West si intuisce dall’aspetto, visto che sembra appena uscito da una pagina di Tex Willer. A Frick, nel cantone svizzero di Argovia, sta estraendo dei Plateosauri, tra i pochissimi rinvenuti in posizione eretta perché morti annegati nelle sabbie mobili. Chi crede che la Svizzera sia solo belle montagne e ottimo cioccolato, dovrà ricredersi, il museo del paese è una chicca da non perdere.

Come (ri)nasce un dinosauro

Un film su Cretacico e Giurassico è un po’ il sogno di ogni documentarista. Prima della telefonata in cui la voce del regista tuonava un perentorio “ho un’idea sui dinosauri” e mi proponeva di seguirlo in South Dakota e Wyoming, pensavo che tra scavi e scheletri dei musei passasse solo una spolverata e un po’ di colla. Oggi so che non è così, ci sono studi e storie fatte di tempo (tanto) e pazienza (tantissima). Spero che il film aiuti a rendere questa idea.

Una deriva interessante e inedita è quella che tocca anche il mondo del commercio dei giganti del passato. Luca Cableri è un dealer, un esperto in collezionismo di oggetti originali che gira i mercati di tutto il mondo per farli convergere nel suo Theatrum Mundi. Dal centro storico di Arezzo, dove ha allestito una vera “wunderkammer”, spiega come i dinosauri siano diventati opere d’arte ambite dai più facoltosi. Sua è l’intuizione di portare in un’asta la scena di combattimento tra un allosauro e un brontosauro. Il risultato è stato battuto a più di un milione di euro.

Per promuovere il film, la copia di Stan è stata lasciata una settimana a fissare i viaggiatori in transito nel salone della Stazione Centrale di Milano. Era anche una specie di monito: ricordare che quanto è successo può succedere ancora. L’estinzione esiste, ricorda Larson, solo che – per i segnali che arrivano dagli scienziati in tema di cambiamenti climatici e inquinamento – per la prima volta nella storia della terra, noi rischiamo di fare tutto da soli. Non male per chiudere un ciclo evolutivo.

Quel che Cappuccetto rosso non capirebbe

Lo scorso dicembre mi colpì la notizia di un cacciatore di frodo condannato per aver ucciso selvaggina al solo scopo di accaparrarsi trofei. Praticamente: faceva la posta agli animali selvatici, li ammazzava, staccava loro la testa e lasciava il resto del corpo a marcire nel bosco.

Il tutto, solo per il gusto di appendere al muro il bottino o rivenderlo. Sul mercato un cervo con un palco imponente può valere parecchie migliaia di dollari. Un orso o un lupo ancora di più. Il giudice lo ha condannato a guardare Bambi, in carcere e con una pena esemplare.

Se condividete la scelta del magistrato, leggete I figli del bosco di Giuseppe Festa. È un libro, ma garantisco che davanti ai vostri occhi scorrerà come un documentario. Soprattutto è una storia coinvolgente che vi porterà a seguire due lupi, Ulisse e Achille. Della specie, è anche una sorta di riscatto.

Grazie ai volontari del Centro Monte Adone, i due protagonisti – ma scoprirete che gli attori sono in realtà molti di più – sono stati rimessi in libertà. Giuseppe Festa ha trascorso quindici mesi tra i boschi seguendo le indicazioni dei volontari del centro di recupero che ospita specie a rischio ferite. L’intento è recuperare la fauna senza creare negli animali dipendenza dall’uomo. Il centro non è nuovo a queste esperienze, nel suo passato ci sono storie potenti del legame che gli animali manifestano tra loro e tra loro e noi.

Se non credete che un umano possa riportare in vita un lupo con la respirazione bocca a bocca, godetevi il filmato di Navarre. Ha superato le quattro milioni di visualizzazioni suscitando in chi scrive un fiume di emozioni.

Le stesse che ho ritrovato nelle pagine (ben scritte) di Festa. Il lupo che crea un effetto di spavento sull’umano dovrebbe essere solo in Cappuccetto Rosso. Cito testualmente:

Liberando un lupo, liberiamo noi stessi. Ridiamo energia alla parte più istintiva e selvaggia del nostro essere. Per un istante è come se fossimo noi a schizzare fuori dalla gabbia e a correre liberi nei boschi.

Leggasi: siamo tutti lupi. Con la squadra del Monte Adone, l’autore ha condiviso notti all’addiaccio e infiniti silenzi rotti solo dai fruscii delle zampe nel sottobosco. Il lupo in Italia è oggetto di animate discussioni, come se si potesse schiacciare un interruttore sull’esistenza di un essere che è più padrone della wilderness di quanto non lo siamo noi.

Eppure i lupi sono abbattuti a centinaia ogni anno. Credo che al libro di Festa vada riconosciuto il merito di portarci sul piano dell’equilibrio per capire come un compromesso sia possibile senza farsi sopraffare dalla paura. Capisco le ragioni degli allevatori e di chi vive al margine del bosco (sono uno di quelli e i lupi li sento ululare da vicino) ma la ragionevolezza ci deve portare a capire che dobbiamo qualcosa anche alla natura e al selvaggio. Serve smettere di pretendere che sia lei a doversi adattare a noi. Un cambio di mentalità che Cappuccetto Rosso forse non capirebbe.