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Il giorno in cui sono morto un po’

All’anagrafe faccio “stefano” e uno stretto nugolo di amici mi chiama “orso” un po’ per il carattere e un po’ per un piccolo tatuaggio sul braccio, quindi se leggo un titolo di giornale tipo “hanno ucciso l’orso Stefano” mi sento chiamato in causa. Parecchio.

Stefano, quello ucciso, era un orso bruno marsicano. Lo hanno aspettato e fatto secco con tre colpi mentre probabilmente si sentiva al sicuro e libero di scorrazzare nell’area protetta del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio, Molise. La scena è stata più simile a una sadica esecuzione. Il primo colpo al femore per fermarlo. Il secondo caricato a pallettoni per farlo soffrire. Il terzo, letale, alla testa.

Così, di questi tempi, neppure l’altro stefano, quello vivo che sta scrivendo, si sente tanto sicuro, cosciente che l’unica differenza con lo Stefano impallinato é il potersi difendere, con le mani, con le parole, se serve anche con le armi. Con la legge no, purtroppo, perché quella avrebbe dovuto proteggere entrambi. Tutto era dunque precluso all’altro Stefano, perfino l’istinto naturale, ancora più indifeso anche perché la sua natura non gli faceva più temere l’uomo.
Questo rende il gesto ancora più grave. Un segnale che la guardia non dovrebbe mai essere abbassata perché l’uomo é un gran bastardo quando ci si mette. E questa cosa, sarò all’antica, uccide ogni giorno un po’ anche lo stefano rimasto vivo.
Intanto la Lav, Lega Anti Vivisezione, ha messo una taglia: chi fornirà notizie attendibili per incastrare gli esecutori, riceverà una ricompensa. Riusciremo davvero a dare un valore a tutto?

Il menù nel Parco: oggi polpette, avvelenate

Qualcuno ci ha riprovato. Gli orsi sono un fastidio, ma il parco in generale è un fastidio. Pensi che un parco sia un oasi di verde che protegge la natura e fa star meglio l’uomo, ma se giri la medaglia, trovi qualcuno per cui doversi raffrontare con una riserva protetta significa avere dei limiti edilizi, divieti di bracconaggio, restrizioni al pascolo, chiusure al traffico di strade di montagna. Che rovina è?

Ecco allora che nel cuore della riserva integrale del Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise il “qualcuno” passa al contrattacco. Come? Polpette avvelenate per sterminare proprio l’animale simbolo della riserva, l’orso.

Poteva essere una carneficina ma, fortunatamente per gli orsi, i bocconi avvelenati sono stati intercettati dopo alcune segnalazioni di avvelenamento di altri animali di piccola taglia. Qualcuno, dunque, ci ha comunque rimesso la vita. Già nel 2007 due orsi e tre lupi si erano scontrati con la triste realtà dei bocconi avvelenati.
All’epoca il Wwf aveva anche messo una taglia, ma nessun colpevole è stato individuato in 6 anni.

Ho sentito allora Dario Febbo, il direttore del Parco. “Abbiamo 42 guardie che si muovono in 21 pattuglie e controllano 53000 ettari. Chi decide di attentare al nostro patrimonio non è facilmente contrastabile, tanto più se si parla di delinquenza organizzata che conosce bene il territorio”.

L’area del Parco è grande come una provincia ma la controllano solo in 42? “Non ci aiuta il fatto che non possiamo neppure fare intercettazioni ambientali – aggiunge – per quanto attraverso il magistrato ci stiamo muovendo di conseguenza”. Per la cronaca, Febbo mi ha precisato che, stando alle prime analisi, il veleno utilizzato sarebbe una sostanza normalmente acquistabile da chiunque in un consorzio agrario. Far morire un orso o un lupo dopo una sofferenza lancinante è davvero facile, dunque.

Non sono un inquirente, ma vorrei davvero appostarmi con le guardie e aspettare, vederli in faccia questi delinquenti senza scrupoli. Se li trovassi, nessuna tortura o prigione. Semplicemente li inviterei a uno di quei pranzi come solo in centro Italia sanno fare. Il menù? Variazioni di polpette, ora so anche dove procurarmi gli ingredienti!

Questo articolo è stato pubblicato anche sull’Huffington Post.