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Lubiana, capitale verde d’Europa

Lubiana, capitale slovena, è una meta perfetta per un city break autunnale.

Immaginate di guidare attraverso un territorio vasto quanto quello della Lombardia e, dopo aver percorso chilometri e chilometri di strade a pennellare colline e montagne rivestite di boschi, arrivare nel capoluogo, una città di circa 300.000 abitanti. Ecco questa è la Slovenia con al centro la perla di Lubiana. Tutta questa boscosità non dispiace e la piccola capitale si è guadagnata il titolo di Capitale Verde Europea per il 2016.

Il modello virtuoso parte da lontano, con un sindaco che suscitò parecchio scalpore per le sue scelte che furono travisate. Di provenienza manageriale, da una delle catene commerciali più importanti del paese, la volontà di dare una sterzata ecologica con chiusure al traffico e vincoli di riciclo fu interpretata come uno sgarbo ai commercianti locali del centro storico. La chiusura totale – e per totale intendo davvero totale – del cuore cittadino e le opere infrastrutturali, come i cassonetti automatici e il recupero delle sponde fluviali, assorbirono molte risorse. In realtà tutto era stato palesato in un piano denominato Vision 2025 che, trovando un ottimo tessuto ricettivo nei cittadini, ha perfino anticipato i tempi di realizzazione dei progetti.

Facendo un passo indietro nel tempo, per diventare città verde europea serviva ottemperare parametri precisi: azioni contro il cambiamento climatico, potenziamento dei trasporti locali, intensificazione delle aree urbane verdi, incentivazione dell’uso sostenibile del territorio, agevolazione di biodiversità. E poi via così verso qualità dell’aria, qualità dell’ambiente acustico, produzione razionale e gestione dei rifiuti, gestione delle acque, trattamento acque reflue, ecoinnovazione e occupazione sostenibile, rendimento energetico e gestione ambientale integrata.

In ognuna delle voci Lubiana ha barrato la sua casellina ed eccoci qui io a scrivere a voi a leggere di questa bomba innescata a clorofilla dove a molti piacerebbe vivere. I motivi si leggono in alcuni dei comportamenti già assimilati degli abitanti oltre che nelle scelte dell’amministrazione. Sarà perché li è diventata abitudine a tenere in tasca una smart card che offre libero accesso ai parcheggi costruiti nelle periferie ed è utilizzabile a bordo dei bus ibridi che poi traghettano verso il centro. O perché, arrivati qui, micro taxi elettrici curano a loro volta i collegamenti punto a punto. Le stazioni per la raccolta dei rifiuti differenziati sono state interrate e automatizzate. I punti di noleggio del bike sharing sono stati intensificati. Le sponde e le acque dei corsi che attraversano la città, a partire dalla Ljubljanica su cui si affacciano i bar e i locali del centro storico, sono stati riqualificarti per diventare luoghi di passeggiata e di sport. Se un terzo della superficie urbana oggi è destinata al verde o comunque vincolata dall’impossibilità di costruire, gli abitanti hanno molto ben recepito mettendoci del loro a fianco allo sforzo dell’amministrazione. Così nei parchi sono nate le biblioteche all’aperto dove i volontari arrivano con casse piene di libri e qualche sdraio creando dei punti di aggregazione dove lo sfogliare delle pagine si accompagna ai cinguettii. Le associazioni culturali si sono fatte avanti con il recupero delle aree dismesse. Ne è un esempio il parco Tabor. Centralissimo ma abbandonato a se stesso fino a qualche tempo fa, oggi è diventato un luogo per conversare e giocare a basket. In un confinante capannone sventrato, un centinaio di pollici verdi hanno anche pensato all’orto urbano. Non distante, un bar fatiscente è stato chiamato Knijznica Reci, che tradotto suona come “biblioteca delle cose”, dall’utensile al pezzo di arredo puoi prendere in prestito quello che ti serve per restituirlo quando hai finito di usarlo.

Sapete cosa fa la differenza tra queste azioni e piani milionari di riqualificazione? I milioni, appunto. E i palazzinari che qui non si palesano con doni tipo “ti facciamo il giardinetto pubblico in cambio della concessione per costruire un frigorifero in vetro e cemento alto 30 piani”. A Lubiana la ricetta è a base di buona volontà amministrativa e cittadini che ci credono.

A chi è consigliata dunque una visita nella capitale slovena? Fondamentalmente a chi apprezza la qualità della vita in una cornice austroungarica che potrebbe renderla paragonabile a quella di una piccola Vienna, ma soprattutto a chi vuol prendere esempi. Se il riferimento della popolazione è comunque una variabile applicabile alla situazione italiana, molti sindaci potrebbero tranquillamente andarci e trarre ispirazione per offrire al loro cittadini quello che chiamerei una sorta di effetto Lubiana.

Poi ci vadano i diretti interessati, ossia i cittadini. Il borgo è ricco di suo e non fatica a farsi apprezzare. In Italia cose belle da mostrare non mancano anche se non ci sono i draghi verdi del ponte sloveno più famoso. Se il castello sulla collina che domina la città è difficile da imitare, il collegamento diretto col trenino – gratuito – a propulsione elettrica rientra nella lezione del fattibile. Credendoci gli obiettivi si raggiungono a prescindere dal momento di crisi e non sottovalutando, mai, il potere di aggregazione delle persone e la forza di realizzare progetti che questo potere manifesta.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post con una photo gallery originale.

Sharing economy: condividi i vantaggi, risparmi tu e l’ambiente

Si parla sempre di più di sharing economy. Il 70% degli Italiani, rivela una statistica dell’istituto di ricerca TNS, ne conosce il significato e un terzo di questi ne ha utilizzato almeno una volta i servizi.

La conferenza sul clima di Parigi è stato un ottimo aiuto per ricordare che il movimento del consumo collaborativo aiuta a sfruttare meglio le risorse non utilizzate e può manifestare una trasformazione concreta su due livelli facilmente riscontrabili. Innanzitutto influisce sul borsellino dei viaggiatori facendoli risparmiare. In secondo luogo, cambia le attitudini mentali nel non possedere in esclusiva oggetti che si usano solo parzialmente. Ci sono così molti elementi che aiutano a limitare il cambiamento climatico incoraggiando le pratiche di sostenibilità nei vari ambiti, siano essi case, frigoriferi o veicoli, giusto per citarne alcuni.

Secondo uno studio di Cleantech Group, i viaggiatori che si affidano ad esempio alla condivisione di una casa emettono il 66% in meno di CO2 rispetto a chi sceglie alberghi che devono impegnare molte energie per raggiungere livelli di efficienza tali da guadagnare le stelle di classificazione. Analogo riflesso si ha nell’ambito alimentare: condividere una cucina o comunque il contenuto di un frigorifero permette di risparmiare sull’acquisto delle quantità e ottimizzare i consumi limitando gli sprechi.

È forse nei trasporti che si manifesta, però, il più grande e sorprendente vantaggio ambientale della sharing economy. Una ricerca dell’Università di Berkeley ha stabilito che per ogni veicolo utilizzato in tutta la sua capacità di trasporto grazie alla condivisione, se ne potrebbero togliere dieci dal traffico congestionato delle città.

Sommando tutte le attività degli operatori presenti sul nostro mercato (Airbnb, BlaBlacar, Gnammo, HomeAway, VizEat, Smartika, iCarry, CoContest, Guide Me Right, GoGoBus, Timerepublik, Tabbid, Produzioni Dal Basso, LastMinuteSottoCasa, L’Alveare che dice Sì, solo per citarne alcuni) la sharing economy può anche diventare un motore per la micro imprenditoria, stimolando a livello locale la crescita di nuove imprese e attenuando gli effetti della crisi di altri settori.