We are unstoppable: video intervista a Conchita Wurst

Conchita Wurst che ha vinto l’EuroFestival con una voce potente che ha conquistato milioni. Conchita che ha trasformato la sua sua barba in uno strumento di battaglia. Conchita che è a Milano per presentare video, libro e il nuovo Eurofestival, nella sua città, Vienna.

Mi chiedo chi sia davvero Conchita, mentre cammino verso il lussuoso albergo costruito a fianco alla mensa dei poveri. Penso che tutto sommato è una coincidenza, uno dei tanti contrasti di questa Milano da Expo. Una coincidenza come questa Conchita che è una star ma non smette di parlare di diritti perché questi sono unstoppable.
Così mi aspetto la diva, ma solo fino a un certo punto. Entro nella saletta di specchi e lei è lì, sorride, mi accoglie come un amico e la butta subito sullo scherzo del nostro punto comune più evidente, la barba.

Il nuovo video Heroes si apre con una Conchita michelangiolesca e nella posizione di una pietà mentre canta “sono un leone con una corona di polvere e oro”. Come ci si sente essere un’icona contemporanea? (video)
Io non mi sento un’icona o un simbolo, so che la gente mi vede in quel modo ma io prima di tutto rappresento me stessa e non devo fare nessuno sforzo per essere me stessa. Sono come tutti gli altri e così mi vedo. Conchita è Conchita.

Unstoppable: è come se tutti avessero scoperto questa parola solo dopo che Conchita l’ha pronunciata sul palcoscenico dell’Eurofestival. Canti “sei più forte di quanto tu non creda” e nel video fai indossare la tua barba a ognuno. Quanto è unstoppable questa barba per te? (video)

Mi piace la tua barba e vedo che siamo tutte due nel genere barbuto, quando diventerà grigia – si riferisce alla mia che lo è già – la terrò tutta grigia. Ma questo è un altro tema. Per me la barba è qualcosa di molto importante perché ho cominciato a fare spettacoli quando avevo 14 anni e non l’avevo. La ragazza barbuta è arrivata dopo, per caso. Stavo rifinendo il trucco agli occhi e non ero ancora rasata e mi sono piaciuta. Di fronte allo specchio ho pensato che sembrava carina. Così l’ho tenuta, insomma è accaduto.

Capita che alcuni ragazzi pensino al suicidio in quello che gli psicologi definiscono il minority stress – sentirsi inferiori perché diversi -. Tu ora sei una star, ma c’è stato un momento in cui la star ha aiutato Tom – il suo nome all’anagrafe – o Tom ha avuto bisogno della star e non l’ha trovata? (video)
Sono sempre stata circondata da un grande sentimento in famiglia e tra gli amici e sono sempre stata supportata dal loro amore. Rivolgendomi ai giovani e giovanissimi, mi rendo conto che l’adolescenza è sempre stato un periodo duro. Essere un adolescente non è affatto facile e divertente ed essere decisamente diversi dagli altri che ti circondano non è semplice. Mi sento di rincuorare i giovani che devono credere nell’amore che prima o poi li troverà. E dovete assolutamente credere che andrà meglio. Penso che il più delle volte il problema è, in un certo senso, soffrire fino al momento in cui si decide di essere orgogliosi di sé stessi. Quando avrò deciso, avrò una mia consapevolezza e chiunque vorrà unirsi al mio sentiero io lo accoglierò volentieri. E quelli che non vorranno farlo non importa. Quello sarà il momento di trovare le persone con cui accompagnarmi. Così c’è il momento di credere che l’amore ti troverà e l’amore ti supporterà.

È un atto di fiducia in se stessi?
È un incoraggiamento a non smettete mai di credere, ad investire nella ricerca di noi stessi. Lo so che è durissimo concentrarsi e pensare a cosa pensa la gente e a cosa dovresti fare. Nella mia verità, nel mio mondo, voglio cercare di essere la migliore versione di me stessa e questa è un’esperienza che dura una vita.

Rise Like A Phoenix è stato giudicato un pezzo bellissimo anche dalla critica, ma è stato anche il numero uno di iTunes in Russia. Supponiamo adesso di telefonare a Putin, cosa gli diresti? (video)
Gli chiederei una settimana del suo tempo perché vorrei parlargli. Non solo parlargli, vorrei anche conoscerlo. Mi piacerebbe conoscerlo e capire che cosa significa essere Vladimir Putin. Mi piacerebbe capire perché prende delle decisioni e perché non ne prende altre.

Circola in rete l’immagine di un Putin dipinto alla Andy Warhol, come si contrappone all’idea dell’uomo nella neve a torso nudo?
Penso che sia una forma d’arte che chi lo ha dipinto ha scelto…

E l’uomo orso che si fa fotografare a torso nudo nella neve?
Si è vero, può essere una posa da atteggiamento gay, ma non fraintendermi, io penso che sia attraente.
Lo dice sorridendo, quasi sussurrandomelo.

Al Festival di Sanremo, Carlo Conti il presentatore ti ho chiamato Tom. Come l’hai presa? (video)
Sono stata abbastanza sorpresa. Ho anche pensato che fosse anche un equivoco perché stava parlando durante il doppiaggio e mi stava domandando qualcosa sulla barba. Ho davvero pensato che avesse frainteso e non avrei neanche detto niente se i miei fan non avessero reagito alla cosa. Uno di di loro mi ha twittato se avevo capito che cosa era successo e ho risposto che sono stata sorpresa, ma lì al momento non ho neanche ben capito, perché tra gli applausi e tutto il resto non si capiva.

Ma ti ha dato fastidio?
Il concetto è che io sono un artista drag e scelgo il nome e scelgo il modo in cui presentarmi. E quindi vorrei avere il rispetto che la gente mi deve, chiamandomi Conchita e riferendosi a me come una donna. Giusto per rispettare la creazione a cui io sono arrivata.

In Italia siamo stati abbastanza sorpresi dell’approccio, noi della comunità gay in particolare…
Io non sono stata tanto seccata lo ammetto, sono stata più sorpresa. E per essere onesta fino in fondo, io sul palco non me ne sono accorta subito.

Hero è una parola frequente nelle tue canzoni, oggi abbiamo ancora bisogno di eroi? (video)
Ne abbiamo bisogno. Non è che abbiamo bisogno veramente di un eroe, ma del cercare di essere eroi tutti i giorni. Io stessa lo faccio aiutando gli altri, aiutando la gente comune, cercando di essere dei buoni esseri umani. E penso che questa sia un vero atto dell’essere eroi. Penso che se riuscissimo ad essere così, eroi giorno per giorno, tutto potrebbe andare meglio.

Una domanda futile, ma molto milanese. A molti in Italia piace il tuo stile, c’è qualcuno in particolare a cui ti ispiri? (video)
Mi piace la moda, la amo veramente. Mi piace Jean-Paul Gautier, lo adoro ed è diventato uno dei miei punti di riferimento. È nata quasi una specie di amicizia. Naturalmente amo la moda italiana. Sono affezionata a Donatella e al marchio Versace, ma alla fine del giorno, quando devo prendere una decisione sul look, devo pensarci. Mi confronto con la mia stylist e alla fine la domanda per gli eventi del giorno dopo è: “che cos’è indosserebbe Victoria Beckham? “.

Lo dice sorridendo, quasi prendendosi in giro. Conchita, la star non ha perso il grande senso dell’ironia che il palco drag regala al mondo.

Una chicca per chi si è sparato l’intervista fino a qui: un giro per Vienna con Conchita.

Questa intervista è pubblicata anche sull’Huffington Post e in Podcast su Radio Popolare.

Il mondo con gli occhi di chi guarda le mosche

Se un giorno un appassionato di letture dovesse consigliarvi un libro scritto da un entomologo sulle mosche di un’isoletta del Baltico, aspettate a ridergli in faccia. L’arte di collezionare mosche sembra il titolo di un libro che invita ad armarsi di retino e iniziare a catalogare serfidi. Ecco, forse in parte lo è. Gli entomologi italiani lo definiscono “un biglietto per alcune ore di intenso piacere“, ma si sa, giocano in casa. Per chi scrive è invece una lettura molto ispirante che trasforma l’attività dell’autore in una porta per il mondo e che induce almeno tre riflessioni.

La prima. Un fazzoletto di terra di 15 chilometri quadrati – Runmarö, a Est di Stoccolma – come quello dove si è rintanato l’autore può essere l’isola più pallosa del mondo se vi accontentate del superficiale. Diventa invece un mondo intero se ci si abitua ad osservare il molto piccolo, pratica che a un entomologo come Fredrik Sjöberg riesce evidentemente facile. Ma l’autore non è solo un entomologo tra i principali esperti al mondo in mosche, ma un fine narratore.

Qui arriva la seconda riflessione, il soggetto è anche un acuto catalogatore di fotografie di paesaggio e ritratti di personaggi noti e meno noti. Da Bruce Chatwin al naturalista Malaise. Riesce a raccontare scorci di vita come il caso di un Rembrandt scomparso con altre tele e un cesso a due posti ritrovato in un rudere. Scenette dipinte con la stessa forza. Tanto per dare un’idea della fecondità del personaggio, sappiate che tre sue teche sono state esposte anche alla Biennale d’Arte di Venezia. Non male se si pensa che la mosca è mediamente un animale associato agli escrementi. Perfino sul tema – cacca! – Sjöberg riesce a mettere mosche e narrazione in una forma di racconto che attrae, viaggiando nel tempo e nello spazio.

Bella Mosca, dal comportamento capriccioso. Probabilmente ha avuto problemi di sopravvivenza perché da tempi memorabili, forse milioni di anni, la sua strategia è stata di farsi passare come una pecora travestito da lupo, per il fastidioso Oestrus bovis. Sono davvero molto simili. Una mucca non nota nemmeno la differenza, come del resto nessun altro. C’è solo un problema: che alle nostre latitudini lo Oestrus bovis visse e si estinse un sacco di tempo fa. E così se ne è andata la protezione della somiglianza. Forse è per lo stesso motivo che restiamo sbigottiti davanti ai colori di certi insetti, talmente bizzarri che non sarebbero venuti in mente a un surrealista drogato: è possibile che non siano altro che imitazioni di qualcosa che non c’è più. Spiegare la rarità è un’arte, né più né meno. A volte non si riesce a sottrarsi alle domande dell’osservatore casuale senza ripetere la storia del raro scarabeo stercorario dell’Himalaya, animale che un tempo prosperava tra i maestosi mucchi di letame dei mammut, ma che ora deve tirare avanti, come un principe russo in esilio, con i miseri escrementi degli yak. Quanto più ci penso tanto più sono convinto che sia stato un grande errore sostituire “storia naturale” con l’arido termine di “biologia”

Concludo con il terzo elemento. Potete tranquillamente fermarvi qui se non siete appassionati di documentari. Non lo avete fatto! Quindi eccovi una chicca dell’autore sul tema della natura mostrata in tv e nei film. È un testo che che passerò a tutti i colleghi documentaristi e a quelli che si rivolgono a noi con un sospirante “beato te che sei sempre in giro”. In poche righe, Sjöberg racconta l’arcano di come la telecamera renda favoloso il nostro lavoro quando invece…

La foresta tropicale è al suo meglio in televisione. Certo può succedere che la giungla sia bella e piacevole anche vista da vicino, nella vita reale, ma credetemi: di solito si presenta come un’orgia disgustosa in cui tutto punge e morde, i vestiti si incollano al corpo come pellicole di plastica. Il sole non lo si vede nemmeno, perché la fitta vegetazione si inarca in una volta, come un umido soffitto di cantina, sopra il sentiero trasformato degli acquazzoni in un rigagnolo scivoloso dove soltanto le sanguisughe si trovano a loro agio. Le zanzare portatrici di malaria sferrano i loro attacchi e il solo pensiero del morso dei serpenti, delle gambe rotte e della dissenteria fa sprofondare l’umore come un sasso nell’acqua. Tanto più se la distanza dalla strada più vicina viene misurata in giornate di cammino, il che ai tropici avviene spesso, e di conseguenza i visitatori nordici, all’inizio così ostinatamente assetati di avventura, se ne stanno ore lui al buio, sul terreno fradicio e marcio della foresta tropicale, scoraggiati, disperati, a parlare quasi esclusivamente della consistenza dei loro escrementi, e per il resto incapaci di formulare altro che pensieri elementari. Portatemi via di qui. Datemi una birra.

Sarà anche un parere partigiano, ma consiglierei questo libro se anche fosse stato di questa sola pagina.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Un orso al fuorisalone, puntata 2015

A Milano è partita la kermesse del Salone del Mobile con l’annesso circo dei Fuorisalone che animeranno fino a domenica la città. In molti vedono la galassia di eventi come la prova generale di Expo. Vedremo. Per adesso mi accontento della mia (solita) passeggiata alla scoperta dei molti talenti impegnati nella valorizzazione di progetti sostenibili.

Suggerisco di partire dalla zona più fresca per l’età dei creativi impegnati, quella di via Ventura a Lambrate. Luci a led che diffondono soavi trasparenze in lampade a nuvole o a petali, cascate d’acqua in vecchi tubi di aerazione, tavoli e mobili da cassette e Bici in legno Cascata d'acqua a led Cassette portatutto e mensole da tronco Completo in cartone ondulato Coprivaso in materiale di risiclo Fiori da tessuti riciclati Fogli di betulla diventano lampadari Giunco per borse di design Legno certificato per arredi contemporanei e pareti multiuso Luce diffusa grazie ai fiori di led Manici che diventano lampade Mobili gonfiabili, leggerissimi e trasportabili Monoblocco lavabo in pino Nuvole di luce Pala eolica o scultura di energia rinnovabile? Plastica avvolgibile per armadi versatili Portavaso minimalista Tavolo e accessori in laminati di legni Un filo di ferro e un led creano un voltopallets, fiori e vasi da tessuti di scarto, tubi che diventano sculture, bici in legno, case e uffici pieghevoli ricavati in serre, mobili in lamiera che una volta era automobili o lavatrici. Ci sono perfino un tubo che rivela la naturale luminescenza del mare e una pala eolica che è molto vicino ad essere una scultura. Un monumento alla sostenibilità? Forse. Siamo sulla buona strada, ci servono esempi, non monumenti.

Spostandosi verso il centro, la Fabbrica del Vapore sarà la tappa obbligata per gli appassionati delle architetture vegetali. Giunco, bambù, fibre naturali per l’unico materiale – il legno – che è perfettamente rigenerabile e nel rigenerarsi produce quella cosa chiamata ossigeno. Avete presente, no?

E siccome per il futuro sarà sempre più importante riciclare, tra gli appuntamenti immancabili bisogna segnarsi Io riciclo, Tu ricicli. Occasione straordinaria per incontrare designer emergenti che fanno del green il proprio credo. Dalla nascita dell’evento, all’NH Hotel di via Tortona, sono circa 100 i progetti selezionati negli anni e diventati successi. Il vaso fatto col compost, i manici del rastrello e della scopa che diventano lampade, il cartone ondulato che si modella a sedia di design. È tutto lì da vedere e, soprattutto, provare.

Nel chiostro dell’Università Statale, Energy for Creativity propone una selezione di creativi che combinano materiali poveri con le avanguardie. Curiosa la parte dedicata al Brasile, che dimostra come arredare usando forme e colori della natura incontaminata con la libreria a forma di giaguaro o la lampada che richiama al serpente corallo.

In tema di ambiente, anche i confini della Fiera hanno qualcosa da raccontare. Qualcuno ha pensato ai luoghi del cuore d’Italia sviluppando cinque ambienti tra Milano, Roma, Venezia, Val d’Orcia e Lecce. Nelle ambientazioni, visualizzabili anche nell’app scaricabile nel Padiglione 14, il sogno del Bel Paese si celebra con gli oggetti del design nazionale.

Nella sezione Satellite, i giovani talenti si preparano a Expo con progetti tutti “tecnologia e sostenibilità”. Si trovano vasi intelligenti che modulano acqua e aria e composizioni in betulla. In tema di sostenibilità rimango perplesso di fronte alla libreria in cemento e alle sedie in vetroresina, materiali che sostenibili non sono. Il design comanda qui, è vero, ma il pubblico non è tanto allocco.

Nei padiglioni 22 e 24 della sezione Workplace, ci si cala invece nella passeggiata di un ufficio verde progettato da De Lucchi. Bello, anzi bellissimo. Le passerelle volano letteralmente su isole verdi dove tra le scrivanie ci starebbero bene scoiattoli e passerotti. Se davvero gli uffici saranno così, chi ci torna più a casa?

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

 

La decrescita di Pepe Mujica: il passo indietro verso il futuro

Il libro del presidente uruguayano José “Pepe” Mujica sta scuotendo parecchi animi. C’è chi, percorrendo la strada indicata dal naturalismo di Latouche, condivide l’idea che la crescita non debba più essere vista come sinonimo di benessere e di migliori condizioni di vita. Ma c’è anche chi non crede che nella decrescita ci sia l’unica risposta per ristabilire un rapporto equo tra uomo e natura.

Quest’altra parte della barricata vede nella decrescita “una boiata pazzesca”, citando un articolo di Simone Paliaga che, dalla pagine di Libero, etichetta i principi della “decrescita felice” come semplici luoghi comuni radical chic. Per Paliaga, il capitalismo è l’unica ancora di salvezza. Si allineano su questa visione i saggi di Luca Simonetti Contro la decrescita. Perché rallentare non è la soluzione e di Chicco Testa Contro (la) natura. I due autori si oppongono convinti ai teorici della decrescita felice, puntando il dito contro chi vede nel consumare meno un conseguente miglioramento delle condizioni di vita per l’uomo. Secondo Simonetti consumare meno non ci mette automaticamente nella condizione di consumare meglio, con la storia che ci dimostra in modo evidente come quantità e qualità siano strettamente legate. “La qualità costa e i poveri tendono a consumare non solo meno ma anche peggio dei ricchi” scrive Simonetti, obiettando ai teorici della decrescita felice l’ostilità ad ogni forma di industria, di tecnica e di progresso. Sembra quasi che l’obiettivo dei sostenitori della decrescita sia quello di tornare ad uno stato “primitivo”, opinione che riprende anche Chicco Testa nel suo saggio quando, in modo sarcastico, banalizza le ambizioni primitivistiche.

È bellissimo vedere avanzare una tromba d’aria ma protetti dalle vetrate di un hotel extra lusso come è pregevole ammirare una tormenta di neve al tepore di un albergo aspettando le sciate dell’indomani … Non esistono equilibri ecologici che prescindono da equilibri sociali e dalla soddisfazione dei bisogni umani

Certi scenari sono sicuramente incondivisibili da pescatori che devono affrontare una tempesta in mare aperto o dai contadini che in una tromba d’aria vedono la minaccia del raccolto. Di fatto, trovo sorprendente la conversione a 360° dell’ex dirigente di Legambiente. Leggendo tra le righe sembra che la natura e l’uomo non possano avere un rapporto di reciproco rispetto, essendo l’essere umano spinto al progresso e quindi impossibilitato a ritrovare condizioni di vita ormai lasciatosi alle spalle. Dichiarazioni semplicistiche e stereotipate oserei dire, che non tengono in considerazione il vero obiettivo della decrescita felice, ovvero quello di raggiungere benessere e miglioramento delle condizioni di vita abbassando i consumi e utilizzando (magari anche ri-utilizzando) quello di cui abbiamo veramente bisogno, senza eccessi.

Gli autori dei saggi forse confondono troppo semplicemente il progresso con il voler fare soldi a tutti i costi. Sostenere la decrescita felice non vuol dire essere dei nostalgici bucolici, così come non significa tornare alla preistoria perché stressati dalla vita quotidiana. Piuttosto significa cercare di ristabilire quel rispetto reciproco tra noi e l’ambiente che ci circonda e che ci stiamo giocando. Ma soprattutto significa capire che c’è bisogno di una svolta altrimenti, tra pochi anni e con questo tasso di sfruttamento delle risorse, potrebbe non esserci più nulla su cui discutere. Per intenderci, non potremo dire “Ops, ci siamo sbagliati, le foreste ci servivano per respirare” quando non avremo più le foreste. Per dirla con le parole di Kenneth E. Boulding:

Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista

Questo pezzo è stato scritto con la preziosa collaborazione del collega Lino Cassese e pubblicato anche sull’Huffington Post.