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Discovery e la prossima estinzione

Sulla Terra l’estinzione di massa è un evento raro ma ricorrente e Discovery sta per raccontarlo con un evento in contemporanea mondiale.

Tutti conosciamo quella dei dinosauri di 65 milioni di anni fa, ma crediamo che ci riguardi poco visto che i primi ominidi hanno iniziato a calcare il suolo solo 4,5 milioni di anni fa. Tanto per dare una misura tangibile in termini di generazioni, se consideriamo una generazione umana ogni 30 anni, i dinosauri si sono estinti  due milioni di generazioni umane or sono. Ma una estinzione peggiore è quella di 250 milioni di anni fa, per la quale fu spazzata via dalla Terra la maggior parte delle forme di vita. Visitando il Museo di Storia Naturale di Londra, una linea retta sulla tavola del tempo racconta che nei 4,5 miliardi di anni del nostro pianeta, gli eventi catastrofici non solo non sono mancati, ma anche hanno contribuito ai processi evolutivi.
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Più del 90% di tutti gli organismi mai vissuti sulla Terra si sono estinti. Così come le nuove specie si evolvono per adeguarsi alle nicchie ecologiche in continuo mutamento, le vecchie specie spariscono. Ma il tasso di estinzione è ben lontano dall’essere costante. In più di un’occasione, negli ultimi 500 milioni di anni, un’importante percentuale delle specie che popolavano la terra (tra il 50 e il 90 per cento) è scomparsa in un lasso di tempo molto breve dal punto di vista geologico.
Nonostante la loro portata catastrofica, le grandi estinzioni sgombrano la strada alla comparsa di nuove forme di vita. I dinosauri apparvero in seguito a una delle più gravi estinzioni di massa mai verificatasi sulla Terra, quella avvenuta circa 250 milioni di anni fa, al passaggio dal Permiano al Triassico.

I passaggi sono tratti dal numero speciale di National Geographic dedicato alle grandi estinzioni. Dov’è il problema in tutto questo? Semplice: quello che fino ad oggi si è manifestato in tempi da ere geologiche, ora si cronometra in decenni. Tornando alla nostra grezza unità di misura delle generazioni, prima serviva un intervallo di centinaia di migliaia di generazioni per portare alla catastrofe, ora siamo a tre. Merito umano. Per il 2100, si prevede che le attività in cui siamo davvero bravini – inquinamento, disboscamento, esaurimento delle risorse – avranno eliminato oltre la metà delle specie animali, marine e terrestri.

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Del tema delle estinzioni se ne occuperà con un evento straordinario Discovery Channel. Il documentario Racing extinction, del premio Oscar Louie Psihoyos, sarà divulgato in simultanea mondiale, il 2 dicembre, in 220 paesi alle 9 pm GMT (le 22 di Roma). I primi 4 minuti in chiaro sul sito sono una anticipazione cruda di quanto l’uomo sta facendo per accelerare. Uccelli ormai solo sotto vetro, grandi mammiferi africani imbalsamati, fino a seguire la polizia federale nel ristorante americano che serve carne di balena contravvenendo le direttive per la tutela delle specie a rischio. Tutto questo in concomitanza col summit di Parigi.

Ce la faremo stavolta a metterci d’accordo? L’opzione insuccesso sarà come firmare la prossima estinzione e non sono sicuro che, ecologisti o no, la vogliamo davvero.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Cosa mi estinguo oggi?

In testa alla classifica delle specie che la gente gente ha più voglia di proteggere dall’estinzione ci sono i cicciottelli e pelosi. Rassicurato a titolo personale rientrando in entrambe le categorie, sono più preoccupato per il mantenimento delle catene alimentari. Se ne è occupata un’inchiesta di National Geographic dimostrando che l’emotività ha il suo perché. Sì a condor e a panda, no a serpenti e lucertole. Fino a dove è giusto?

Il Rinoceronte è andato, per sempre

Circola in rete la notizia che è appena stato dichiarato estinto il rinoceronte nero  occidentale. Purtroppo è vero a metà, cioè è estinto ma la dichiarazione ufficiale risale al 2011. Non ne faccio una questione di data. La parte negativa del messaggio è che ci siamo giocati definitivamente il rinoceronte nero. Potremmo pensare: «ma con tutti i problemi che abbiamo, qualcuno sta a parlarmi di un animale dell’Africa che probabilmente non avrei mai incontrato?». Sì.

Se non siamo riusciti, nonostante tutti i segnali di allarme, nel relativamente facile e circoscritto compito di salvare un animale dalla sua estinzione, significa che non solo ci è mancata la capacità, ma anche la volontà di salvare un tassello di natura. Non solo.
Perché sarebbe stato utile avere successo nel salvataggio? Perché c’è comunque stato un certo impegno della comunità internazionale, perché sarebbe stato un segnale nei confronti dei bracconieri, perché sarebbe stato portato alla ribalta l’ostacolo teso alle organizzazioni malavitose internazionali che curano il traffico dei corni di rinoceronte di cui si era già parlato qui.

Mi attacco al magro bottino di uno stimolo: rimangono ancora gruppi di rinoceronte bianco e rinoceronte asiatico al mondo. Google ha investito cinque milioni di dollari in tecnologie di sorveglianza antibracconaggio messe a disposizione di WWF ed enti di ricerca. Che sia un segnale che quella persa con il rinoceronte nero sia solo una battaglia e non la guerra? Speriamo, il dato di fatto è che, almeno ad oggi, il rinoceronte nero è andato. C’è un “almeno” in più, cioè  finché non se ne avvisterà uno, cosa che non avviene dal 2006.