Tutti gli articoli di stefano paolo

Milanese, laureato in Bocconi, giornalista e autore di documentari di carattere storico e geografico per i canali tematici di Sky (con specializzazione in ambiente, storia, tradizioni). Ha firmato progetti per National Geographic e per History Channel. Collabora, tra gli altri, con RViaggi di Repubblica e il Corriere della Sera e l'Huffington Post (http://www.huffingtonpost.it/stefano-paolo-giussani) Libri pubblicati: Gli italiani del Titanic, L'Ultima onda del lago (Premio Brianza 2012), Sentieri di fede e una serie di monografie per Touring Editore e l'Istituto Geografico De Agostini. Il suo blog è Cronache dalla Terra degli orsi. Continua a viaggiare, scrivere e fotografare per Agenzia Geografica (www.agenziageografica.it).

Il bacio di un paese in guerra

Il senso del bello nella guerra. O la voglia di portare un segno di pace in una terra martoriata. Qualunque fosse il suo intento, l’artista siriano Tammam Azzam é riuscito a lasciare il suo segno nel contesto urbano della capitale siriana ormai allo sfascio. Mi sarebbe piaciuto assistere alla lavorazione, magari con una telecamera puntata su di lui, microfonato per ascoltare i suoi pensieri a voce alta mentre le sue mani dipingevano “il bacio” di Klimt cercando la superficie tra i colpi dei proiettili, le sue orecchie ferite dagli spari in giro per le strade. Mi sarebbe piaciuto anche filmare la gente che passando vedeva il lavoro nascere. Cosa avranno pensato? Che commenti avrá generato? Soprattutto, che faccia avranno fatto nel veder cambiare il paesaggio solo dandogli colore e forma diversi dalla nuda realtá di una parete falciata dalle raffiche?
Il ragazzo, nato nel 1980, non é nuovo ad azioni stravaganti come quella di associare arte e rovina nella martoriata Damasco, sua cittá natale. Trovate qualche altra opera qui. Quando l’arte riesce a far dimenticare la guerra… o diffondere ancor di più la sua ferocia con una forza perfino più potente dell’eco delle armi

L’eroe cinese che passa da Bologna

Yunnan, in cinese significa “a sud delle nuvole”. Yunnan è il nome della provincia dell’impero industriale dagli occhi a mandorla ai confini col Tibet (scopri qui la posizione) che conta un numero di abitanti vicino ai 46 milioni, più o meno come la Spagna e solo 14 in meno dell’Italia.
Questa provincia, che ha un ambiente naturale di pregio (vedilo qui), è anche un colosso produttivo con una elevata sensibilità alla protezione dell’ambiente, contrariamente al governo centrale di Pechino che invece continua a non essere tra i sottoscrittori del trattato di protezione ambientale di Kyoto2 ( insieme agli Stati Uniti).
Dal 1996 ad oggi nello Yunnan sono stati accertati 75000 casi di violazione delle leggi ambientali, a seguito delle quali è stata imposta la chiusura di 15 aziende. I cinesi saranno a loro modo un po’ copioni nella gestione aggressiva del marketing, ma almeno non scherzano con le sanzioni. “Se trasgredisci e sei recidivo chiudi!”, semplice, no?
La notizia che tocca l’Italia è che il governo dello  Yunnan ha commissionato alla Università di Bologna l’istruzione di due tribunali specializzati nelle controversie civili e penali in tematica di protezione dell’ambiente. Lo staff che si occupa del progetto per le due corti lavora in collaborazione con Wang Canfa, docente di diritto ambientale all’università di Pechino e definito dalla rivista Time un eroe della difesa ambientale (è famoso una sua caricatura che lo ritrae mentre spegne una ciminiera).

In tutto questo, il nostro ministro dell’ambiente uscente, Corrado Clini, ha deciso nel frattempo di donare all’ambasciatore cinese un’auto elettrica (il regalino risale a novembre), come dire che il topolino Italia (PIL 2,2 miliardi), sottoscrittore di Kyoto,  prova ad addolcire l’elefante cinese (PIL 7,2 miliardi) con una automobilina, pur elettrica ma pur sempre un’automobilina. A Milano si dice che è la piccola chiesetta che fa la carità al duomo, ma per l’ambiente si fa anche questo.

La bomba e l’imprevedibile senso dell’umorismo iraniano

L’iran, paese modello per i diritti civili negati a donne (vedi qui), gay (qui) e a chiunque non la pensi come un ayatollah fermo al medioevo, si preoccupa invece di far sapere (leggere “dar da bere”) al mondo che la scimmietta sparata nello spazio su un suo vettore nostrano è tornata sana e salva, fornendo foto del prima e del dopo il lancio. Evidentemente credono che abbiamo tutti problemi di vista o forse loro non sanno distinguere un primate da un altro, come dimostrano le immagini fornite a conferma dell’esperimento riuscito, ma solo secondo loro (trova le differenze qui).
La storia purtroppo dei lanci nello spazio di vettori con animali è nota (scoprila qui) e se hanno avuto le loro difficoltà russi e americani, sembra davvero strano che ci riescano questi che si preoccupano più di potenziare la “polizia morale” antigay e antidonne che non l’apertura ai costumi contemporanei.

La tristezza della costrizione, ogni costrizione, si commenta da sola.
Se proprio avranno prima o poi la bomba che pare stiano realizzando ( con una gittata in grado di raggiungere Parigi), c’è solo da augurare che abbiano lo stesso successo ottenuto con la povera scimmietta la cui fine ci è facile immaginare.

Audi, tiene la strada ma scivola sulla pubblicità

Italia Land of Quattro, ma anche Russia e tutti gli altri paesi coinvolti nella nuova campagna Audi che imperversa sul web e sulla carta stampata con immagini di ottima qualità, musica all’altezza dei paesaggi, una voce suadente anche se su un testo completamente scollegato dove mare e montagna, città e paesi si invertono nella corrispondenza voce-video.
Ma la scivolata non è questa: nel bel layout destinato alla carta stampata (quotidiani e magazine) ammiriamo il veicolo impegnato in una strada che però suscita un po’ di fastidio. Se le immagini dello spot video intervallano spezzoni di strade alpine e del garda bresciano invogliando alla guida, il paginone della carta stampata ha come sfondo il Sasso Lungo e il Sasso Piatto dall’angolazione dell’Alpe di Siusi.

Dov’è la scivolata? L’altopiano a pascolo più esteso d’europa è un paradiso per escursionisti, biker, sciatori o semplicemente per chi vuole svaccarsi su un prato a godersi il silenzio delle montagne più belle del mondo. Soprattutto, l’Alpe di Siusi è RIGOROSAMENTE bandita al traffico veicolare privato, potendo accedervi solo in bus o funivia. Possibile che nessun creativo della campagna sia stato sfiorato dal dubbio che non è bello, nel 2013, neanche in fotomontaggio, mostrare il pilota di turno che sgomma in un’area protetta?

La farfalla del Trentino è malata?

Leggo sull’Huffingtonpost una bella intervista di Cinzia Ficco che pare sfatare un mito: il Trentino non è pulito come sembra.

La premessa è in un book trailer.

Chiarendo subito che il Trentino-Alto Adige è quasi una invenzione scolastica che invece è composta da due ben distinte amministrazioni (Trento e Bolzano) e stiamo parlando solo della prima, un libro dei trentini Andrea Tomasi e Jacopo Valenti descrive  in 185 pagine  un territorio macchiato da rifiuti tossici, controllori non controllanti, rischi per ambiente e salute. L’inchiesta parte da Trento, con l’impegno della PM Alessandra Liverani e della Vice Questore Maria Principe schierate sul campo delle indagini.

Il titolo è “La farfalla avvelenata- Il Trentino che non ti aspetti”, lo trovate qui. La farfalla, il simbolo turistico del territorio provinciale la cui sagoma perimetrale è simile all’elegante abitante dei prati in primavera, è davvero malata?

Avendo ben presente il territorio  tra le Dolomiti di Brenta e il Sella (lo amo, è bellissimo, godetevelo in questo spot nazionalee in questo internazionale con Bode Miller), mi domando non senza preoccupazione cosa c’è di vero. Il Trentino è un punto di riferimento per gli appassionati di montagna e se succede qualcosa lì significa che siamo davvero messi male.  Andiamo a vedere punto per punto quanto elencato nel libro inchiesta.
Scorie nel torrente? Vero. Leggi qui.
Discariche di rifiuti tossici? Vero. Leggi qui.
Ordinanza per non consumare acqua? Vero, anche se pur limitata a due casi sporadici. Leggi qui.
Insomma cosa succede al Trentino che ho in testa? Nulla di diverso da quello che succede (purtroppo) nel resto dell’Italia, se non che il senso civico e la diffusione della notizia, grazie a due autori coraggiosi, sta sensibilizzando un territorio che, sono sicuro, farà del proprio meglio per correggere il tiro. 
Si spera il più presto possibile.
Postilla: questo non è un invito a non andare in Trentino. Anzi! E’ esattamente perché voglio continuare ad andare sulle montagne che amo che spero sia fatta la dovuta chiarezza e sia risolto il problema.

Orsi bianchi e zar omofobi

Golfo del Messico, anno 2010. Tutti ricordiamo l’incidente della piattaforma della BP: 11 morti, 106 giorni di versamento di petrolio in mare, una chiazza grande come l’Umbria che galleggiava minacciosa, centinaia di chilometri di costa compromessi con un danno sull’economia dei pescatori locali, sull’ecosistema e sull’avifauna destinato a ripercuotersi per il prossimo decennio. Il colosso infiammato era tra le piattaforme più grandi del mondo, estesa come due campi di calcio. Nessuno saprà mai se i miliardi di euro di multa sanzionati alla BP, locataria dell’impianto, a cui si aggiungono i costi che, a onor del vero, la BP si è fatta carico spontaneamente di sostenere, basteranno mai a risarcire davvero il danno. Purtroppo, non tutto quanto si danneggia può essere ricostruito, e il soldo non può restituire la vita a chi l’ha persa (uomini e animali, fallo capire a chi crede che tutto abbia un prezzo). C’entra perfino la Svizzera nell’incidente. Pochissimi sanno che la Deepwater Horizon (il colosso exgalleggiante si chiamava così) era di proprietà di un’azienda della Confederazione Elvetica. Se vi state domandando come mai gli svizzeri posseggano mostri naviganti specializzati in opere di trivellazione marina e che valgono come il PIL di un piccolo stato, ricordate che hanno già vinto la coppa America di vela oceanica. Svizzeri o no, qualcuno controllava la piattaforma? Non lo sapremo mai.

Svizzera, anno 2013. Questa volta la Svizzera è coinvolta solo per una delle sue stazioni alpine. Davos è una graziosissima località sulle Alpi
(http://www.davos.ch/, si scia alla grande, si mangia bene, si beve di conseguenza, la sera in qualche baretto c’è perfino qualche campionato condominiale di grappa). A Davos, non incidentalmente, si tiene anche il Forum Economico Mondiale. La rassegna si è conclusa da poco e ha visto sul palcoscenico, come al solito, personaggi che hanno confrontato le proprie esperienze sull’andamento del sistema economico “mondo”. Alcuni sono uomini e donne interessanti per la loro intelligenza politica, imprenditoriale, visonaria. Altri fanno parte del mondo più vicino al gossip e ai rotocalchi che non all’economia. Altri ancora sono decisamente inspiegabili su un palcoscenico così, sono quelli del cosìddetto club dei ricchi. In un paginone di Repubblica ricorderemo un pontificante Mario Draghi che da una foto a 4 colonne assicura che dalla crisi usciremo a fine 2013 (però ce l’avevano già detto altri nel 2012 e prima ancora nel 2011). Mario Draghi è ovviamente spiegabilissimo a Davos, ma al piede di SuperMarioBanker ci sono altre quattro foto che avvalorano la tesi degli inspiegabili, almeno tre poi sono davvero inspiegabili per me.
C’è Medvedev (sì, il primo ministro della federazione russa che ha appena varato una legge che persegue la propaganda gay), c’è il principe Alberto di Monaco (capo di un microstato in testa agli habitat preferiti da chi cerca climi fiscali miti dove portare a svernare i propri capitali), c’è la bella Rania di Giordania (elegante consorte di un trono appoggiato su una polveriera circondata da bombe innescate di rivolte popolari che hanno costretto il suo regal consorte, dopo anni, ad avviare le riforme con il 30% della popolazione sotto la soglia di povertà). I più coerenti con il senso della responsabilizzazione della crescita sono quelli della quarta foto: sono dei matti aggrappati alle insegne del locale distributore della Shell e sono impegnati a coprire il logo della conchiglia con l’effige di un orso bianco. Sono uomini di Greenpeace e stanno inscenando una protesta contro le trivellazioni nell’Artico (http://it.notizie.yahoo.com/attivisti-greenpeace-protestano-davos-contro-trivellazioni-artico-114918039.html), decidendo di incatenarsi alla pompa di benzina della nota compagnia. Perché? Perché in mare galleggia di nuovo qualcosa di minaccioso. Forse vi sarà sfuggito, ma la Shell è la compagnia che fino a poche ore fa aveva incagliato una stazione di trivellaggio alta come un palazzo di 9 piani e un serbatoio capiente come una ventina di autobotti a pochi metri dalla coste dell’Alaska (http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/blog/buon-2013-dalla-shell/blog/43568/). La notizia è che tutto (pare) sia tornato sotto controllo, ma la domanda rimane: possibile che quelli che stanno lanciando il messaggio più forte (“evitiamo nuovi disastri ambientali!”) siano gli unici a non essere stati invitati e abbiano dovuto ricavarsi un proprio palcoscenico sulla strada mentre dentro, tranquilli e al caldo, uno zar omofobo, un principino viziato e una regina annoiata pattugliavano la tavola delle tartine? Per quanto tempo ancora dovremo sorbirci gli show dei forum mentre nessuno o pochissimi pensano a controllare severamente che per mare, e per terra, non si muovano altre mine vaganti?

Orsi bianchi e zar omofobi

Golfo del Messico, anno 2010. Tutti ricordiamo l’incidente della piattaforma della BP: 11 morti, 106 giorni di versamento di petrolio in mare, una chiazza grande come l’Umbria che galleggiava minacciosa, centinaia di chilometri di costa compromessi con un danno sull’economia dei pescatori locali, sull’ecosistema e sull’avifauna destinato a ripercuotersi per il prossimo decennio. Il colosso infiammato era tra le piattaforme più grandi del mondo, estesa come due campi di calcio. Nessuno saprà mai se i miliardi di euro di multa sanzionati alla BP, locataria dell’impianto, a cui si aggiungono i costi che, a onor del vero, la BP si è fatta carico spontaneamente di sostenere, basteranno mai a risarcire davvero il danno. Purtroppo, non tutto quanto si danneggia può essere ricostruito, e il soldo non può restituire la vita a chi l’ha persa (uomini e animali, fallo capire a chi crede che tutto abbia un prezzo). C’entra perfino la Svizzera nell’incidente. Pochissimi sanno che la Deepwater Horizon (il colosso exgalleggiante si chiamava così) era di proprietà di un’azienda della Confederazione Elvetica. Se vi state domandando come mai gli svizzeri posseggano mostri naviganti specializzati in opere di trivellazione marina e che valgono come il PIL di un piccolo stato, ricordate che hanno già vinto la coppa America di vela oceanica. Svizzeri o no, qualcuno controllava la piattaforma? Non lo sapremo mai.

Svizzera, anno 2013. Questa volta la Svizzera è coinvolta solo per una delle sue stazioni alpine. Davos è una graziosissima località sulle Alpi
(http://www.davos.ch/, si scia alla grande, si mangia bene, si beve di conseguenza, la sera in qualche baretto c’è perfino qualche campionato condominiale di grappa). A Davos, non incidentalmente, si tiene anche il Forum Economico Mondiale. La rassegna si è conclusa da poco e ha visto sul palcoscenico, come al solito, personaggi che hanno confrontato le proprie esperienze sull’andamento del sistema economico “mondo”. Alcuni sono uomini e donne interessanti per la loro intelligenza politica, imprenditoriale, visonaria. Altri fanno parte del mondo più vicino al gossip e ai rotocalchi che non all’economia. Altri ancora sono decisamente inspiegabili su un palcoscenico così, sono quelli del cosìddetto club dei ricchi. In un paginone di Repubblica ricorderemo un pontificante Mario Draghi che da una foto a 4 colonne assicura che dalla crisi usciremo a fine 2013 (però ce l’avevano già detto altri nel 2012 e prima ancora nel 2011). Mario Draghi è ovviamente spiegabilissimo a Davos, ma al piede di SuperMarioBanker ci sono altre quattro foto che avvalorano la tesi degli inspiegabili, almeno tre poi sono davvero inspiegabili per me.
C’è Medvedev (sì, il primo ministro della federazione russa che ha appena varato una legge che persegue la propaganda gay), c’è il principe Alberto di Monaco (capo di un microstato in testa agli habitat preferiti da chi cerca climi fiscali miti dove portare a svernare i propri capitali), c’è la bella Rania di Giordania (elegante consorte di un trono appoggiato su una polveriera circondata da bombe innescate di rivolte popolari che hanno costretto il suo regal consorte, dopo anni, ad avviare le riforme con il 30% della popolazione sotto la soglia di povertà). I più coerenti con il senso della responsabilizzazione della crescita sono quelli della quarta foto: sono dei matti aggrappati alle insegne del locale distributore della Shell e sono impegnati a coprire il logo della conchiglia con l’effige di un orso bianco. Sono uomini di Greenpeace e stanno inscenando una protesta contro le trivellazioni nell’Artico (http://it.notizie.yahoo.com/attivisti-greenpeace-protestano-davos-contro-trivellazioni-artico-114918039.html), decidendo di incatenarsi alla pompa di benzina della nota compagnia. Perché? Perché in mare galleggia di nuovo qualcosa di minaccioso. Forse vi sarà sfuggito, ma la Shell è la compagnia che fino a poche ore fa aveva incagliato una stazione di trivellaggio alta come un palazzo di 9 piani e un serbatoio capiente come una ventina di autobotti a pochi metri dalla coste dell’Alaska (http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/blog/buon-2013-dalla-shell/blog/43568/). La notizia è che tutto (pare) sia tornato sotto controllo, ma la domanda rimane: possibile che quelli che stanno lanciando il messaggio più forte (“evitiamo nuovi disastri ambientali!”) siano gli unici a non essere stati invitati e abbiano dovuto ricavarsi un proprio palcoscenico sulla strada mentre dentro, tranquilli e al caldo, uno zar omofobo, un principino viziato e una regina annoiata pattugliavano la tavola delle tartine? Per quanto tempo ancora dovremo sorbirci gli show dei forum mentre nessuno o pochissimi pensano a controllare severamente che per mare, e per terra, non si muovano altre mine vaganti?

La Shoah a cancelli chiusi, e noi fuori

“Come possiamo ricordare se non ci fanno vedere?” commenta un po’ sconsolata la signora al mio fianco. Siamo entrambi di fronte a una barricata, chiusa.
Ha ragione, molto ragione. Ma andiamo con ordine.
Milano. Ieri in pompa magna annunciano i giornali che oggi avrebbe aperto il memoriale della Shoah, binario 21 della stazione centrale. Qualunque milanese sa, o dovrebbe sapere, che da lì partivano le tradotte per i campi di concentramento. Oggi a pagina 26 del Corriere un annuncio conferma con bel rendering che “OGGI, 27 GENNAIO GIORNO DELLA MEMORIA, IL MEMORIALE DELLA SHOAH DI MILANO APRE LE SUE PORTE”. La foto è qui sotto.
Leggendolo pensi “bello, finalmente uno spazio in cui la cittá puó fermarsi a riflettere!”, in questa Milano dove tutti gli spazi sembran più fatti per correre. Agli ecoisti, si sa, gli spazi urbani ben fatti piacciono, così al pomeriggio inforco la bici immaginando che, esaurita la vetrina delle autorità, sarei stato tra i pochi tranquilli a ricordare.
Illuso! Eravamo in tanti e TUTTI fuori dal cancello finché un anonimo coltellino svizzero (cercate bene in questa pagina) ha almeno spostato la transenna per far avvicinare la gente alle vetrate.
Ma é possibile che nessuno ha pensato “i lavori non sono ancora ultimati ma almeno il 27 gennaio mettiamo in sucurezza il cantiere e permettiamo ai comuni mortali che non erano stamattina coi politici di vedere L’UNICO CENTRO DI SMISTAMENTO VERSO I CAMPI RIMASTO IN PIEDI IN EUROPA”?
Poi la frase di un’altra signora a fianco, altro naso appoggiato alla cancellata: “le elezioni sono vicine”. Improvvisamente mi si é spiegato tutto, la rivelazione! Novello San Paolo sulla via di Damasco: l’apertura era solo per i candidati sulla via di Roma (lato Camere, preciso per non confondere con San Paolo e il Vaticano) che stamattina dovevano venire a fare il pensierino pubblico. Speriamo almeno che gli sia venuto bene, questo pensierino, e abbia compensato in energia positiva tutti gli accidenti che gli esclusi hanno levato al cielo.
Almeno a proposito di memoria, i politici che hanno deciso di lasciarci fuori possono stare tranquilli: davvero non dimenticheremo questo 27 gennaio fuori dal cancello.
Vedremo se in segno di fair play qualcuno si scuserà.

La Shoah a cancelli chiusi, e noi fuori

“Come possiamo ricordare se non ci fanno vedere?” commenta un po’ sconsolata la signora al mio fianco. Siamo entrambi di fronte a una barricata, chiusa.
Ha ragione, molto ragione. Ma andiamo con ordine.
Milano. Ieri in pompa magna annunciano i giornali che oggi avrebbe aperto il memoriale della Shoah, binario 21 della stazione centrale. Qualunque milanese sa, o dovrebbe sapere, che da lì partivano le tradotte per i campi di concentramento. Oggi a pagina 26 del Corriere un annuncio conferma con bel rendering che “OGGI, 27 GENNAIO GIORNO DELLA MEMORIA, IL MEMORIALE DELLA SHOAH DI MILANO APRE LE SUE PORTE”. La foto è qui sotto.
Leggendolo pensi “bello, finalmente uno spazio in cui la cittá puó fermarsi a riflettere!”, in questa Milano dove tutti gli spazi sembran più fatti per correre. Agli ecoisti, si sa, gli spazi urbani ben fatti piacciono, così al pomeriggio inforco la bici immaginando che, esaurita la vetrina delle autorità, sarei stato tra i pochi tranquilli a ricordare.
Illuso! Eravamo in tanti e TUTTI fuori dal cancello finché un anonimo coltellino svizzero (cercate bene in questa pagina) ha almeno spostato la transenna per far avvicinare la gente alle vetrate.
Ma é possibile che nessuno ha pensato “i lavori non sono ancora ultimati ma almeno il 27 gennaio mettiamo in sucurezza il cantiere e permettiamo ai comuni mortali che non erano stamattina coi politici di vedere L’UNICO CENTRO DI SMISTAMENTO VERSO I CAMPI RIMASTO IN PIEDI IN EUROPA”?
Poi la frase di un’altra signora a fianco, altro naso appoggiato alla cancellata: “le elezioni sono vicine”. Improvvisamente mi si é spiegato tutto, la rivelazione! Novello San Paolo sulla via di Damasco: l’apertura era solo per i candidati sulla via di Roma (lato Camere, preciso per non confondere con San Paolo e il Vaticano) che stamattina dovevano venire a fare il pensierino pubblico. Speriamo almeno che gli sia venuto bene, questo pensierino, e abbia compensato in energia positiva tutti gli accidenti che gli esclusi hanno levato al cielo.
Almeno a proposito di memoria, i politici che hanno deciso di lasciarci fuori possono stare tranquilli: davvero non dimenticheremo questo 27 gennaio fuori dal cancello.
Vedremo se in segno di fair play qualcuno si scuserà.

A Davos niente benzina, ma lo spettacolo non manca

Trovo sui giornali un bel paginone su quello che sta succedendo a Davos, con 4 fotine a fare da piedistallo a un torreggiate Mario Draghi che con vaticana magnanimità invita i governi ad abbassare le tasse.
A Davos, che è una gradevole località Svizzera (http://www.davos.ch/en/holiday-shop/holiday-shop.html, ma trovatemi un posto davvero brutto in Svizzera), ci vogliono far credere che il Gotha dell’economia del pianeta sta lavorando per risolvere i problemi (quali? i loro, forse).
Supponiamo che non voglia addentrarmi subito troppo nei dettagli della pagina e mi accontenti (per ora) solo di dare un’occhiata alle foto, in questo caso il mio quotidiano è La Repubblica. Chi sono i protagonisti delle foto?
C’è Medvedev (sì, il primo ministro della federazione russa che ha appena varato una legge anti-gay, http://www.repubblica.it/esteri/2013/01/26/news/putin_vara_la_legge_anti-gay_vietato_persino_parlarne-51313130/), c’è il principe Alberto di Monaco (è proprio lui, il capo del microstato ritenuto essere l’habitat preferito da maxievasori o riciclatori, che ha inabissato con abilità oceanica le inchieste in corso http://www.stamp-scandal.com.ar/Monaco/Web_page2/Monaco,%20altri%20guai%20in%20vista.htm), c’è la bellissima Rania di Giordania (sembra che se la sia cercata, con quel nome, di stare in una polveriera che è ormai circondata da bombe innescate di rivolte popolari che hanno costretto il suo regal consorte, dopo anni, ad avviare le riforme con il 30% della popolazione sotto la soglia di povertà, http://www.eurasia-rivista.org/giordania-dove-portera-il-nuovo-processo-politico/15292/). Gli unici davvero coerenti nel comunicare sono almeno quelli di Greenpeace (la quarta foto), che hanno inscenato una protesta contra le trivellazioni nell’Artico (http://it.notizie.yahoo.com/attivisti-greenpeace-protestano-davos-contro-trivellazioni-artico-114918039.html), decidendo di incatenarsi alla pompa di benzina della Shell (forse vi sarà sfuggito, ma è la compagnia che ha incagliato una stazione di trivellaggio alta come un palazzo di 9 piani) a pochi metri dalla coste dell’Alaska, http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/blog/buon-2013-dalla-shell/blog/43568/).

Morale, in un circo che sembra pieno di pagliacci, gli unici da prendere sul serio sono quelli che hanno inscenato uno spettacolo.