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Just Look Up, Please

Just look up, perché tutto è già successo

Questo è un post per chi ha già visto Don’t look up, la produzione Netflix che continua a far parlare di sé.

Non è una recensione, perché ce ne sono già di ottime in queste pagine. È piuttosto un breve riassunto del perché andrebbe considerato con un’angolazione documentaristica anche se si tratta di un prodotto di fiction. Può sembrare un ossimoro, ma se fotografiamo il film per singoli argomenti non lo è. Tutto è già successo. Il poster stesso dichiara che il film è basato su fatti realmente possibili, ma è più corretto affermare che tutto quel che c’è nel film si è già verificato (e dovrebbe farci riflettere).

È un esempio di vena comica su un evento catastrofico, come ci erano già passati Stranamore e un’indimenticabile pagina di Stefano Benni. Nel piccolo delle nostre esistenze, non siamo distanti dalla vis comica di Fantozzi, una vita reale che viene estremizzata al ridicolo anche se Fantozzi è tutti noi.

Quando si entra al museo di Storia Naturale a Londra, all’inizio del percorso di visita, una lunga linea del tempo ci ricorda che gli ELE (Extinction Level Event – eventi di portata tale da provocare l’estinzione di massa) sono fenomeni naturali e il nostro pianeta ne ha già vissuti almeno cinque. Dunque il film parte da un presupposto reale e possibile per quanto raro.

Proprio per questa rarità, tutta la macchina narrativa è un pretesto. Nessun politico denuncerà l’arrivo di un killer di pianeti contro il quale potremo ben poco e che quando arriverà sarà tenuto nascosto il più possibile per non creare panico. Lo sapremo da qualche scienziato e attraverso la rete. Il film, come spiega Leonardo di Caprio nel suo commento, è un monito a non ignorare i messaggi della scienza. Sul clima – e non entro nel merito della cronaca covid – la scienza è continuamente messa in discussione contro l’evidenza dei dati.

Nel film il suo personaggio lo ribadisce più volte: ragioniamo sulle evidenze inconfutabili.

Il paradosso continua con certe abitudini reali della comunità planetaria. In ordine sparso qualche esempio.

Il proprietario della Bash è un business guru che fonde Steve Jobs ed Elon Musk. Ma soprattutto raccoglie consensi grazie a un’ottima comunicazione progettata per attirare profitti. Confermata dai “we love you” urlati dalla platea e ribaditagli da un bambino che il businessman disprezza. Il denaro e i consensi mossi dai poteri forti aprono facilmente le porte della Casa Bianca e, letteralmente, della stanza dei bottoni che faranno tornare a terra tutti i missili anticometa. Senza tirare in ballo l’astronomia, questi poteri si sono già visti con gli oleodotti avvallati dalle amministrazioni Bush ed ereditati da Obama.

Lo staff della Casa Bianca nel film è una macchietta dell’amministrazione Trump. Non credo alle dichiarazioni della produzione quando afferma che la scelta di Merryl Streep sia arrivata dopo il rifiuto di altre attrici. Interpretare la presidente degli USA è stata una magnifica risposta agli attacchi personali subiti da Trump che la definì “sopravvalutata”. Così indossa il cappellino, scimmiotta in pubblico, nomina il figlio capo di gabinetto. Con Trump si era istituzionalizzato il nepotismo.

Siccome l’ex-presidente era impossibile da volgere al femminile, sulla costruzione del personaggio gli sceneggiatori hanno guardato a Sarah Palin, l’ex governatrice dell’Alaska che si faceva ritrarre col fucile.

Sul tema del non essere troppo crudi con le cifre, invece, i creativi hanno attinto al marketing e si sono basati sulle tecniche presenti nello sketch delle sette linee rosse tracciate con l’inchiostro blu, giusto perché “non bisogna mai essere troppo negativi”.

La nota comica sulla parte televisiva parte dal nome della trasmissione condotta da Brie-Cate Blanchett: Daily RIP. Rip è l’acronimo di rest in peace, riposa in pace. La conduttrice interpretata da Cate Blanchett è un’insulto/denuncia al fatto di essere in video dopo aver portato a letto due presidenti. È praticamente la parodia discutibile del come fare carriera in salsa Weinstein.

Sempre in tema media, se non si viene bene in tv, è pronta la macchina bullizzante che umilia la scienziata interpretata da Jennifer Lawrence. Di casi simili ne è piena la cronaca. La stessa macchina acchiappalike si incendia con la cantante pop interpretata da Ariana Grande, parodia che è via di mezzo tra Chiara Ferragni e le minidive del mondo giapponese.

Un’ultima riflessione scaturisce dai costumi, dove la fiction è stata più realista del re. Vogue ha pubblicato un’intervista a Susan Matheson, la costumista. Leggendola, Ci si rende conto che anche l’apocalisse vuole la sua immagine e non bisogna cascare nella trappola dell’outfit sbagliato.

Melania Trump, elegantissima e bellissima, scivolò sull’abbigliamento visitando un centro di detenzione per bambini lungo il confine col Messico indossando un impermeabile con una scritta che suonava più o meno come un “non me ne frega davvero niente”. Nessuno a Hollywood avrebbe osato tanto. Ma dal vero è successo. Segno che quando ci raccontano una cosa, per quanto incredibile, faremmo meglio a domandarci cosa ci stia dietro. O Sopra. Just look up, please.

Impara l’arte (e divulgala)

«La bellezza salverà il mondo», se sai come fare. Penso che Dostoewskij non se ne avrà a male per l’aggiunta, sempre più necessaria quando circostanziata all’arte, all’ambiente e al territorio. Se già certe istituzioni, piccoli musei, attrazioni culturali languivano prima, il lockdown è stata una mazzata di quelle che buttano al tappeto.

Di fronte a una catastrofe puoi subire o prendere atto dei tuoi mezzi e provare a ricostruire, che non significa necessariamente rifare quello che facevi prima. A volte bisogna osare e provare strade nuove.

A Milano James Bradburne è il direttore di Brera e uno di quelli che considero un illuminato per azioni e reazioni. Preso atto che gli appassionati non potevano andare al museo, glielo ha consegnato a domicilio con Brera Ascolta, un museo a casa tua. Le visite al sito sono cresciute nell’ordine delle centinaia di migliaia. Lo stesso possiamo dire di Cristian Greco dal Museo Egizio di Torino con le Le passeggiate del Direttore guidate da lui medesimo e da esperti.

Andiamo verso una digitalizzazione matura, seria, non di acqua dolce perché non si limita a portare il depliant sul web ma cala nella realtà come e di più che non se si fosse lì. Andiamo anche verso una fase esperienziale per cui si promuove o visita la realtà ma lo si fa in modo indimenticabile grazie alla qualità dell’accompagnatore.

Quando giriamo un documentario abbiamo la fortuna di ottenere visite speciali con la guida dei curatori. Credetemi se vi dico che puoi visitare dieci volte un luogo ma non è mai come essere accompagnati dal padrone di casa.

Due esempi a diversi livelli ci mostrano la portata di quello che ancora si può fare.

Il primo tocca un’icona di stile. Chiara Ferragni agli Uffizi c’era per un servizio di Vogue, si è postata dichiarando dove fosse ed è stato boom di visibilità. Chiunque abbia espresso una critica a qualsiasi livello deve tacere e basta. 

Accetto pareri solo se si visitano musei e si conosce davvero la fatica necessaria a promuovere la cultura. Poi, scusate, uno: la Ferragni era già lì per una testata di prestigio a cui molti si riferiscono. Due: essa stessa è seguitissima in tutto il mondo perché un‘interprete della bellezza (e ammettiamolo che siamo tutti un po’ invidiosi da tanto che è bella e fine). Tre: ha legato il suo nome a un museo portandolo alla ribalta e magari stimolando a visitarlo chi non ci sarebbe mai andato. E io dovrei lamentarmi? Ne vorrei cento e mille di Chiare Ferragni che aiutino a promuovere le istituzioni culturali.

Diciamole grazie invece di criticare. Ho sinceramente apprezzato pure il modo in cui il marito Fedez l’ha difesa dagli attacchi dei leoni da tastiera. I Ferragnez a me divertono perché sono l’equivalente dei Sandra e Raimondo della mia epoca – Chiara e Federico non vogliatemi male per il paragone perché è un grosso complimento! – e quando si muovono lo fanno anche per fin di bene, vedi le operazioni sanitarie e solidali che hanno sostenuto personalmente per l’emergenza covid. 

Se qualcuno ha dubbi che la bellezza abbia bisogno di testimonial, oggi diremmo influencer, legga Umberto Eco. La sua Storia della bellezza rimane un punto di riferimento. 

Secondo esempio: per la stessa forza motrice di bellezza appena accennata non posso non apprezzare le migliaia di volontari impegnati nell’arte. Ai miei occhi sono già un pezzo di quei cento e mille che auspico sopra. Un’iniziativa di questi giorni è quella del Touring Club Italiano, un’istituzione che da oltre un secolo promuove il nostro paese e le bellezze che lo distinguono. La spontaneità di quella ragazza del loro ultimo spot non mi lascia indifferente. 

Insieme al loro tempo, i volontari dei luoghi “Aperti per voi” hanno messo la faccia nel messaggio per invitare al sostegno degli 80 luoghi che ogni giorno li vede testimoni e attori nel mondo della cultura. I due euro della donazione attraverso un sms sono strameritati e, per quanto mi riguarda, dovuti.

Se poi qualcuno volesse fare di più per la campagna Prenditi cura dell’Italia con noi, basta seguire le istruzioni. «Nei primi giorni del contagio abbiamo pubblicato la campagna “Passione Italia” – dichiara Arianna Fabri, responsabile della promozione e dello sviluppo associativo del Touring – per contrapporre alla mappa del contagio la mappa della bellezza e incoraggiare tutti i cittadini italiani alla creazione di una carta geografica per viaggiare simbolicamente da casa e per non dimenticare quello che l’Italia offre.»

Ecco il punto! Quella carta dobbiamo averla dentro, un tatuaggio sul cuore per non perdere la direzione che più che mai in momenti di incertezza è indispensabile.