Archivi tag: cannavò

Il ritorno alla campagna, come lo vedi?

Negli Usa c’è una rivista che sta riscuotendo un successo inaspettato. Non parla di smartphone, non fa gossip, non pretende di vendere felicità in pacchetti simil-zen. Racconta piuttosto del ritorno alla campagna e si rivolge a quelli che avvertono il richiamo della terra senza l’angolazione degli agriturismi visti da bordo piscina o le vigne con cantina disegnata dall’archistar di turno.

La rivista, che è anche un sito, punta anche all’home-farming rivelando le soddisfazioni del farsi (e coltivarsi) le cose da soli. Poi c’è chi esprime una scelta ancora più radicale e all’opzione del ritorno alla campagna e all’autoproduzione aggiunge l’impegno di farne una professione. Questi sono, secondo me, un po’ degli eroi. Ne ha descritti alcuni Alessandro Cannavò in un suo pezzo. La lucidità del giornalista, che è anche un camminatore e un amante della natura, non nasconde che per scegliere la campagna a 360° devi farti un c… così. Perdonate la forza del termine, ma un conto è fare un aperitivo green sull’aia al tramonto. Altra cosa è alzarsi a mungere prima dell’alba, scrutare il cielo per la pioggia, che non sia troppa o troppo poca, spalare letame e scommettere che il raccolto andrà bene.

Solo se avanza tempo, c’è l’opzione di unire l’utile al dilettevole e organizzare giri a dorso di mulo per far scoprire il proprio territorio a chi ne è attratto. È il caso di Roberta Ferraris. Ci ha scritto un libro e ne trovate alcuni passaggi in rete. Ha uno stile che smorza subito le illusioni pur fornendo una lista di luoghi che non aspettano altro che essere ripopolati. Ne cito alcuni dalle sue pagine, casomai voleste covare l’idea.

Carta geografica alla mano, ecco le nuove frontiere da ripopolare. Tutto il crinale dell’Appennino settentrionale, con punte estreme di abbandono nell’area nota come “Quattro Province”, dove si incontrano le province di Genova, Alessandria, Pavia, Piacenza. L’entroterra montano delle province di Savona e Imperia. Le valli di Cuneo e di Torino. L’alta Langa. Vaste zone della val d’Ossola e della Valsesia. Le Alpi Orobie in Lombardia, tra la Valtellina, Bergamo e Brescia. L’alta Carnia, le Dolomiti bellunesi e vaste zone delle province di Pordenone e Belluno. Sorprendentemente, buona parte dei comuni rivieraschi lungo l’asta fluviale del Po, e soprattutto nelle province di Rovigo e Ferrara. Le zone interne dell’Appennino tosco-emilianoromagnolo, inclusi i comuni interni di Lunigiana e Garfagnana sulle Alpi Apuane. Molti comuni appenninici delle Marche, dell’Umbria, del Lazio, dell’Abruzzo. Tutto l’Appennino meridionale. Le aree interne montane di Sicilia e Sardegna.

 beeker2

Nessun incanto nelle sue parole. Semmai accenna la riscoperta di certi valori pur smorzando le visioni idilliache. Chiarisce che un vegano non può essere un montanaro, ma un attimo dopo afferma che nelle Langhe lei sceglie di usare gli asini per dissodare. Ma nel 2015 non sarebbe meglio un trattore? No, comprime troppo il terreno. Certe scelte sono pura filosofia. A chi crede che i pionieri sono degli illusi, rispondo che dovrebbero conoscere Roberta. Di illusi così, ne ha tanto bisogno il mondo.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Siamo come ulivi nodosi

Sul sentiero della vita il camminare che non stanca ma fortifica è un esercizio per lo spirito. 

Siamo come ulivi nodosi che nelle cavità ospitano le parole delle altre vite incrociate.



Bella la citazione di Alessandro Cannavò, grande camminatore, grande Amico, uno di quelli che ti auguri di incontrare su un sentiero e ancora di più ti auguri che ti dica “camminiamo insieme”.

Il pezzo è tratto dal Corriere della Sera.

Esattamente dieci anni fa decisi di affrontare il cammino di Santiago. Da solo, per vivere meglio un’esperienza privata che era molto di più di una vacanza. Ma anche aperto a ogni conoscenza. Edu, catalano, lo incontrai nella camerata dei pellegrini di Roncisvalle.

Furono le nostre mappe sulle quali studiavamo il percorso a sciogliere il ghiaccio. Lui aveva una generazione meno di me. Decidemmo, senza dircelo, di proseguire insieme. E fu così fino alla cattedrale di Santiago, condividendo fatiche, divertimento, malinconie. Attenti a essere presenze discrete nelle lunghe giornate fatte anche di silenzi; pronti a diventare un sostegno concreto per l’altro nei momenti di difficoltà. Non l’ho più visto, Edu. E anche se talvolta l’ho sbirciato su Facebook, so che non ha più senso contattarlo. 
Si rimane amici non degli amici ma dei fantasmi dei propri amici
È una delle situazioni più comuni per i viandanti che Luigi Nacci coglie in modo mirabile in Alzati e cammina, lettura tutt’altro che consolatoria sulla viandanza ma che ne diventa un atto d’amore. Nacci spiega che si rimane amici non degli amici ma dei fantasmi dei propri amici, perché gli incontri sul cammino sono scelte libere e senza fini, «nessun progetto vi legherà, nessuna gerarchia, nessun passato e nessun futuro». Basta a volte la sosta in un ostello diverso e non ci si incontra più. Un cammino che nasce dall’addio. Eppure, continua l’autore, «avete messo in comune i vostri passi» e quel fantasma con cui si è camminato sarà una presenza leggera che possiamo portare nello zaino dell’esistenza, fino a quando, almeno, prendendo una metafora del poeta Slavko Mihalic, avremo la capacità di trasformare le pipe in cigni. Triestino, Nacci è poeta, insegnante, guida naturalistica e fondatore, tra l’altro, di un gruppo di camminatori, i Rolling Claps, che riscoprono antiche vie di pellegrinaggio.
Un esercizio fisico
Ha concepito il libro come un prontuario di ginnastica dell’anima (i titoli dei capitoli scandiscono ironicamente l’allenamento, tra esercizi, stretching e riposi), ma si rivolge direttamente al lettore in modo incalzante, spesso ipnotizzante, immedesimandosi in un lui/lei che nella narrazione si intrecciano e si confondono. Molti di coloro che vorrebbero intraprendere la via di Santiago (e ora sempre di più anche l’italiana via Francigena), coscienti della sfida di un mese e oltre di cammino con dieci chili sulle spalle, le vesciche ai piedi, la condivisione delle stanze e delle docce, vivono un’urgenza privata e cercano una via d’uscita dal limbo, teatro di un malessere non sempre definito. È a loro che Nacci si rivolge principalmente, prima che lo specchio in cui ci si continua a guardare non sapendo cosa fare, «vada in frantumi». In aiuto del lettore ci sono i versi sublimi di cantori della via, da Wordsworth a Eliot, da Hikmet a Atxaga; esempi come quello del regista Werner Herzog che nel 1974 camminò da Monaco di Baviera a Parigi per andare al capezzale della sua anziana amica Lotte Eisner, confidando (a ragione) che con il suo gesto l’avrebbe trovata ancora viva. 
Contiene la leggerezza della parola «danza»
O le frequenti identificazioni nella natura: «Siamo come ulivi nodosi che nelle cavità ospitano le parole delle altre vite incrociate»; «procediamo sulla via delle nostre esistenze pesanti come elefanti, con il nostro carico di problemi e paure». Eppure gli elefanti avanzano a passi felpati come ballerine. La via da percorrere è sempre nei pressi del baratro ma la parola «viandanza», dice Nacci, nella sua fonetica desueta contiene la leggerezza della parola danza. Chi è entrato nello spirito del viandante condivide queste immagini. A patto, avverte Nacci, che una volta tornati a casa l’insegnamento del cammino dia vigore al quotidiano e non sostituisca «la vita di qua». La speranza è in un verso di Walt Whitman: «D’ora in poi non chiedo buona fortuna, sono io la buona fortuna… forte e contento percorro la strada aperta». Il libro: Luigi Nacci, «Alzati e cammina», Ediciclo editore, pagine 192, e 15
Alessandro Cannavò