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In mongolfiera tra i profumi del sughero

Cosa c’entra Carlo Cracco con un albero di sughero? Immaginiamo di sorvolare un bosco, ma in modo silenzioso, diciamo con una mongolfiera. Galleggiando nell’alba pigra, le chiome degli alberi sono bolle di foglie sulla creta. Lui lo intravedete lì sotto, sdraiato a contemplare. Per un po’ non è più neanche il cattivone di Master Chef. Torna il ragazzo perfetto che sogni ai fornelli.
Queste isole verdi che lo circondano sono esseri viventi e producono. Un materiale che sembra uscito da un manuale di perfetta sostenibilità. Ogni dieci anni donano la loro corteccia all’uomo che la usa per farne un uso coscienzioso e responsabile. Col sughero ci tappi le bottiglie del miglior vino – parola di Cracco, appunto – ma col sughero ci fai anche le scarpe per camminare comodo, i pavimenti per abbellire la casa, gli edifici per risparmiare energia, fino all’abbigliamento, all’accessorio, all’articolo sportivo.
 
Così dal cesto della mongolfiera vedi il bosco e gli uomini che ci lavorano ma immagini cosa quel bosco e quegli uomini possono fare per una esistenza sostenibile. La campagna a nord di Lisbona è così. Un grande polmone verde con l’industria che ci ruota attorno. La sostenibilità passa anche da qui, ma non solo. È l’industria stessa che protegge il bosco perché da lì esce la sua materia prima. Se poi pensi che questa materia prima diventa monumentale in giro per il mondo, allora ti vengono un po’ i brividi.

Se credete che stia esagerando, vi capisco. Lo pensavo pure io ascoltando la prima volta le meraviglie del sughero. Conserva ottimamente e in modo naturale le migliori bottiglie, ma nelle mani delle archistar diventa l’incredibile. Herzog e De Mauron ci vedono un luogo di incontro, Siza Vieira una cantina vinicola, Kengo Zouma un museo, Jordi Armengol il pavimento della Sagrada Familla, Carlos Couto il padiglione portoghese all’Expo2010 di Shanghai, il collettivo Fat London una idea originale per un abbinamento inconsueto tra stile e design. In più ha doti di isolamento, ottimizzazione energetica e riciclabilità eccezionali.

Lo ammetto, da quanto ho visitato le sugherete del Portogallo e del nord della Sardegna, ogni volta che stappo una bottiglia mi tengo il tappo. Mi piace accarezzarlo, sentirne i profumi, immaginare che sia perfettamente riciclabile senza processi costosissimi, sognare che potrebbe essere una casa, una chiesa o un teatro. Allora torno sulla mongolfiera e rivedo il bosco, convinto che se gli alberi hanno un valore, il sughero è davvero un tesoro.
 
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Siamo come ulivi nodosi

Sul sentiero della vita il camminare che non stanca ma fortifica è un esercizio per lo spirito. 

Siamo come ulivi nodosi che nelle cavità ospitano le parole delle altre vite incrociate.



Bella la citazione di Alessandro Cannavò, grande camminatore, grande Amico, uno di quelli che ti auguri di incontrare su un sentiero e ancora di più ti auguri che ti dica “camminiamo insieme”.

Il pezzo è tratto dal Corriere della Sera.

Esattamente dieci anni fa decisi di affrontare il cammino di Santiago. Da solo, per vivere meglio un’esperienza privata che era molto di più di una vacanza. Ma anche aperto a ogni conoscenza. Edu, catalano, lo incontrai nella camerata dei pellegrini di Roncisvalle.

Furono le nostre mappe sulle quali studiavamo il percorso a sciogliere il ghiaccio. Lui aveva una generazione meno di me. Decidemmo, senza dircelo, di proseguire insieme. E fu così fino alla cattedrale di Santiago, condividendo fatiche, divertimento, malinconie. Attenti a essere presenze discrete nelle lunghe giornate fatte anche di silenzi; pronti a diventare un sostegno concreto per l’altro nei momenti di difficoltà. Non l’ho più visto, Edu. E anche se talvolta l’ho sbirciato su Facebook, so che non ha più senso contattarlo. 
Si rimane amici non degli amici ma dei fantasmi dei propri amici
È una delle situazioni più comuni per i viandanti che Luigi Nacci coglie in modo mirabile in Alzati e cammina, lettura tutt’altro che consolatoria sulla viandanza ma che ne diventa un atto d’amore. Nacci spiega che si rimane amici non degli amici ma dei fantasmi dei propri amici, perché gli incontri sul cammino sono scelte libere e senza fini, «nessun progetto vi legherà, nessuna gerarchia, nessun passato e nessun futuro». Basta a volte la sosta in un ostello diverso e non ci si incontra più. Un cammino che nasce dall’addio. Eppure, continua l’autore, «avete messo in comune i vostri passi» e quel fantasma con cui si è camminato sarà una presenza leggera che possiamo portare nello zaino dell’esistenza, fino a quando, almeno, prendendo una metafora del poeta Slavko Mihalic, avremo la capacità di trasformare le pipe in cigni. Triestino, Nacci è poeta, insegnante, guida naturalistica e fondatore, tra l’altro, di un gruppo di camminatori, i Rolling Claps, che riscoprono antiche vie di pellegrinaggio.
Un esercizio fisico
Ha concepito il libro come un prontuario di ginnastica dell’anima (i titoli dei capitoli scandiscono ironicamente l’allenamento, tra esercizi, stretching e riposi), ma si rivolge direttamente al lettore in modo incalzante, spesso ipnotizzante, immedesimandosi in un lui/lei che nella narrazione si intrecciano e si confondono. Molti di coloro che vorrebbero intraprendere la via di Santiago (e ora sempre di più anche l’italiana via Francigena), coscienti della sfida di un mese e oltre di cammino con dieci chili sulle spalle, le vesciche ai piedi, la condivisione delle stanze e delle docce, vivono un’urgenza privata e cercano una via d’uscita dal limbo, teatro di un malessere non sempre definito. È a loro che Nacci si rivolge principalmente, prima che lo specchio in cui ci si continua a guardare non sapendo cosa fare, «vada in frantumi». In aiuto del lettore ci sono i versi sublimi di cantori della via, da Wordsworth a Eliot, da Hikmet a Atxaga; esempi come quello del regista Werner Herzog che nel 1974 camminò da Monaco di Baviera a Parigi per andare al capezzale della sua anziana amica Lotte Eisner, confidando (a ragione) che con il suo gesto l’avrebbe trovata ancora viva. 
Contiene la leggerezza della parola «danza»
O le frequenti identificazioni nella natura: «Siamo come ulivi nodosi che nelle cavità ospitano le parole delle altre vite incrociate»; «procediamo sulla via delle nostre esistenze pesanti come elefanti, con il nostro carico di problemi e paure». Eppure gli elefanti avanzano a passi felpati come ballerine. La via da percorrere è sempre nei pressi del baratro ma la parola «viandanza», dice Nacci, nella sua fonetica desueta contiene la leggerezza della parola danza. Chi è entrato nello spirito del viandante condivide queste immagini. A patto, avverte Nacci, che una volta tornati a casa l’insegnamento del cammino dia vigore al quotidiano e non sostituisca «la vita di qua». La speranza è in un verso di Walt Whitman: «D’ora in poi non chiedo buona fortuna, sono io la buona fortuna… forte e contento percorro la strada aperta». Il libro: Luigi Nacci, «Alzati e cammina», Ediciclo editore, pagine 192, e 15
Alessandro Cannavò