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I cinque sensi del mare in inverno

Avete mai pensato a scegliere di trascorrere il Natale non nella ovvia montagna ma tra i colori e i profumi di una terra abbracciata dal mare? Sono reduce con la collega Debora Bergaglio da un entusiasmante giro in Salento. Tra presepi, buona cucina, ottimi vini e il profumo del Mediterraneo, garantisco di non aver sentito neppure per un attimo la nostalgia della folla sulle piste da sci. 

Dal sito Buonviaggioitalia.it (testi e foto Debora Bergaglio)
Per raccontare più efficacemente questo viaggio diverso da tutti gli altri e questo territorio che si svela in maniera diversa dal solito, userò i 5 sensi.

VISTA: luce, onde e città messapiche 

Sarà che siamo nel punto più orientale della penisola, sarà che in Salento si abbracciano e si fondono i due mari, l’Adriatico e lo Ionio, ma percepisco una luce intensa e trasparente che ci accompagna durante tutto il viaggio. L’arrivo nel piccolo borgo di Vignacastrisi, nel Comune di Ortelle, a pochi chilometri daCastro, meravigliosa località a picco sul mare, è accompagnato da un chiarore rilassante, destinato tuttavia a tramontare presto, rispetto al resto d’Italia.

buonviaggioitalia_salentoIl nostro Tour lungo il mare, costeggiando le spiagge più belle d’Italia, è accompagnato da questa luce che illumina e accende la bellezza di località come S. Cesarea Terme, Torre dell’Orso e S. Foca sulla costa adriatica, e Porto Cesareo su quella ionica. 

Dall’insenatura di Torre dell’Orso la luce colpisce la pineta e i famosi faraglioni delle due sorelle, simbolo del turismo in Salento e secondo la leggenda nati da due due fanciulle. Un susseguirsi di piscine naturali, grotte, scogli e isole basse rende l’idea del perché il Salento stia crescendo così tanto come meta turistica estiva. Ma noi non siamo qui per vedere le spiagge, per quanto belle, ma per scoprire cosa c’è appena all’interno di esse. La nostra meta èOria, in provincia di Brindisi, dove si trova il Castello di Federico II.
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Per raggiungerlo ci imbattiamo in alcune bellezze inattese, come il caratteristicoquartiere ebraico (foto), dove visse Donnolo, famoso medico farmacista a cui è dedicato l’ospedale di Tel Aviv, e la meravigliosa Cattedrale dedicata a Maria SS. Assunta, attualmente Basilica, da cui svetta a sinistra la Torre dell’Orologio e una bella cupola policroma.
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Ricca di tele e reliquie, la Basilica custodisce una sorpresa davvero inattesa, quasi raccapricciante. Dalla cappella del Battistero si accede infatti all’Oratorio dell’Arciconfraternita della morte, e da qui si può scendere fino alla cripta delle mummie, antico oratorio cinquecentesco alle cui pareti sono appesi i cadaveri disidratati dei confratelli. E infine eccolo, dominante e fiero, il Castello di Federico II, oggi gestito da privati, circondato da mura spesse fino ad 8 metri, un tempo utilizzato per riunire le truppe e dominare la città messapica e i due mari.
OLFATTO: dai sentori del Negroamaro allo show del pesce nella via delle pescherie 

Ulivi e vitigni, vitigni e ulivi, e poi il mare. Il territorio salentino offre una grande varietà di sensazioni olfattive. Prima fra tutte, quella del pregiato vino locale, ilNegroamaro, coltivato soprattutto nel territorio di Guagnano, dove la principale attività è la viticoltura. Qui si trovano cantine che esportano in tutto il mondo, come l’azienda Leone de Castris, pioniera dei vini salentini nel mondo, quest’anno premiata per i primi 70 anni del Five Roses, il primo vino del Salento ad essere esportato negli Stati Uniti.

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Dall’entroterra al mare, l’odore cambia e anche i prodotti. Il pesce domina la cucina e le vie dei borghi, come a Porto Cesareo, dove un’intera via, la via delle Pescherie, si accende come un palcoscenico per raccontare storie di mare. Grandi pescherie colorate, animate e ricche di pescato fresco di ogni genere si alternano immettendo nell’aria l’odore intenso del pesce e del mare di Puglia.

GUSTO: dal sapore intenso delle olive spremute alla cucina contadina del Salento 

Immense distese di ulivi secolari e muretti a secco, con reti allargate sui prati compongono la tela del territorio salentino. Con forme contorte e tenui sfumature del verde raccontano il sacrificio di chi lavora la terra e produce un olio apprezzato in tutto il Paese.

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Da metà ottobre a metà novembre scuole e turisti possono partecipare e vedere la raccolta delle olive e la loro trasformazione in olio purissimo, raccolto con metodi meccanizzati oppure a mano scuotendo le piante con una sorta di pettine.
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E in alcune aziende è possibile assistere alle fasi della lavorazione e poi degustare e acquistare il prodotto negli spacci aziendale. Moltissimi anche gli agriturismi e le locande sparse in tutti i borghi dell’entroterra, da Vignacastrisi a Guagnano, da Oria a Novoli, in cui assaporare una buona cucina contadina, semplice, fatta di ortaggi, carni e pesce, tra cui spiccano piatti tradizionali come le orecchiette e la tipica massa, e poi prodotti che non mancano mai come le fave, la cicoria, il finocchietto, talvolta anche la carne di cavallo. E per finire il dolcezza un buon pasticciotto, il caffè invece si prende al mare, come si usa fra gli abitanti di queste zone.

UDITO: il crepitio del fuoco, il ritmo delle feste 

C’è un’espressione molto calzante per sintetizzare le tradizioni più antiche del luogo. Il “fuoco buono di Puglia, messaggero di pace nel mondo”, ovvero una fra le più vive tradizioni del Mediterraneo, simbolo di incontro fra popoli, religioni e culture attorno al fuoco.

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Il crepitio del fuoco e il rullo ritmico dei tamburi trascinano verso le feste e le tradizioni del Salento. Fra queste il più importante evento invernale è senza dubbio la Fòcara di Novoli, un falò di 25 metri di altezza e 20 di diametro, il più grande del Mediterraneo, che brucia durante tutta la notte del 16 Gennaio in onore di S. Antonio, patrono di Novoli.
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E’ un ritmo incalzante, allegro, un’aria di festa, fatta di suoni, una musica che si propaga velocemente come le fiamme del falò, in un grande abbraccio per la rievocazione del rito laico della Festa della vite e del Paesaggio del Parco del Negroamaro, che inizia l’8 Dicembre e culmina il 17 gennaio di ogni anno.

TATTO: l’abbraccio dell’ospitalità, le tecniche artigianali dei presepi

Passione è il sentimento che si avverte a pelle, arrivando in Salento. Quella passione che splende negli occhi fieri dei suoi abitanti, legati alla loro terra, ai suoi frutti, alle loro attività. Accoglienza è la sensazione che si percepisce dai modi gentili dei proprietari delle strutture ricettive, dai B&B alle dimore, che considerano il turista non già come un cliente, bensì come un ospite.

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Arte e maestria sono gli aspetti che contraddistinguono e mantengono in vita gli eventi legati alla tradizione, come gli straordinari presepi viventi che coinvolgono larga parte della popolazione locale, impegnata a far rivivere mestieri antichi e tecniche di lavorazione ormai dimenticate.
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Particolarmente significativi, direi da non perdere, il presepe vivente di Vignacastrisi, con circa 150 figuranti in costume e numerose scene per le vie del centro storico, e quello di S. Donato, ambientato in una location d’eccezione, quasi esotica per la presenza di cactus e di un delizioso percorso botanico.  
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Il SESTO SENSO è il ben – essere, ovvero la sensazione di relax, di armonia e di aver staccato veramente la spina che prova il turista che sceglie il Salento, sia d’estate, ma anche d’inverno, all’insegna di un tour insolito, ricco di magia e di scoperte non scontate. 

Il gasdotto sotto la bandiera blu

Melendugno, un angolo di Salento dove il mare ricama tra le scogliere strisce di sabbia dall’acqua cristallina, il depuratore non scarica in mare i reflui ma utilizza la fitodepurazione in zone umide interne in cui fanno tappa gli stormi migratori, la pineta lambisce il paese sul quale sventola la bandiera blu facendone una perla del turismo pugliese. Bello vero?

Ora resettate. Melendugno, terminale costiero di arrivo del gasdotto intercontinentale TAP (Trans Adriatic Pipeline), di cui sono iniziati proprio ieri i sondaggi. Bel cambio di prospettiva, non trovate?

La società incaricata dichiara che tutto il processo ha seguito l’iter burocratico previsto. E ha ragione. Ma siamo sicuri che valga la pena sconvolgere per qualche anno il tratto di costa, costruire la struttura (anche se, garantiscono dalla società, avrà un basso impatto) e fare di un pezzo di Salento un terminale per risorse energetiche non rinnovabili provenienti dal Mar Caspio e dirette poi verso l’Austria (l’hub di distribuzione del gas è oltralpe) ?

La maggioranza dei sindaci si schiera a fianco al comitato NO-TAP e ha commissionato un’indagine a personale tecnico competente in materia. Ho potuto intervistare uno dei componenti della commissione.

«Ci sono diverse ragioni che dovrebbero scoraggiare l’approdo del gasdotto qui – sostiene l’ingegner Alessandro Manuelli – Dal punto di vista morfologico, la scarpata marina che fronteggia la costa obbliga l’aumento della pressione del gas nella condotta il cui diametro sarà di un  metro. La zona è ricca di Poseidonia alla base della catena alimentare marina. L’area è ad elevato rischio sismico. Non bastasse: non è stato stilato nessun piano dei rischi né un albero delle conseguenze in caso di incidente.»

Rincara la dose il comitato NO-TAP, nel quale affermano che, stando ai piani pubblici visionati, sarà sbancata un’area di pineta e parecchie centinaia di olivi secolari per nascondere sotto terra il danno ambientale di una condotta. Come dire: per non farmi un danno alla mano, me la taglio. Il problema è la sfumatura decisionale che passa dal NO secco locale all’approvazione romana dell’opera, definita “strategica”. In molti, nel Salento, si domandano peraltro come mai i sondaggi di compatibilità si effettuino solo ora, a progetto presentato. Le perplessità ci sono anche sul piano socio-economico.

«Non possiamo venderci oggi il futuro dei nostri figli – dichiara la giornalista Carmen Mancarella – qui c’è gente che vive di turismo e in molti hanno scelto di non emigrare per investire nella nostra terra, farne un mestiere per portare qui gente e condividerne la fortuna di un ambiente con tutti i numeri per fare turismo di qualità. Non voglio andare a fare la cameriera in Australia dopo che mi sono battuta per promuovere la mia regione sperando di costruire un futuro per Salvatore, Carlo e Giuseppe, i miei figli».

Signori politici di Roma e signori Tap, in un’epoca dove si punta sulle fonti energetiche rinnovabili, non posso non condividere questa posizione.

Siamo sinceri: andreste mai al mare in un posto sul cui depliant ci fosse scritto “mare blu, scogliere suggestive, campagne con ulivi secolari e un nuovissimo gasdotto intercontinentale”? Piuttosto, senza estremismi: poco più a nord verso Brindisi c’è una centrale a carbon fossile. Non si potrebbe variare di qualche grado l’inclinazione del gasdotto nel punto in cui si immerge in Albania e farlo spuntare là dove si potrebbe sostituire il carbone col gas e trasportare poi energia anziché combustibile? E poi, in ogni caso, mi piacerebbe dare un’occhiata all’analisi costi benefici, per capire anche quanto costa il tutto e quali saranno i vantaggi reali.

Se mi domando chi a Roma ha analizzato l’opera, temo di conoscere la risposta. Signori,  una preghiera, prima di ogni futura decisione, fatevi un giro in Salento. Sono certo che vi basterà affacciarvi alla scogliera per capire tutto.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Un popolo perso tra i due mari, il Salento misterioso sulle tracce degli antichi Messapi

Questo articolo è pubblicato anche su Il Corriere della Sera

L’alba è solo una striscia lattiginosa in cui galleggia una palla infuocata. Al di qua del mare, sotto un cielo cobalto, le mura della città si colorano appena la luce inizia a gocciolare disegnando i blocchi in pietra che circondano la porta sotto l’occhio delle sentinelle. Dal porto stanno già salendo i pescatori con le casse ancora guizzanti. Nelle vie, il brusio del mercato e le ruote dei carri dicono che i contadini sono già arrivati per vendere la fatica dei loro campi. La scena è di nove secoli fa, la terra è l’estremità sud-orientale della Puglia e il popolo è quello dei Messapi. Non provo neanche a ricordarli dal libro di storia. Non ce la farei a collocarli nella geografia di quelle genti che, pur destinate ad essere assorbite nel territorio di Roma, hanno lasciato tante e tali tracce da richiamare studiosi da tutto il mondo e far appassionare i dilettanti dell’archeologia come me. C’è un fatto che però sorprende tutti. Questa terra è bella oggi come allora.

Castro è un nido di tufo sulla cima di un promontorio che affonda le radici nel blu dell’Adriatico. Per congedarsi dal corridoio blu iniziato nella lontana Venezia, ci incanta con i riflessi magici delle grotte di cui la Zinzulusa è solo la più famosa. Raggiungibile anche col mare mosso grazie a una scalinata, l’ingresso nella terra ha un che di sacrale, come se il rumore delle onde fosse lo spunto per ricordare che in questa parte dell’Italia, la distinzione tra terra è acqua è solo una formalità. Il suo nome deriva dalle numerose stalattiti e stalagmiti che nel dialetto locale sono chiamate «zinzuli», ovvero stracci. La porta che immaginiamo baciata dal sole di un mattino antico non si vede dall’ingresso della grotta, bisogna uscire e aguzzare la vista nella scorpacciata di verdi della vegetazione. I colossali massi perfettamente incastrati fanno pensare alle civiltà megalitiche di certe isole greche, Micene su tutte.

Il picchiettio degli studiosi al lavoro è solo la scusa per infilarsi tra le vie e scoprire, tra gli scorci, quel panorama che con un colpo d’occhio attraversa il mare fino all’Albania. Forse è da lì che sono arrivati i Messapi, popolo di origini illiriche. Il dubbio è d’obbligo perché, in quel meraviglioso melting pot che è il Mediterraneo, la loro origine non ha una precisa collocazione. Il toponimo Messapia fu probabilmente coniato per la prima volta dagli storici greci col significato di «terra tra i due mari » e ben si sposa con quel Salento che è davvero un ponte di olivi e vigne gettato nel blu.

Vaste è l’antica Basta di cui si rinvengono notizie nelle opere di Plinio. È uno dei siti più interessanti per la quantità e la qualità dei reperti che gli scavi hanno restituito al sole di questa terra meravigliosa. Parecchi anni di studio e molte campagne di scavo dell’Università di Lecce hanno permesso di delineare il mondo messapico pur con l’alone di mistero che lo circonda, a partire dalla complessa decifrazione di una lingua la cui pronuncia è ancora ignota. È ben chiaro che qui c’erano città grandi e ben fortificate.

Salendo sul balcone panoramico del Parco del Guerriero, nella frazione di Poggiardo, i 77 ettari dell’insediamento si leggono nelle tracce del doppio muro di pietre che conteneva il terrapieno all’epoca del massimo sviluppo, ipotizzato nel IV sec. a.C. Qui si trova anche una riproduzione dell’ingresso dell’ipogeo delle Cariatidi, ritrovato in quella che era l’area funeraria e oggi centro storico dell’abitato. Le statue originali sono al museo Castromediano di Lecce e al museo Nazionale di Taranto, ma il cinquecentesco Palazzo Baronale affacciato sulla piazza ben rappresenta esempi del tipo di reperti ritrovati nell’area. Stesse imponenti dimensioni si ritrovano anche se si procede in direzione di Lecce. Il capoluogo del Salento che conosciamo per lo splendore barocco, è città messapica. Per rendersene conto basta avvicinare il museo della città, non prima di aver però sostato a Cavallino.

C’è qui un museo diffuso che ripropone una passeggiata difficile da ripetere altrove. Incamminandosi sui tracciati si arriva alle estremità dell’antico abitato. Circondati dall’erba alta, ci si perde nel tempo scoprendo che le porte della cinta muraria hanno ancora lo scavo del passaggio delle ruote dei carri, mentre i pilastri rivelano la presenza lontana dei cardini. Il vento della piana che porta il profumo di terra e cielo pulito appiattisce gli steli ma non alza il sipario sulla contaminazione contemporanea. Il significato profondo del popolo messapico però sta più a sud. Sulla strada per Leuca c’è Tricase, il centro più grande del Capo di Leuca e uno dei più popolosi del Salento. Qui il medioevo è stato una catena di passaggi di feudo che ha lasciato un centro storico d’incanto che le guide turistiche spesso trascurano. Sedersi sul sagrato della chiesa in piazza Pisanelli e ascoltare le rondini è un inno alla vita. Non distante, in direzione del mare c’è la Quercia Vallonea.

Nell’Italia che spesso dimentica i monumenti con radici e rami, questo albero ha sette secoli e una chioma che, si dice, fu in grado di ombreggiare cento cavalieri. Arrivati a Santa Maria di Leuca, la spianata tra il santuario e il faro è un messaggio. La terra finisce, il Bel Paese è tutto alle mie spalle e non riesco a non pensare a un unico meraviglioso sentiero che inizia a Vipiteno e finisce su queste scogliere dove nidificano i gabbiani. Così mi rendo conto di cosa erano i messapi ieri e cosa siamo noi oggi. Ci piaccia o no, custodi di una porta tra le civiltà che i salentini sanno aprire per farsi trovare a braccia aperte. Tutto qui, davvero tutto, ha il sapore di un ritorno a casa.

Questo articolo è pubblicato anche su Il Corriere della Sera