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La tecnoscimmia e lady Marion

Fatemi trascorrere del tempo tra boschi e borghi e vedrete un uomo felice. L’Italia mi aiuta in questo, non devo neanche cercare troppo. In qualsiasi punto mi trovi, basta poca strada ed ecco una torre, un campanile, muri in pietra spuntare ad abbracciare vecchie case.

Poi sono arrivati i telefoni. Quindi gli smartphone. Ed ecco le app. Quelle fotografiche in particolare mi creano dipendenza, al punto che il mio compagno mi definisce una tecnoscimmia per l’ingordigia di quadretti di Italia formato Instagram. Sono al punto che anche quando giro con la reflex scatto pure con il telefono, manco fosse una scialuppa della macchina fotografica seria, mentre quando sono in giro solo col fatidico arnese, beh non mi tiro indietro e vado a raffica.

Una settimana fa incappo in un concorso su Instagram. Vicopisano sta per ritrasformarsi in quello che era, l’avamposto medievale disegnato dal Brunelleschi nella bassa Valdarno. Lo fa con una festa e per la festa bandisce un concorso per gli instagrammers sul tema “borghi e castelli”. Pertecipiamo in parecchi prevalentemente del centro-nord. Con mia sorpresa, non vince una foto toscana ma marchigiana, San Severino per la precisione. Chapeau all’imparzialità della giuria.

La notizia non sta (solo) nel fatto che un concorso toscano premia una foto marchigiana, ma nella realtà che la più contemporanea delle diavolerie tascabili si è sposata benissimo con la promozione del medioevo genuino. Il comune ora invita tutti a calarsi nelle atmosfere medievali armati di cellulare per postare più immagini e questa volta della Vicopisano che torna con le sue taverne, i suoi giocolieri e il suo mercato. E’ un ossimoro? Forse, io lo chiamo dare una nuova linfa a un turismo che trova nuovi spunti per appassionare. Tecnoscimmie comprese. Arrivederci a #Vicopisanomedievale

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Il sensazionale cuore verde d’Italia

C’è un Umbria sensazionale da vedere a Perugia. E’ la collezione Sensational Umbria, un clamoroso viaggio fotografico attraverso le immagini di Steve McCurry. 

La maggior parte di quello che ho cercato e fatto nella vita è stato vagabondare e osservare il mondo. Cosa c’è di più meraviglioso?

Il fotografo più famoso del mondo, professionista simbolo del National Geographic, ha girato in lungo e in largo la regione “cuore verde d’Italia” per documentare persone, luoghi, tradizioni e culture come raramente è stato fatto prima nel nostro paese. Mi piace pensare a questo suo lavoro come a un grand tour della maturità dove gli occhi che hanno visto e fotografato il bello e il brutto di tutto il mondo trovano finalmente pace nel centro del Bel Paese. Il progetto è collegato ad una serie di itinerari e riesce a trasmettere una sensazione di paesaggio che va ben oltre il concetto di natura. 

Le due sedi della mostra, a ridosso delle mura paoline nel centro storico del capoluogo, sono ambienti di sicura suggestione. Il consiglio è quello di visitare il percorso e poi abbandonarsi alla scoperta. Per le foto di McCurry c’è tempo fino a ottobre, per l’Umbria… beh, scegliete voi, per fortuna i paradisi non chiudono mai.

Volete uno spunto in più per immergervi nella atmosfere dei borghi in pietra da protagonisti? Ve ne passo otto. San Biagio a Colle è uno dei pochi posti al mondo dove potreste dormire in una torre solo vostra. Posto indimenticabile 1. L’eremito è un vecchio monastero per scoprirvi protagonisti de Il nome della rosa. Posto indimenticabile 2. Ancora atmosfere monacali, ma più glam e al centro dello spirito di Francesco al Nun di Assisi. Siate castellani per una volta concedendovi la Torre al Monte presso Todi. Fame di cultura e spettacolo? A Spoleto ci sono Palazzo Leti e Villa Milani.  A Piegaro, le atmosfere del Mediterraneo del vicino Lago Trasimeno si respirano alla Ca’ dei Principi. A Bevagna, l’Orto degli Angeli sembra un set cinematografico. Il mio posto segreto, quello dove mi ritirerò un giorno? Sappiate solo che è qui, nella Sensational Umbria. Chiedete di Orietta e ditele che vi mando io. Ps: vietato dormire a finestre chiuse, i grilli e un miliardo di stelle potrebbero offendersi.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Il 2013 tutto da godere

E’ tutto da godere il repertorio 2013 di National Geographic. Concentrata in una multivisione, trovate qui una selezione degli argomenti più coinvolgenti dell’ultima annata, un occhio sul pianeta come nessuna altra realtà educativa ha saputo fare. Ricordate di spaziare con tutte le frecce sullo schermo per attivare anche i filmati. Cliccando sul nome in alto a destra, attiverete gli approfondimenti di testo. Buona visione.

Due foto, due crudeltà, ma la bestia è una sola

Queste sono due immagini “rubate” alla mostra fotografica realizzata in collaborazione con la sezione documentaria della BBC e dal Natural History Museum di Londra.
Vi chiedo di guardarle bene. In entrambe ci sono due vittime. Focalizzate la vostra attenzione sugli sguardi.
Sì, c’è quello delle vittime. E c’è quello degli aggressori.
La differenza sta in questi ultimi. Gli aggressori sono tutti giovani. I cuccioli felini nella savana stanno imparando la legge della natura, la madre ha appoggiato la giovane gazzella lì per insegnare loro a cacciare. Nel trasportarla, il genitore della cucciolata si é premurata di non farle del male.

Il bambino invece sta torturando gratuitamente la scimmietta semplicemente perché nessuno gli ha mai insegnato il valore di una vita. Probabilmente non ha mai letto un libro, altrettanto probabilmente nessun adulto ha mai spiegato lui cosa differenzia gli uomini dagli animali. Quella scimmietta ha lo stesso sguardo terrorizzato che potrebbe avere un uomo. Il bambino invece ha lo sguardo fiero, quello di chi é sicuro che sta facendo qualcosa di cui essere orgoglioso. Potrebbe tranquillamente essere altrettanto crudele con un suo simile, imbracciando un fucile o un macete.

Alla fine, le due foto mi confermano che le bestie non sono gli animali.

Cosa ricorderemo della Costa Concordia?

Ok, Schettino e la vergogna di parlare la sua stessa lingua. Poi?

Di fronte alle immagini del recupero non ho potuto che elogiare la professionalità della squadra, però confesso che tenevo tutte le dita incrociate. Nel mio post precedente ero cosciente della professionalità di chi era coinvolto (cito dal pezzo: “fanno cose straordinarie, dico davvero”), auspicavo la bontà del manufatto (“spot favoloso per la Fincantieri che l’ha costruita”) e dichiaravo il risultato che tutti speravamo (“Per il bene della natura isolana, spero che lo sfidante recuperatore vinca”). Ora il risultato del lavoro è lì da vedere. Ma non è finita qui.

Senza disfattismi o minimizzare, era e rimane comunque lecito porsi delle domande. È catastrofismo? No, realtà. Una necessità umana quella di puntare al meglio (cito uno dei miei critici, che ringrazio: “Operazione recupero effettuata”) rimanendo però pronti anche al peggio, perché alla Natura le stiamo combinando sempre più grosse e queste operazioni sono un esempio di come potremmo (dovremmo) arginare lo scempio che qui, per bravura (lo dico ora ora che la vedo facendo i complimenti al lavoro di squadra) e fortuna non si è manifestato.

Mi rimane un dubbio sul fatto del grattacielo che hanno raddrizzato al Giglio: lì parlano i dati. Ha davvero senso costruire queste città galleggianti quando la loro unica ragione di esistere è rispettare le economie di scala delle compagnie di crociera? Ho ben impresse le immagini di questi colossi galleggianti con gli scatti di Gianni Berengo Gardin. Non essendo un commissario tecnico, un esperto di marketing, o un allenatore di calcio (le categorie in cui molti italiani si riconoscono, ma io no perché farei solo casini) lascio la risposta al buon senso.

Prima o poi dovremo responsabilizzarci sul fatto che le operazioni davvero di successo sono quelle che il danno lo prevengono anziché ripararlo. E che, soprattutto, non tutto si può riparare e risarcire, perché non siamo (ancora) in grado di bere o mangiare i soldi.

La foto del momento in cui morirai

Piaccia o non piaccia, l’unico evento certo naturale della vita a cui nessuno può sfuggire è  la morte. Con le dovute scaramanzie auguro a tutti che giunga il più tardi possibile, intanto però hanno scoperto che in quel preciso istante le nostre cellule comunicheranno tra loro per l’ultima volta con un lampo azzurro. Nelle reazioni studiate su miscroscopici vermi, la morte tra le cellule si è propagata come una specie di passaggio di informazione fluorescente partito dall’intestino. La spiegazione scientifica del processo è quella di un meccanismo di autodistruzione che provoca a cascata la necrosi di tutte le cellule.

“Cercare di comprendere l’invecchiamento e la morte su alcuni vermi può aiutarci a comprendere i processi di invecchiamento cellulare dell’uomo- sostiene David Gems del University Collage di Londra – e può aiutarci a capire meglio certi meccanismi legati ai tumori”. La cosa non mi lascia indifferente, studiare la morte per capire e aiutare la vita è un tema che affascina.
Mi rimangono altre implicazioni. Ammetto di temere la morte, ma solo quella di coloro che mi sono cari, non la mia.

Quando ci sarà lei, in quell’istante non ci sarò più io. Semmai spero che il mio lampo azzurro sia il più veloce e indolore possibile e, nel caso, che il suo brillare dia il meno disturbo possibile a chi mi sta attorno.
Quest’articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Al fotografo cieco è la Terra che suggerisce quando scattare

Se è esistito un grande musicista sordo, è ammissibile un grande fotografo cieco. Il Beethoven dello scatto si chiama Gary Albertson.

Quest’uomo cammina, si ferma, ascolta e immortala con una foto il paesaggio che ha di fronte. Non ci sarebbe nulla di strano se quest’uomo non fosse quasi completamente cieco dal 2010, quando un glaucoma gli ha provocato un danno irreversibile alla vista. Era probabilmente la cosa peggiore che potesse capitare a un fotografo, ma non si è arreso.
“Posso ascoltare e sento cosa succede, mi fido”, dichiara Gary costretto a marchiare la sua attrezzatura con dei grossi bolli gialli per trovarla e raccoglierla quando gli cade. Vederlo camminare nel bosco scavalcando le radici mette tenerezza e allo stesso tempo stupore per come si muove usando sensi che non siano la vista.

Non c’è dubbio che quest’uomo meriti la massima considerazione, come non c’è dubbio che la Terra parli davvero a chi è in grado di ascoltarla. Quel che nessuno si sarebbe aspettato è che la natura fosse addirittura in grado di suggerire quando scattare una foto.