Archivi tag: morte

La foto del momento in cui morirai

Piaccia o non piaccia, l’unico evento certo naturale della vita a cui nessuno può sfuggire è  la morte. Con le dovute scaramanzie auguro a tutti che giunga il più tardi possibile, intanto però hanno scoperto che in quel preciso istante le nostre cellule comunicheranno tra loro per l’ultima volta con un lampo azzurro. Nelle reazioni studiate su miscroscopici vermi, la morte tra le cellule si è propagata come una specie di passaggio di informazione fluorescente partito dall’intestino. La spiegazione scientifica del processo è quella di un meccanismo di autodistruzione che provoca a cascata la necrosi di tutte le cellule.

“Cercare di comprendere l’invecchiamento e la morte su alcuni vermi può aiutarci a comprendere i processi di invecchiamento cellulare dell’uomo- sostiene David Gems del University Collage di Londra – e può aiutarci a capire meglio certi meccanismi legati ai tumori”. La cosa non mi lascia indifferente, studiare la morte per capire e aiutare la vita è un tema che affascina.
Mi rimangono altre implicazioni. Ammetto di temere la morte, ma solo quella di coloro che mi sono cari, non la mia.

Quando ci sarà lei, in quell’istante non ci sarò più io. Semmai spero che il mio lampo azzurro sia il più veloce e indolore possibile e, nel caso, che il suo brillare dia il meno disturbo possibile a chi mi sta attorno.
Quest’articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

La coda sul tetto del mondo, il buon senso resta a valle.

Il sole non è ancora sorto quando la comitiva di dieci persone e due guide è incolonnata appesa a una corda sotto un cielo che sta virando dal carbone al cobalto.

Ogni passo è un’impresa, ogni gesto uno sforzo, le maschere scandiscono il respiro. Basta un niente, ma davvero un niente come scivolare, cadere sulle proprie ginocchia, inciampare in una corda, per creare l’incidente che mette a repentaglio la vita del gruppo e delle guide. Lo illustra bene un filmato di National Geographic di una gita finita in tragedia. Ma l’Everest non è da gita, l’Everest non è per tutti.  Eppure una logica di sfruttamento commerciale vuole farlo diventare, portando in vetta comitiva di gente impreparata. Non bastano pochi giorni di acclimatamento per fare di chiunque un alpinista. Non basta una buona attrezzatura per prevenire l’assideramento.

Analogamente, una certa logica commerciale, se vogliamo ancora più sporca, fa in modo che i grandi alpinisti sponsorizzati da altrettanto grandi marchi diffondano a loro volta il nome delle montagne più alte del mondo. Il denominatore comune di tutti è poter dire “siamo stati lì”, vale per l’alpinista, per il suo sponsor, per i partecipanti della gita. Ecco allora il conflitto. Gli sherpa vedono negli alpinisti e nelle loro spedizioni milionarie un ostacolo al loro pane quotidiano. Gli alpinisti vedono negli sherpa e negli improvvisati gitanti un fastidio alla loro impresa. In qualche punto, lassù, il contrasto: dove non c’è lo spazio per un passo fuori posto non c’è spazio nemmeno per la lucidità di una discussione in caso di contatto. È quello che è successo. Gli sherpa attaccano. L’alpinista, nel caso Simone Moro, si difende.

Se anche è andata così non c’è un torto o una ragione. Dovrebbe esserci solo il buon senso. Ma è il presupposto al buon senso che manca: è davvero utile all’economia locale portare lassù una comitiva improvvisata? O davvero utile per il noto alpinista e il suo sponsor milionario cimentarsi nell’ennesima impresa sulla vetta? Tra le tante alternative, un uomo di buon senso non credo risponderebbe affermativamente a entrambe le domande. Simone Moro è abbastanza intelligente per trovare modo di dare eco alla propria capacità. Gli sherpa potrebbero essere stimolati a promuovere forme di turismo di scoperta che non preveda tornelli da metropolitana ai campi base. Ci sarà tempo per rifletterci a valle?

Questo post è stato pubblicato anche sull’HuffingtonPost.

Tartarughe, l’incredibile viaggio

Le tartarughe sono esseri straordinari e nonostante la simpatia che suscitano non hanno coesistenza facile con la razza umana. Alcune vivono fino a 40 anni, certi esemplari delle Galapagos possono addirittura raddoppiare. Seguendole nel loro ambiente naturale, un documentario racconta la straordinaria esistenza di questa affascinante specie che spesso convive anche nelle nostre case ma che ancora più spesso subisce le conseguenze dell’inciviltà dell’uomo.

Per una tartaruga un insignificante pezzo di plastica buttato senza pensarci diventa una causa di malformazione. Figuriamoci altri ammassi come reti, sacchetti e scarti di confezioni, spesso sinonimo di morte sicura.

Poi c’è chi invece si mette d’animo e organizza una staffetta di soccorso per salvare 35 esemplari dallo spiaggiamento dovuto a scompensazioni climatiche. Qui tutto è finito per il meglio grazie ai volontari e all’intervento di un aereo della guardia costiera USA.

Mangiati un cavallo e vedi come corri

Mi ha incuriosito molto la storia della carne di cavallo usata nei tortellini. Cosí ho cercato in rete di capirne di più, soprattutto per rispondere alla domanda: cos’ha la carne di cavallo che non va?
Risposta 1: in Gran Bretagna, dove è scoppiato il caso, il cavallo è animale di compagnia e sarebbe come mangiare da noi un gatto o un cane (ma visto che in Cina succede… paese che vai, cucina che trovi).
Risposta 2: é quella che ha scatenato i carabinieri dei NAS, mossi dallo stimolo che siamo i primi consumatori di carne di cavallo in Europa.  Quando i cavalli sono scelti per essere inviati ai macelli, pur di fare peso, gli allevatori senza scrupoli caricano sui camion anche animali che hanno trascorso la loro vita a correre nelle gare. I quadrupedi da corsa sono in realtá delle farmacie ambulanti, imbottitissimi di ogni genere di prodotto chimico (anabolizzanti anche altamente nocivi) che é stato somministrato per aumentare le prestazioni. Gli allevatori senza scrupoli queste cose le sanno benissimo, per questo offrirei volentieri loro un piatto di tortellini. Se sono riusciti a creare dei mostri di velocità, non hanno avuto il cuore di dare loro un po’ di riposo se non quello eterno in un raviolo, per questo li ripagherei con la stessa moneta nel farglieli  poi mangiare. Tanto pare che il gusto dell’orrido non manchi, almeno quando ci si siede a certe tavole.
Un’aggiunta last minute:  anche nelle leggendarie polpette dell’Ikea hanno trovato tracce di cavallo. Non solo. Scava e scava i NAS hanno anche trovato batteri fecali nelle torte. Ci voleva uno scienziato per scoprire che dove ci sono i cavalli non manca il letame?