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L’invasione di Putin e il pacifismo da rivedere

Mentre le democrazie stanno a discutere, un uomo, che ha accentrato il potere nelle proprie mani sottomettendo di fatto una nazione, invade uno stato confinante adducendo gli interessi di connazionali minacciati. C’è qualcosa che non funziona. Se pensate a Putin, sappiate che la frase calza perfettamente anche al 1939 con Hitler e la sua gita in Polonia.

In altri tempi si recitava «si vis pacem para bellum» («se vuoi la pace, prepara la guerra»). La frase latina, anonima in questa forma, è presente, in modo poco diverso nella formulazione o nella sostanza, in vari autori. Napoleone compreso. Le armi rimangono i mezzi più efficaci per assicurare la pace perché ci dimostrano in grado di difenderci?

Mi riconosco di più in Gino Strada, quando afferma «Io non sono pacifista, sono contro la guerra». La verità è che mentre il tempo è lineare, la storia è ciclica. Perchè? Semplicemente perché l’uomo vive, pensa e agisce in base a precisi meccanismi. La guerra è uno di questi. Sempre meno utilizzata ma pur sempre utilizzata. Studiare la storia aiuta a prevederla senza per questo essere degli indovini. È la storia stessa che ci insegna che, unendoci e dimostrandoci una compatta marea di ribellione, possiamo provare ad affermare il nostro “no”. Putin, uno che arriva dalla scuola del KGB potrà fregarsene, ma solo finché l’onda gli bagnerà la porta di casa. Sua e/o di qualcuno dei suoi sostenitori con portafoglio.

Non si è dittatori a tempo indeterminato, anche se si ha un discreto successo sul piano mediatico, prima o poi la Storia presenta il suo conto. Una piazza colma, un uomo solo davanti a un carro armato, un papa da un ambasciatore possono accelerare il processo.

Mattarella e La Cava, le pagine di un presidente

Mattarella è un presidente che, a mio parere, è partito col piede giusto. Di lui stiamo leggendo un po’ di tutto e forse iniziamo ad averne le orecchie piene. Vorrei, però, concentrarmi solo per un attimo su un suo gesto perché, se il buongiorno si vede dal mattino, penso che da questa figura possiamo aspettarci molto. Un capo di Stato che comincia dalle Fosse Ardeatine non è solo un uomo che rende omaggio a un eccidio. E’ il segnale che proprio partendo dalla nostra storia bisogna guardare avanti. Non sono le Fosse in quanto tali, mai abbastanza ricordate, ma il gesto del visitarle come primo atto. Sostituiamo pure storia con cultura, tradizioni, eventi che ci hanno segnato, mettete quello che volete ma posso quasi sapere solo il minimo indispensabile di Mattarella per mettere il primo like. Il suo si chiama “rispetto”.

Mi viene in mente una frase di Marguerite Yourcenar:

Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito.

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Per quanto mi riguarda, l’essersi infilato in quella cavità maledetta fa di Mattarella uno che le pagine scritte, piacciano o non piacciano, le legge, le rispetta, le porta con sé. Vedo le Fosse Ardeatine come una biblioteca con 335 storie urlate e spezzate. Con la visita delle scorse ore, sono state raccolte, spolverate e ordinate su uno scaffale e ritornate ad essere davvero un monito contro l’inverno dello spirito.

Trovo un certo parallelismo con un altro uomo, affatto famoso, forse meno titolato, forse senza calcolo politico – non so se Mattarella ne abbia ma qui non mi interessa – forse che non ha subito quello che la vita ha già riservato al neo presidente. Sicuramente è uno che non conoscerà né i riflettori della cronaca, né i saloni pomposi di Roma. Si chiama Antonio La Cava e ha perfino una fan page di facebook che lo acclama presidente della Repubblica. Antonio è un maestro elementare che, dopo 42 anni di servizio, anziché godersi la pensione in santa pace, ha preso un apecar e lo ha trasformato in biblioteca ambulante. Avete letto bene. Gira con il suo biblioautocarro tra i paesini della Lucania a trasmettere la passione per i libri e le storie. 500 chilometri al mese sono davvero tanti e sono quelli che macina tra le piazze annunciandosi al suono di un organetto.

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Ecco, forse, la chiave di tutto. Passione. Grazie Sergio, Grazie Antonio, vecchie pagine e vecchie piazze vi aspettano per essere rinfrescate dal vostro rispetto. Son pronto a scommettere che non ci deluderete.

Post scriptum. Mentre sto per chiudere il pezzo, apprendo che oggi (domenica) il Presidente, quello che sta a Roma, ha scelto di spostarsi a piedi nel centro per rispettare il blocco del traffico come tutti gli altri cittadini. L’esempio scende dall’alto e io gli appioppo subito un altro like.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Anna Frank, 70 anni fa

Anna Frank iniziò a morire il 4 agosto di settant’anni fa. Da quel giorno, non scrisse mai più sul suo amato diario. Perché, il 4 agosto di un lontano 1944 Anna Frank fu arrestata. Aveva da poco compiuto quattordici anni e da due viveva con la sua famiglia e altri quattro ebrei in quello che lei chiamava l’Alloggio segreto.
Il nascondiglio si trovava dietro una libreria all’interno della sezione non utilizzata della ditta di suo padre, Otto Frank, in Prinsengracht 263 ad Amsterdam.
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Anna scriveva così sul suo diario:
“L’Alloggio segreto è un nascondiglio ideale! Anche se è umido e storto non esiste in tutta Amsterdam, né probabilmente in tutta l’Olanda, un nascondiglio più comodo di questo”.
La comodità di quel nascondiglio umido non bastò per salvarle la vita.
Anna tenne un diario fin dal suo tredicesimo compleanno e fu proprio quel quaderno a diventare, in quegli anni di vita clandestina, il suo più fidato amico e interlocutore. In quel rifugio storto, crebbe e tentò di passare da bambina giovane donna, ma quel processo fu interrotto, spezzato con violenza il 4 agosto di settant’anni fa.
Era una calda giornata e il profumo dell’estate era riuscito a penetrare anche dietro quella libreria, quando al quartiere generale della polizia tedesca arrivò una soffiata sul nascondiglio dei clandestini. Era il tradimento. Anna fu tradita a soli quattordici anni.
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anna frank
Julius Dettman, l’ufficiale della SD che rispose al telefono, ordinò al sottufficiale delle SS Karl Silberbauer di recarsi in Prinsengracht. Alcuni poliziotti olandesi lo accompagnarono per aiutarlo.
Anna fu arrestata insieme agli altri clandestini, mentre il sole splendeva alto nel cielo. Iniziava così a morire.
Fu deportata ad Auschwitz, in una stessa baracca con la madre e la sorella. Più tardi, Anna e Margot vennero trasferite a Bergen-Belsen. Lì, nel marzo del 1945, morì. Aveva solo quindici anni.
Non rivide mai più il suo diario, né scrisse né sfoglio un libro per il resto dei suoi brevi giorni.
Questo articolo è tratto dall’Huffington Post.

Prevenire il pericolo prima che nasca: Adolf Hitler

E’ la prova di fine corso di uno studente di cinematografia, Tobias Haase. Il claim è “certi pericoli possono essere prevenuti”, così l’auto attraversa il paese natale di Hitler e in un fuori luogo storico travolge il bambino che diventerà dittatore.

Forse l’autore sapeva a cosa andava incontro, di fatto il filmato è finito sulle pagine dei giornali e la stessa Mercedes, della quale il girato sembra uno spot, si è affrettata a smentire

La storia fa evidentemente paura.