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Renzi o Grillo? Perché sono i ragazzi di Pontassieve che dovrebbero andare in Parlamento

Per chi lavora con la scrittura, i notiziari e i social offrono parecchi spunti di umanità e idee. Alcuni stimoli sono per la positività, altri mettono tristezza.

Tristezza: ho letto del politico di turno col paraocchi  che minaccia crisi di governo (a vanvera come le proprie idee) se un esponente gay (leggi Ivan Scalfarotto) dovesse finire al governo.

Positività: dopo una notizia come la precedente incappo in un post di Miriam, un contatto di Facebook, insegnante precaria e Dj della toscanissima RadioGas. Un suo intervento tratto dalla esperienza di docente mi ha dato la carica.

Da qualche tempo a questa parte, nella prima del liceo di Pontassieve si organizza il cerchio due volte al mese, di solito il sabato, che l’ultima ora del sabato non s’affronta. Praticamente ci mettiamo tutti in cerchio, e chiacchieriamo di quel che ci va. Le volte scorse s’è parlato dell’alcool, della droga e dei ragazzi belli. Oggi, era giustappunto sabato, e ci siamo messi in cerchio.
Io: “di che volete parlare?”
Studentessa: “delle adozioni tra gay!”
Io: “ah, ganzo, si parla dei gay che si adottano tra di loro”
Studentessa (ridendo): “volevo dire delle adozioni da parte dei gay”
Io: “e come mai ti è venuto in mente questo argomento?”
Studentessa: “perché ieri abbiamo iniziato a parlare del nuovo argomento, della famiglia, e siccome secondo me le famiglie sono tutte quelle dove c’è l’amore, le coppie gay formano una famiglia, e se vogliono adottare dei figli la società non vuole”
Io: “e cosa pensi di questo?”
Studentessa: “che non è giusto!”
Studente: “la famiglia non è solo una, sono tante!”
Altra studentessa: “secondo me le coppie dello stesso sesso danno più amore delle coppie normali, perché nelle coppie normali c’è il maschilismo dei babbi!”
Altra studentessa: “ma se una coppia è formata da due babbi e sono tutti e due maschilisti, come si fa???”
Altra studentessa: “profe, ha sentito, la Tizia ha detto un comesichiama, uno stereotipo sessista!”
Studentessa: “però, se i bambini delle coppie gay vengono presi in giro a scuola?”
Altra studentessa “una volta i bambini dei separati venivano presi in giro, poi sono diventati tanti e nessuno ci fa più caso. Anche se ora ci sarebbero delle prese in giro, quando i gay avranno tanti figli, nessuno ci farà più caso e nessuno li prenderà più in giro. Bisogna avere un po’ di pazienza”
Che posso dire? Che il mondo si rivela, a volte, molto migliore del mondo di merda che vogliono farci credere tutti i Giovanardi circolanti. E che dei ragazzini di prima superiore hanno più sale in zucca di tutti i nostri legislatori messi assieme.

Beh, se avete letto fino qui tutto d’un fiato come ho fatto io, sarete (un po’ più) convinti che la società può davvero evolvere nonostante le persone velate e i censori di turno.  Per la cronaca: Scalfarotto sottosegretario, Giovanardi non pervenuto. Due buone notizie in un solo post. Ora al nuovo governo: fate attenzione Signori ministri e Sottosegretari, i ragazzi di Pontassieve si aspettano molto da voi.
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Infradito, a ciascuno la sua, ecologica

Ho ricevuto un po’ di messaggi a strenua difesa delle infradito, calzatura estiva senza eguali per la libertà lasciata al piede ma che ha dei limiti ecologici per il forte impatto ambientale (non si recicla) e la dannosità al sistema articolare del piede e della gamba (non ammortizza).

Non voglio fare di ogni erba un fascio, anche perché adoro le infradito, e ho una serie di soluzioni da proporvi che però impongono delle scelte.

L’infradito della marchigiana Tecnofilm è realizzata in Ecopowerbio ed è completamente biodegradabile. In due anni di dissolve, ma solo se opportunamente compostata e non semplicemente tenendola ai piedi.
Rimane però il problema dell’ammortizzazione.

A questo rimediano i sandali infradito del tipo Crocs. Diciamocelo, non sono tra i più belli ma per esperienza personale riconosco che sono tra le cose più comode che possano avvolgere un piede, anche perchè sono realizzate con un tipo di gomma che permette alla pelle di respirare. Le Crocs, non le loro imitazioni, sono fabbricate in Croslite, un materiale con una base antibatterica che però non è riciclabile. L’azienda ha avviato un programma di riciclo proprio su una  filiera indipendente ma in Italia non è disponibile. Per contro, però, questo tipo di infradito dura molto di più, andando ben oltre la singola stagione. Il prezzo, intorno ai 32 euro, non è paragonabile alle altre infradito ma compete con molte calzature comode.

In ambito sportivo, le infradito di un  marchio da corsa sono di Salomon. Carine, avvolgenti e ben ammortizzate sembrano un buon compromesso tra chi domanda prestazioni (han la suola di un sandalo) e comodità.

Salendo ancora nella fascia di prezzo, tra i comodi evergreen ci sono i Birkenstock. Comodi, eleganti e molto trendy, anche se molto lontani come immagine dalla immortale flipflop da surfista.

Storia della bici al MAK

Vienna é bella di suo, il Museum District sprizza energia ad ogni ora del giorno e perfino della notte, quando i coloratissimi divani ne fanno il salotto del centro storico. Se non bastassero i mille volti della cittá, oggi c’é anche il gay pride, ma la ragione di questo post é una visita al Mak, il museo di arti applicate della capitale austriaca. Non esiste niente di simile in Europa. Anche per chi giá conosce la culla degli Asburgo, consiglio un giro: nella sezione delle mostre temporanee c’é una collezione di bici che ripercorre la storia del pedale e, appena a fianco, una mostra di mobili fai-da-te curiosissima di cui sentiremo parlare presto.
Tra le bici si ammirano capolavori del vintage e chicche come bici da neve e valige a pedali.
Raccomando di girare per Vienna col servizio bici della cittá: costa appena un euro e permette di girare in lungo e in largo per il resto del soggiorno e anche quando deciderete di trascorrere il nuovo soggiorno qui, perché é chiaro che a Vienna si va, ma soprattutto si ritorna.
A fine post, cercatemi al pride.

Il sirenetto, quello vero, esiste e un filmato lo ritrae

Basta ascoltarlo e si direbbe di sentirlo convinto. Poi lo vedi nuotare e, come dire, ti sembra nato per quello. Il suo compagno e la madre (entrambi mammiferi terrestri, pare) sostengono che sia felice. Se non sta recitando, si direbbe dunque che l’uomo sirena esiste. Quindi possiamo iniziare a credere alle fiabe?

La scienza dice di no. Le braccia sarebbero quasi inutili sott´acqua e comunque l’evoluzione ci avrebbe portato piu´ verso una creatura non tanto gradevole a vedersi, neanche tanto dissimile poi dal fake che circola in rete.

Gayart nel cuore delle Dolomiti segrete

Questo articolo è pubblicato anche su Mondo in Tasca

La Val Fiscalina nel Südtirol è un piccolo solco tra pareti di roccia alle spalle delle Dolomiti di Sesto Pusteria. Un minuscolo mondo immerso nella quiete della natura. In inverno si ascoltano i tonfi della neve che cade dai rami, in estate il suono delle cascate

Le Dolomiti da cartolina sono quelle che tutti conoscono e fotografano. Sono, purtroppo, le Dolomiti che sopportano il traffico e il congestionamento, quelle che forse, un giorno, chiuderemo alle auto per lasciarle solo ai mezzi pubblici. Poi ci sono le Dolomiti più nascoste, quelle in cui ti sembra di essere stato catapultato in un angolino di Canada e dove a un certo punto incappi in una baita dove due uomini dipinti ti raccontano di storie e tradizioni che passano anche da Harrer, il protagonista di Sette anni in Tibet. Ecco, queste sono le dolomiti che amo.

Val Fiscalina, quiete assoluta

valfiscalinaSiamo in Val Fiscalina, potreste aver difficoltà a trovarla sulla mappa perché e solo un piccolo solco tra pareti di roccia alle spalle delle Dolomiti di Sesto Pusteria, in Alto Adige – Südtirol. Che si vada in pieno inverno ad ascoltare i tonfi della neve che cade dai rami o in estate quando le cascate diffondono la loro eco tra le cenge, il quadretto è quello di un posto isolato e immerso nella quiete assoluta.
La coltre dei pini all’ingresso della vallata si para a chi arriva come fosse un esercito verde. Le creste sullo sfondo sono aguzze e formano un circo curvo al punto giusto da sembrare una cornice che nasconde qualcosa. Non ci sono impianti di risalita ma solo una pista battuta con a fianco l’anello per lo sci da fondo.

Sci alpinismo ma anche salutari passeggiate

valfisca2Chi pratica lo sci alpinismo può inerpicarsi verso il passo, meglio se accompagnato da una guida, mentre chiunque può invece fare una ciaspolata sull’altopiano che sovrasta Moso. Gli impianti più vicini per lo sci da discesa sono quelli in paese.
Naturalmente si può anche solo staccare la spina e basta, limitandosi magari a camminare e ossigenarsi sul percorso completamente pianeggiante che inizia alla fine della strada.
Il distacco è netto, nell’ultimo parcheggio delle auto finisce il XXI secolo e ci si cala nel silenzio. Sembra incredibile eppure è quello che succede qui dove l’ultima casa della valle è la stazione di posta ora trasformata in un delizioso chalet albergo, friendly per chiunque della montagna cerca l’autentico.

Arte popolare e opere dell’artista Albert Stoltz

valfisca3Autentica come la decorazione dei due selvaggi di cui si raccontava disegnati sulla baita vicino al torrente. Sembrano usciti davvero da un libro di gaycomics appena pubblicato ma risalgono agli inizi del ‘900. Sono disegni di Albert Stoltz, un artista che con i fratelli Ignaz e Rudolf ha lasciato molte opere sulle facciate dell’Alto Adige. All’imbocco della nostra vallata, in località Moso, c’è un museo dedicato al fratello Rudolf che ospita anche opere degli altri membri della famiglia. Albert in particolare divenne famoso come pittore di guerra impegnato sul fronte italo austriaco e le sue opere ci mostrano uno spaccato di vita bellica, con i soldati che combattono coperti di loden tra i ghiacciai in inverno e che lavorano a torso nudo in estate per scavare trincee. La contemporaneità del tratto del disegno rende questo museo fruibile a chiunque sia appassionato di arte popolare. Non da meno è l’impatto delle figure sul muro del vicino cimitero o della via crucis all’interno della chiesa, originale non solo per il tratto ma perché dipinta tutta in toni di blu. Museo e valle sono raggiungibile con una camminata pianeggiate di circa un’ora, è impossibile perdersi grazie allo sterrato che costeggia il fiume.

Heinrich Harrer, avventuriero e alpinista

valfisca4A proposito di camminate, una curiosità non a tutti nota riguarda il personaggio di Heinrich Harrer. Lo conosciamo per aver scritto Sette anni in Tibet e lo immaginiamo con la faccia di Brad Pitt che ne interpretò il ruolo nella trasposizione cinematografica.
Avventuriero e ottimo alpinista, fu maestro di sci ospite per molte stagioni della famiglia che ancora oggi gestisce l’Alte Post al termine della strada. La vecchia stazione di posta è stata infatti sapientemente recuperata e oggi è un romantico nido che accoglie coppie in cerca del paesaggio romantico assoluto o single in ricarica creativa. Cito entrambe le categorie volutamente in quanto parte in causa.

Galleggiare sotto le stelle

valfisca5La spa è alimentata con l’acqua di sorgente, offre la sauna al legno aromatico e i massaggi al tampone di erbe alpine. La piscina riscaldata affacciata al bosco ha una parte all’aperto dove si può galleggiare sotto le stelle. Il ristorante è all’altezza del luogo e delle tradizioni locali attente agli ingredienti a chilometro zero, con i formaggi del contadino e le verdure stagionali dell’orto. C’è un elemento in più che mi piace considerare in un posto così: l’attenzione ecologica che mettono nella gestione si combina con la possibilità di raggiungere la località con i mezzi pubblici combinando il treno fino a Sesto Val Pusteria e poi l’autobus che attraversa Moso e raggiunge la valle, come dire che qui la macchina è davvero superflua. In Alto Adige, tra l’altro, grazie alla Mobil Card, si può viaggiare da uno e sei giorni su ogni mezzo pubblico.

Questo articolo è pubblicato anche su Mondo in Tasca

Musei di carta (riciclata), portati a casa un’opera d’arte

Sapete quanti musei abbiamo in Italia? Ve lo dico io, più o meno 4700. Sommaci tutto quello che è a cielo aperto, ottieni un patrimonio che  richiede un impegno sovrumano per essere preservato e valorizzato come meriterebbe. Una piccola ma encomiabile iniziativa è quella di Musei di Carta. In un momento di difficoltà economiche per il Bel Paese e per il suo patrimonio artistico, Aliantedizioni ha promosso una ricerca ed una mostra dedicate ai musei italiani.

In collaborazione col mondo del Design, sono state individuate alcune proposte di oggetti da vendere nei bookshop dei musei, idee che fossero un piccolo omaggio all’arte italiana, alla sua storia e ai suoi preziosi “scrigni”.
Alcuni interessanti designer italiani sono stati invitati a riflettere su cosa possa essere venduto nei museum-store italiani e a fornire una propria proposta innovativa. Ogni progettista è stato associato ad uno dei più importanti musei nazionali in modo che ogni progetto proposto risultasse immediatamente aderente al tema.
La lista dei musei è stata compilata secondo una logica che ha tenuto conto contemporaneamente di alcuni fattori significativi: il prestigio delle collezioni,
una adeguata rappresentanza delle varie epoche artistiche, il numero di visitatori
per anno ed una quanto più possibile equa distribuzione sul territorio nazionale.
Ai progettisti è stato richiesto di presentare un oggetto-campione, nella forma
di un prototipo in scala reale, che rispondesse a pochi requisiti fondamentali:
– essere pensato e realizzato in carta o cartone riciclati e contemplare il risparmio
di risorse energetiche nella fase di una eventuale produzione in serie;
– svolgere una funzione pratica, magari minima ma reale;
– dimostrare una qualche relazione seppur lontana, velata o ironica al museo associato o a specifiche opere in esso contenute;
– occupare un volume limitato e avere un peso contenuto in modo da risultare
facilmente trasportabile da turisti e visitatori del museo.

Il sito rappresenta la sintesi della ricerca ma vuol essere anche un contributo
alla conoscenza dei musei italiani e uno stimolo alla loro visita.

Molla tutto e vai in Australia. Pagato!

Preciso che è una lotteria nata su una iniziativa dell’ente turistico australiano e non un’offerta di lavoro per meriti. Tenete dunque il curriculum nel cassetto perché qui serve un differente tipo di culum.
Ti danno 100.000 dollari australiani, al cambio più o meno 78.000 euro, per fare sei mesi da loro a lavorare. Ne parlo volentieri perché sono sei attività in cui un ecoista ci si butterebbe subito. Il ranger nei parchi continentali, l’osservatore faunistico delle specie protette e l’avventuriero con lo zaino nell’outback sono le preferite, ma non disdegnerei neppure il fotografo e il food & wine tester.

Ammetto forse che sarei un tantino fuori luogo come esperto di life style e divertimenti, il sesto ruolo, ma penso che mi ci adatterei. A uno dei più interessanti mi ci sono iscritto, non vi dirò quale per scaramanzia e senza illusioni perché in quanto a culum non son mai stato molto forte. Però, se doveste iniziare a leggere dei post dai piedi dell’Ayers Rock, sappiate che è andata in un certo modo.

Un filmato racconta cosa è successo a chi ha vinto l’anno scorso.