Fatti una stazione

Le ferrovie dimenticate sono occasione di gite in bici e a piedi. Specialmente quelle meno importanti, corrono a volte in posti selvaggi dove il paesaggio è praticamente incontaminato e spesso legato a nomi dalla forte attrattività turistica. Tra le prime che mi vengono in mente penso al tratto Sestri Levante – La Spezia (Cinque Terre), alla provincia di Lecce (Salento), al tratto Siena – Grosseto (parco della val d’Orcia), alla dorsale appenninica in quel meraviglioso mondo rurale tra Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria.
Molte volte, pedalando lungo questi selciati, mi sono lasciato trascinare dal sogno di recuperare uno di questi caselli e farne qualcosa di produttivo. Qualcuno ci ha pensato, proponendo ad esempio stazioni di sosta per biciclette o creando la sede di una piccola onlus come è successo nella stazione di Ronciglione. In Liguria, solo per fare un esempio avvicinabile da tutti, consiglio a chi fosse curioso di saperne di più sultratto tra Levanto e Bonassola. Il percorso pianeggiante che passa sul vecchio tracciato dismesso è pedalabile, pattinabile o camminabile dodici mesi l’anno. Ogni finestra nella roccia delle gallerie è un quadro. Ogni spazio tra i tunnel un’oasi per tuffarsi o fare un bagno di sole. Nel passaggio principale hanno perfino organizzato una galleria d’arte.
 
In tutta la penisola, le ferrovie stanno effettivamente dismettendo alcuni loro edifici e chi cerca qualche idea per lanciarsi nel turismo sostenibile dovrebbe leggere la pagina dedicata. Cito il passaggio chiave:
Fanno parte del Patrimonio FS anche 3.000 km di linee ferroviarie dismesse, di cui 325 km sono stati destinati a greenways: piste ciclabili e percorsi verdi accessibili a tutti, riservati alla mobilità dolce. Il Gruppo vuole infatti definire un Piano Nazionale di Greenways, seguendo l’esempio di altre nazioni europee, come la Spagna, con il coinvolgimento delle Istituzioni, in particolare del Ministero dell’Ambiente, delle Regioni, degli Enti Locali e delle principali Associazioni ambientaliste.
Responsabili di associazioni, volontari, appassionati del pedale e del plein air, è il momento di dimostrare che la creatività ha mille sfaccettature, anche sul verde.
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Tempo globale e meteobufale

Cambiamento climatico annunciato dalla BBC e smentito dalla Nasa.
Dopo il global warming e le previsioni di un apocalisse di fuoco per il futuro, porte aperte al global cooling che annuncia l’avvento imminente di una nuova glaciazione.  La notizia pubblicata su molti siti è a commento delle foto NASA che mostrano come, a distanza di 12 mesi dall’estate 2012, la calotta polare artica si sia ampliata di 1.300.000 km quadrati (2,5 volte la Spagna). A chiosa dell’articolo vengono derise le previsioni, considerate a loro tempo autorevoli, della BBC, che nel 2007 davano per scomparso il ghiaccio al polo nord entro il 2013.

I ragionamenti non sono solo attinenti alle beccate giornalistiche, ma implicano anche importanti risvolti commerciali nello sviluppo delle rotte navali nell’emisfero settentrionale. Tradotto: potremmo accorciare i tempi di navigazione e influire sulle quotazioni dei prodotti, aka costerà ancora meno produrre in Cina.

Non sono un meteorologo e non credo attendibili le previsioni oltre la settimana. Però mi colpiscono le tendenze dei dati statistici e il detto che una sola rondine non faccia primavera. Le tendenze delle temperature sono mediamente e oggettivamente in crescita, dimostrando dunque che qualcosa sta cambiando. Che poi sia l’uomo o la termoregolazione di Gaia nessuno è in grado di stabilirlo con assoluta certezza.

E’ importante essere consapevoli di questo, come lo sono le circa 700.000 persone appena scese in piazza in giro per il mondo per ricordare che, a prescindere dalle sorprese che la Terra potrebbe riservarci, siamo solo formichine. Piccoli esseri che comunque debbono un po’ di rispetto al loro formicaio  perché non ne hanno un altro. Mettiamoci sempre nei panni di un ET che arriva da noi e, dopo secoli luce di vuoto e sostanze irrespirabili, trova una bolla azzurra con cascate e foreste e, appena dietro l’angolo, la peggior discarica a mare con a fianco una qualsiasi Ilva di Taranto. Cosa pensereste al suo posto?

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Legno vecchio e poesie di mare

Le vele d’epoca degli yacht 15 metri stazza internazionale in una sera d’autunno a Portofino. La montagna rinfresca l’aria tra le case che non perdono i colori, semmai li fondono con le ombre che scendono dal bosco vicino. Le barche in porto sono allineate all’ormeggio con la prua verso il mare aperto. Le luci sui loro alberi sostituiscono le stelle nel cielo plumbeo. Le sartie si stiracchiano e il legno degli scafi respira, sono le voci di queste signore del mare che stanno raccontandosi le imprese della loro vita. Sono solo a passeggiare sul molo e origlio. 


Ne hanno di esperienze da raccontare. La più anziana, Mariska, è del 1908. Non posso non pensare a questi 106 anni che hanno visto il secolo più travagliato dell’uomo, lo stesso in cui mani sapienti hanno creato e mantenuto uno scafo che sembra la forma lignea dell’onda perfetta. Curioso no? La stessa mano che distrugge e crea.

Una targa al suo interno elenca i nomi dei suoi proprietari, ma quello attuale non vuole definirsi tale. “L’ho solo in consegna prima di passarla al prossimo che la condurrà per mare”, ha raccontato a cena. È il principio della sostenibilità, mantenere non per consumare ma per permettere a chi viene dopo di beneficiarne. Di una barca, del vento, della Terra. Così quando mi invitano a bordo e appoggio i piedi nudi sul ponte in teak avverto sotto di me il mare, il fondale, Gaia.
Tra le persone che hanno vissuto con Mariska anche un pianista. Ne aveva fatto la propria casa e le foto in bianco e nero ritraggono un uomo felice in tutto quel legno. Se mi metto a guardare le insegne degli altri gioielli galleggianti non posso non notare simboli di altri uomini meno anonimi, la corona del Re di Spagna e i colori dei principi Ranieri. Leggo le storie e trovo anche i nomi degli Agnelli, dei Rothschild e di un pezzo di Europa.


Poi, col giorno, le belle signore prendono il largo. Sanno di essere uniche al mondo ma salpano con calma. Poi in mare aperto corrono e sembra che la fatica non le riguardi. Stanno gareggiando sullo sfondo del parco che divide il Golfo di Genova dal Tigullio. Il Portofino Rolex Trophy è la manifestazione che lo Yacht Club Italiano, con la maison orologiera, dedica alle barche che hanno fatto la storia dello yachting mondiale. Sfilano con gli scafi affusolati e 400 metri di vele spiegate a raccogliere la più flebile delle brezze.


Le quattro “sorelle centenarie” MariskaHispaniaTuiga e The Lady Anne appartengono alla famiglia dei 15 metri stazza internazionale e sono accompagnate dalle cugine minori, 12 metri. Tutte ingaggiano un duello dove non scorrerà sangue. È la loro specialità. Le signore son abituate a sfidarsi in mare, salvo poi affiancarsi in porto. E ne sono passati di porti attorno ai loro alberi maestosi. 


La storia che le riguarda è cominciata nel 1908 quando il re Alfonso XIII di Spagna commissiona all’architetto navale William Fife uno yacht di quella che era la classe più all’avanguardia dell’epoca: nasce così Hispania II, varata nel 1909. La barca partecipa a numerose regate e trova un’agguerrita avversaria nella velocissima Mariska. Nel 1909 un amico del re diventa il suo primo e più competitivo rivale. Luis Fernández de Córdoba y Salabert, dodicesimo duca di Medinaceli, si fece costruire Tuiga, dandole il nome swahili delle giraffe per ricordare la sua passione per l’animale che svetta nella savana come il suo scafo svetta sul mare. La leggenda narra che a volte, durante le regate, il duca lascasse le vele per rallentare e lasciar primeggiare il suo sovrano. Quando si dice stile.


La regata è finita, tutte rientrano in porto e i colpi di cannone celebrano la vincitrice. Una Portofino molto diversa dal turistificio dei giorni di punta le abbraccia. Guardo le barche abituate a farsi ammirare e mi convinco ancora una volta che la vera eleganza non abbia età. Ma c’è qualcosa in più. Questi legni da 100 anni assecondano il vento. La scia bianca che lasciano dura solo un attimo prima che il mare la richiuda alla loro poppa. Si muovono senza tracce del proprio passaggio. Una bella lezione vecchia di un secolo ma tanto attuale.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.


Nazisti e froci nelle mura di Lucca

Titolo volutamente forte, per ricordare Bent e la sua trama pesante tra nazismo, omosessualità e Shoah a Lucca.


Passata l’estate della quale quasi nessuno si è accorto, per l’inizio dell’autunno consiglio una passeggiata in una città dove il foliage gioca con architetture preziose. Andate a Lucca. La città è splendida, completamente abbracciata dalle mura che la cingono con alberi secolari. È tra quelle mete italiane conosciute ma non troppo, così da farne godere senza sentirsi formiche turistiche e perdersi tra le numerosissime chiese e torri. Ce ne sono ovunque si appoggi l’occhio. Una in particolare, la torre Guinigi, ha un giardino sulla vetta, come volesse sbandierare l’anima verde della città.

L’occasione di questo weekend è ghiotta perfino per i Lucchesi, che possono godere della visita interna del bastione San Colombano e dello spettacolo che la compagnia “Cervelli in tempesta” ci sta tenendo.

Pavimento in roccia e terra, pareti in mattoni, luci soffuse rendono l’esperienza materica. A disorientare pensa il testo “Bent“, tratto dalla pièce di di Martin Sherman. La messa in scena del regista Lorenzo Tarocchi vi disturberà per i cambi di luoghi negli anfratti, vi offenderà quando dovrete passare tra gli insulti in una galleria di collegamento, vi farà sentire scomodi nella scena finale perché sarete portati a Dachau e allora non saprete più dove guardare. Bella lezione per sentirsi omosessuali, ebrei, zingari, gente invisa al regime. Allora il grande cancello diventerà un reticolato e sarete in prigione per davvero, sotto l’occhio severo e impazzito della follia nazista.


Opera più che mai attuale, in questi momenti in cui gli scemi di turno disegnano svastiche a destra e a manca, le mura di Lucca vi sembreranno qualcos’altro. Un posto così non vi capiterà più di vederlo.


Lo spettacolo è in scena il 21, 22 e 23 settembre (info@cervelliintempesta.it). Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

17000 celle per prendere il volo

L’aereo Solar Impulse vola da solo usando la luce e tenta il giro del mondo. Non è fantascienza. Ben 17000 celle solari coprono due ali più lunghe di quelle di un Boeing 747 o un Airbus 380. Non ha l’aspetto di una frastornante balena volante in grado di ingoiare centinaia di passeggeri con i relativi bagagli. Sembra piuttosto un grande insetto, con le ali a sostenere una piccola cabina centrale e quattro silenziosissimi motori. La sfida è aperta e la data fissata. Questo aereo vuole fare il giro del mondo usando solo l’energia del sole e neanche una goccia di carburante.

C’è davvero bisogno di imprese del genere? Beh, sì. La ricerca passa anche da qui. Bertrand Piccard è il rampollo di una famiglia di pionieri e ha già trasvolato il pianeta su un pallone aerostatico. Dopo il successo con il vento, ora ci riprova col sole. È riuscito a riunire i capitali per costruire un aereo mosso solo col fotovoltaico, miracolo di tecnologia che i grandi costruttori di aeroplani avevano negato potesse vedere la luce oggi. Non a caso nessuno dei loro nomi figura tra gli sponsor o i supporter tecnici.

A112 anni dal primo volo dei fratelli Wright, questa macchina volante tenterà l’impresa nel 2015. Con i suoi 70km/h e le tappe tecniche, impiegherà cinque mesi a fare il giro del pianeta, non segnerà nessun record per la velocità ma sarà una tappa miliare per la tecnologia. Il valore aggiunto, uno dei, è che questo giocattolone è in grado di volare anche di notte. I test sono stati finora tutti positivi, compresa la trasvolata USA da San Francisco a NYC.

Se domani riusciremo davvero a staccarci dal suolo e rimanere in aria senza emissioni abbastanza da girare il nostro pianetino azzurro, non avremo scusanti per fare di più e meglio nell’applicare le tecnologie del solare per spostarci al suolo. Aspetterò con il naso all’insù.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Le balene spiaggiate non sono (solo) i ciccioni sotto l’ombrellone

Abbiamo letto dei cetacei finiti spiaggiati a Vasto. Su sette, purtroppo solo 3 sono riusciti a riprendere il largo. Il fenomeno è tutt’altro che infrequente e spesso la salvezza di questi mammiferi dipende anche dalla prontezza di chi si trovano di fronte sulla spiaggia. I filmati ricordano ancora  l’episodio di Arraial do Cabo in Brasile, quando alle 8 del mattino circa 30 delfini finirono arenati e furono salvati da chi si trovava sull’arenile. Purtroppo non si tratta di un evento raro.

Da una stima sommaria sono qualche migliaio all’anno i cetacei che finiscono a terra e muoiono poi per disidratazione o perché si copre lo sfiatatoio. Cito dal sito dell’università di Pavia:

Lo spiaggiamento, singolo o in massa, di cetacei è un fenomeno ormai conosciuto da tutti e da molto tempo. Le cause che determinano lo spiaggiamento di animali vivi sono al centro di un dibattito aperto che dura ininterrottamente ormai da molti decenni. Le teorie sono varie, ma si può con ragionevole prudenza affermare che tale evento può essere provocato di volta in volta da cause diverse, singole o combinate. Pertanto cause individuali, patologie o comunque situazioni di difficoltà individuale, possono indurre un animale a portarsi in prossimità della costa alla ricerca di un bassofondo sul quale appoggiarsi per poter respirare senza eccessivo sforzo. Se l’animale appartiene a una specie dal comportamento sociale particolarmente sviluppato, può succedere che gli individui del branco seguano fino a terra quello o quelli di loro che sono in difficoltà. Certamente anche cause ambientali, quali ad esempio anomalie locali nel campo geomagnetico, al quale sembra che i cetacei siano sensibili, possono provocare fenomeni di spiaggiamento talvolta anche massiccio.

Nei gruppi, chi decide la rotta è il capobranco, se questo si smarrisce, tutto il resto della comunità è a rischio, almeno finché un altro capobranco non prende la guida. Succede anche per l’uomo, del resto, ma questa è un’altra storia. Nell’alto Tirreno, area conosciuta come il Santuario dei cetacei, c’è un capobranco, anzi una, che è una celebrità. Da circa 15 anni, Matilde accompagna i suoi delfini in prossimità della costa della Versilia e, a distanza di sicurezza, offre spettacolo a chi decide di dedicarsi al whale watching.

Una nota a favore dell’Italia: siamo l’unico paese del Mediterraneo e dell’Europa ad avere organizzato e attivato una rete nazionale per il monitoraggio degli spiaggiamenti dei cetacei e a pubblicarne un consuntivo annuale. La segnalazione di animali spiaggiati da parte dei cittadini deve essere fatta alla Capitaneria di Porto di zona oppure attraverso il numero blu 1530. In questo modo viene tempestivamente attivata la catena operativa creata da Ministero dell’Ambiente e Ministero della Salute per il recupero e lo studio degli animali spiaggiati.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Vicopisano invita a fotografare i centri più antichi d’Italia: Il secolo buio s’illumina sui social

Questo articolo è pubblicato anche su “Il Corriere della Sera

Alzi la spada chi non è mai caduto nella tentazione di frequentare una delle feste medievali che arricchiscono il folclore del Bel Paese. Coi loro stendardi a colorare il cielo e le lanterne a rischiarare muri e pietre, molti paesi italiani azionano una macchina del tempo per tornare all’epoca di giocolieri, indovini, dame e messeri. E tanto meglio se tra un’attrazione e l’altra c’è spazio per le bancarelle e sosta nelle taverne. Sembra che quasi non ci sia posto per il contemporaneo in questi eventi, segnaletica coperta, antenne occultate, automobili bandite. Si può perfino fare a meno del telefonino per una sera. Finché qualcuno non ha avuto un lampo di genio. Se le fiere di paese erano nel Medioevo l’evento più social che si potesse immaginare, nell’era dell’Internet tascabile perché non promuovere un trofeo tra i social contemporanei e chiedere agli igers (i fan del social fotografico Instagram) di misurarsi sul tema dei borghi e dei castelli?

L’idea l’hanno avuta a Vicopisano, provincia di Pisa, 8.500 abitanti radunati ai piedi della magnifica rocca progettata dal Brunelleschi. Il sindaco Juri Taglioli, classe 1969, ha coinvolto gli igers pisani Giovanni Borsari e Nicola Carmignani per diffondere la sfida fotografica. «L’idea del challenge non è del tutto nuova — dichiara Carmignani —, su Instagram le community aiutano a promuovere eventi, grazie alle sfide fotografiche su un tema specifico. Data la Festa Medievale e il borgo di Vicopisano, è stato scelto come tema l’unione delle due cose». «Con gli igers pisani, toscani e italiani — aggiunge Borsari — facciamo molte attività di questo genere ma sono anche organizzati dei veri e propri instameet dove un gruppo di persone appassionate di mobile photography si radunano per passare una giornata insieme per visitare un luogo, un edificio o scoprire qualcosa di curioso, non accessibile diversamente». «In generale troviamo un buon riscontro in questo genere di attività attraverso la condivisione delle fotografie in rete — continua Carmignani —. Dietro le community locali ci sono quasi sempre professionisti che si occupano di comunicazione online o web marketing».

Ne è nato così il challenge #Vicopisanomedievale: per una settimana gli iscritti al social hanno potuto celebrare la medievalità tricolore postando immagini sul tema «borghi e castelli» di tutta la penisola. Per la cronaca, ha vinto uno scatto di San Severino Marche. Quello che più sorprende, però, rimane l’abbinamento tra il medioevo genuino e una delle app di maggior successo. Non è un ossimoro? «Vicopisano era la porta di accesso alla Repubblica pisana — dichiara il sindaco Taglioli, alla Festa Medievale rigorosamente in abito a tema — e fin dall’epoca dei castelli era definita un gioiello. Ci siamo chiesti come potevamo diffondere il più possibile questa bellezza così piena e intatta e la risposta è venuta dai Social. Il gruppo Instagramers di Pisa è molto attivo nella valorizzazione del nostro territorio, abbiamo affidato a loro l’organizzazione di un contest fotografico nazionale che valorizzasse le meraviglie dell’età di mezzo del nostro borgo e dei tanti altri italiani che condividono il nostro stesso glorioso passato». Nel dedalo di viuzze all’ombra della rocca si respirava davvero aria d’altri tempi. Forse stonavano certe bancarelle col registratore di cassa ma hanno impressionato l’affluenza del pubblico, buona parte in costume, e la partecipazione attivissima degli stessi abitanti, genuini animatori riuniti nell’Associazione Festa Medievale. Così, oltre diecimila visitatori hanno decretato il successo della manifestazione e smontato l’ossimoro con passione.

Passione che non ha mancato di coinvolgere i sapori, con la cena medievale all’ingresso della rocca. Saranno anche stati i secoli bui, ma su Instagram e alla festa, il medioevo 2.0 è stato un tripudio di colori e sapori. Al contest sono pervenuti circa duecento scatti raffiguranti borghi del Centro e del Nord, poi gli igers hanno più che raddoppiato i post concentrandosi su Vicopisano. Che questa sia anche una via per rilanciare il turismo? Nessuna pretesa di fare miracoli, ma se pensiamo che in certe aree italiane i borghi languono o vivono l’abbandono, forse iniziative come questa potrebbero essere un aiuto per stimolare la curiosità e rilanciare il territorio. Ben vengano, dunque, le attenzioni che riescono a fermare il degrado. Dopotutto ci hanno sempre insegnato che una bella immagine richiama più di mille parole, così il social socialmente utile potrebbe non essere solo un gioco di parole. #VicopisanoMedievale per credere.

Questo articolo è pubblicato anche su “Il Corriere della Sera

Festa Medievale Vicopisano

L’uomo che ammazza l’orso è un bastardo o uno stupido?

Non ci sto. Non posso accettare l’esito nefasto di una operazione che doveva “proteggere” e invece uccide.

Daniza l’orsa aveva difeso i suoi cuccioli da una minaccia, i politici hanno cavalcato la battaglia della minaccia degli orsi, un agente maldestro sbaglia la dose per narcotizzarla e la uccide.

Traduco: uno sprovveduto molesta gli animali nel loro ambiente, il solito politico fa l’opportunista, l’operatore “ecologico” (ops!) immette un po’ più di goccine nel proiettile.
Ma a chi vogliono darla a bere? Qui assieme a un magistrato serve uno psicologo. Signor ministro, mi aspetto la più dura delle reazioni.
Non volete ascoltare l’ecologista perché infastidisce ed è un fanatico?  Bene, ascoltate il cittadino che paga le tasse. Ridatemi i soldi che è costato il progetto Arctos Life, perché i fatti dimostrano che non solo non siamo in grado di gestirlo, ma qualcuno gli orsi non li vuole proprio.

Non mancano le reazioni.

Ciò che è accaduto all’orsa Daniza non è un incidente né un fatto casuale: è un animalicidio in pieno regola – sostiene l’Enpa, Ente Nazionale Protezione Animali – Consideriamo responsabili di questa morte tutte le autorità che hanno fatto del terrorismo psicologico contro l’orso.

Si accodano anche Lav e Wwf:
Che siano accertate le eventuali responsabilità, per evitare nuove morti di questi preziosi animali, specie protetta dall’Unione Europea verso cui l’Italia è responsabile.

Michela Brambilla, da sempre in prima linea nella difesa degli animali:

Ancora una volta, un animale innocente ha perduto la vita per l’arroganza e l’incapacità dell’uomo. I responsabili politici devono trarre le debite conseguenze, lasciando la propria carica.

Beppe Grillo, dal suo blog, rilancia l’hastag #giustiziaperdaniza e i parlamentari del Movimento Cinque Stelle delle Commissioni Agricoltura e Ambiente commentano:

La morte di Daniza rappresenta, ancora una volta, la vittoria dell’arroganza e della crudeltà di chi si sente superiore alla natura e agli altri esseri viventi e che portando avanti un’azione schizofrenica prima promuove il ripopolamento dei nostri boschi di orsi bruni e poi ne decide l’eradicazione.

Aggiungo una cosa. Il politico avvalla l’operazione per il suo elettorato? Bene, colpiamo una delle principali industrie, quella del turismo. Andiamo in vacanza da altre parti. Noi gli orsi li vogliamo vedere. La montagna era prima loro che nostra. Non lo capiranno con le notizie, proviamo col portafoglio. Vedrai che le cose cambiano. Intanto #giustiziaperdaniza

Marche, vai a meditare sull’infinito

La colpa, o il merito, sarà anche di Leopardi, ma ogni volta che mi capita di andare nelle Marche ci casco. Ogni siepe, ma aggiungo ogni albero o ogni muro in mattoni e pietra, diventa l’appoggio per il mio infinito. Non è un caso che da ogni rilievo di questa regione si veda la distesa azzurra dell’Adriatico. Allora, approfittando dell’estate agli sgoccioli, provo a suggerirvi un itinerario qui  tra natura e spirito.

Lasciando Ancona, puntate dritti nell’entroterra e arrivate a Cingoli, tanto per rendervi conto da uno dei punti più panoramici di come le Marche siano modellate. Vi sembrerà di cavalcare la cresta di una mare di quiete onde verdi. Qui non mancate di godervi la tela di Lorenzo Lotto per la quale Napolitano in persona chiamò il sindaco pregandolo di prestarla alla mostra delle scuderie del Quirinale. “Senza la vostra opera – disse il Presidente – la mostra non sarebbe la stessa”. La Madonna del Rosario vi aspetta nella chiesa di San Domenico e il vostro sarà un incontro estraneo alle masse. Voi e Lotto, soli, non capita tutti i giorni. Apprezzerete anche l’avveniristico sistema di illuminazione offerto da una ditta leader italiana.

Su stradine solitarie, scendete poi verso la provincia di Macerata. Qui perdetevi tra San Severino Marche e Camerino. Castello sulla vetta del colle, piazza ellittica a valle, godevolissimo museo e l’incanto di San Lorenzo in Doliolo per il primo borgo. Brio universitario, il delizioso teatro Marchetti, il gioco di portici del palazzo ducale affacciato sui giardini per il secondo. Proseguendo in direzione di Tolentino, l’abbazia di Chiaravalle di Fiastra è circondata dalla omonima riserva e offre anche ospitalità.

Tornando verso la costa, sarebbe un peccato non fermarsi a Montecosaro. I motivi sono due. La chiesa di Santa Maria a Pie’ di Chienti è un gioiello romanico a due piani sovrapposti, originalissima nelle sue forme. Il paese a monte è un abbraccio di case dal quale la vista spazia tra l’Appennino e il Conero. Il Museo del cinema a pennello a ridosso della porta che immette nel borgo è l’occasione per toccare con mano cimeli del grande schermo, italiano e non. Mi sono lasciato incantare dalla bombetta di Totò e dal manifesto originale di C’era una volta il west accompagnato dallo spartito autografo di Morricone.

Rientrando in direzione di Ancona, la tappa d’obbligo è nella Basilica Pontificia di Loreto. Qui tutto ricorda il Vaticano, compresa la loggia dalla quale di affacciò San Giovanni XXIII inaugurando la stagione dei Papi viaggiatori. Da qualche mese è agibile il percorso degli spalti, unico in Italia per raccontare le dinamiche difensive di una basilica fortificata. Se a Loreto tutto parla di maestosità, una sosta a Portonovo riporta all’essenzialità romanica, con i sassi bianchi cullati dal rumore delle onde.

Il vantaggio di un percorso del genere è quello di poter essere praticato in tutte le stagioni. Mi piace anche perché trovo sempre una pensione o un b&b pronti a calarmi nell’altra dimensione del sentimento marchigiano, quella che soddisfa il palato con i suoi gusti indimenticabili. Che la via per conciliare spirito e carne passi proprio da qui?

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

La tecnoscimmia e lady Marion

Fatemi trascorrere del tempo tra boschi e borghi e vedrete un uomo felice. L’Italia mi aiuta in questo, non devo neanche cercare troppo. In qualsiasi punto mi trovi, basta poca strada ed ecco una torre, un campanile, muri in pietra spuntare ad abbracciare vecchie case.

Poi sono arrivati i telefoni. Quindi gli smartphone. Ed ecco le app. Quelle fotografiche in particolare mi creano dipendenza, al punto che il mio compagno mi definisce una tecnoscimmia per l’ingordigia di quadretti di Italia formato Instagram. Sono al punto che anche quando giro con la reflex scatto pure con il telefono, manco fosse una scialuppa della macchina fotografica seria, mentre quando sono in giro solo col fatidico arnese, beh non mi tiro indietro e vado a raffica.

Una settimana fa incappo in un concorso su Instagram. Vicopisano sta per ritrasformarsi in quello che era, l’avamposto medievale disegnato dal Brunelleschi nella bassa Valdarno. Lo fa con una festa e per la festa bandisce un concorso per gli instagrammers sul tema “borghi e castelli”. Pertecipiamo in parecchi prevalentemente del centro-nord. Con mia sorpresa, non vince una foto toscana ma marchigiana, San Severino per la precisione. Chapeau all’imparzialità della giuria.

La notizia non sta (solo) nel fatto che un concorso toscano premia una foto marchigiana, ma nella realtà che la più contemporanea delle diavolerie tascabili si è sposata benissimo con la promozione del medioevo genuino. Il comune ora invita tutti a calarsi nelle atmosfere medievali armati di cellulare per postare più immagini e questa volta della Vicopisano che torna con le sue taverne, i suoi giocolieri e il suo mercato. E’ un ossimoro? Forse, io lo chiamo dare una nuova linfa a un turismo che trova nuovi spunti per appassionare. Tecnoscimmie comprese. Arrivederci a #Vicopisanomedievale

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.