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10 ricette per riciclare uova e colombe

Pasqua è passata, ma cioccolato delle uova e avanzi di colomba no. Ci sono un bel po’ di modi per inventarsi dei dolci usando come ingredienti base quello che durante le feste non abbiamo avuto il coraggio o la forza di finire. L’autrice si definisce una macchina da guerra antispreco. Dalla gola che mettono le sue ricette non stento a crederlo: dalla nutella di cioccolato al pudding di colombe si prospettano un sacco di merende gustosissime.




Dopo la Terra dei Fuochi, muore la terra dell’acqua

Per la serie “a volte ritornano”, si parla di nuovo della TamOil di Cremona. Breve riassunto delle puntate precedenti: su un’area di quasi 90 campi di calcio si lavora l’oro nero in impianti collegati tra loro da una rete colabrodo dove i tubi sono fatti anche in vecchio klinker. 



Nell’85, il comune approvò alla leggera il rinnovo delle concessioni con la sola opposizione del consigliere radicale. Con le indagini, nel tempo si scopre che non c’erano solo tubi fatiscenti. Un ex dipendente interrogato dai giudici ha spiegato che nella fogna non finiva solo il liquido di lavaggio degli impianti, ma anche il drenaggio. Tradotto se, come me, non siete cinture nere di raffinazione carburanti: il primo lavoro che fa la raffineria è di togliere l’acqua dal greggio, che essendo più leggero, sta in alto, così si apriva una valvola e l’acqua pluf! nelle fogne bella sporca di idrocarburi. 

Ora, con del sano realismo: nessuno mette in dubbio l’importanza dei posti di lavoro, o il dato di fatto che il carburante, piaccia o no, da qualche parte bisogna pur produrlo. Ma i controlli? Dove sono le istituzioni a garantire la posizione dei cittadini? Se al sud c’è la terra dei fuochi, al nord c’è evidentemente la terra dell’acqua (inquinata) che avvelena ed è pericolosamente vicina al nostro principale fiume. E temo che nessuno abbia ancora fatto una statistica delle incidenze di patologie collegate a chi abita nella zona. 

Ricordate quando Erin Brokovich metteva sul tavolo degli avvocati l’acqua delle falde avvelenate? Ecco, comincerei a servirla ai responsabili e chiedere se la darebbero ai loro figli.

E se domani diventassi un bosco, Gibran che direbbe?

Vi piacciono le parole di Gibran e per voi un bosco non è un ammasso di alberi? Se pensate di aver già letto qualcosa di simile, non vi sbagliate. L’urna biodegradabile per le ceneri che, contenendo dei semi, può generare un albero ha riscosso un certo interesse. 

Ora, correndo il rischio di passare per necroforo, segnalo un progetto arrivato alla mia pagina facebook dopo la pubblicazione in questione: un lettore, che ringrazio, mi ha segnalato il progetto Capsula Mundi, il primo progetto italiano di sepoltura naturale.


Due designer italiani, Anna Citelli e Raoul Bretzel, qualche anno fa hanno ideato una capsula biodegradabile in plastica di amido che, opportunamente collocata nel terreno con all’interno il corpo del defunto, diventa una fonte di risorse per gli alberi in crescita. Non si sono limitati al contenitore, ma ne hanno anche immaginato la collocazione. Riunirne un po’ e farne delle riserve. Il progetto è chiaro: basta cimiteri in spigoli di marmo e ben vengano boschi della memoria. La filosofia alla base è quella per cui l’uomo non appartiene solamente alla razza umana, ma alla vita del pianeta nella sua complessità e per questo deve rimanere nel ciclo della trasformazione. Cito dal progetto.

Fin da quando l’uomo ha potuto esprimersi con la scrittura, l’albero simboleggia l’unione tra la terra e il cielo, tra il materiale e l’immateriale, tra il corpo e l’anima. Il mondo vegetale è l’elemento di contatto tra noi, organismi complessi e il mondo minerale, dal quale non possiamo trarre direttamente nutrimento. Per produrre una bara oggi si abbatte un albero ad alto fusto, spesso di essenze pregiate, quindi a lento accrescimento. E’ l’oggetto con il più breve ciclo di vita (è il caso di dirlo) prodotto dalla nostra società, ne consegue il più alto impatto ambientale (la crescita di un albero richiede dai 10 ai 40 anni, a fronte di tre giorni di fruibilità del prodotto!). Capsula Mundi è prodotta con materiale biodegradabile al 100% e realizzato da “plastica” di amido (l’amido si ricava da piante con ricrescita stagionale, quali patate e mais). Capsula Mundi risparmia la vita di un albero e anzi, propone di piantarne uno in più. Un albero accanto all’altro, di essenze diverse a creare un bosco, magari lì dove un bosco è scomparso. Un luogo in cui i bambini potranno andare ad imparare a riconoscere i diversi tipi di alberi (educazione ambientale) oppure in cui recarsi per una passeggiata e ricordarsi di persone che non ci sono più. Un bosco che godrà il rispetto della popolazione e sarà anzi protetto da possibili scempi, grazie al coinvolgimento emotivo di tutta la collettività.

Bellissima la parte del sito dedicata alla scelta del tipo di albero. Fateci un giro, scoprirete qualcosa che magari vi manca sugli alberi. Ad esempio, narra la leggenda che sulla tomba di Adamo, sul monte Tabor, nacque la pianta di ulivo il cui seme proveniva dal paradiso terrestre. Il mio fratello d’anima Alessio, racconta ogni tanto del suo bosco d’ulivi nella valle del Tevere. Da lì la vista spazia tra le colline umbre e l’appennino. Non mi dispiacerebbe immaginarmi lì, un giorno.

Citando Gibran e il suo “Gli alberi sono liriche che la terra scrive sul cielo” (da Sabbia e Spuma, 1926) o, se preferite, Diego Cugia con “Non terrorizzate i vostri bambini con la vita eterna. Ditegli che da morti si diventa alberi. I grandi alberghi degli uccelli.” (da Jack Folla. Alcatraz, 2000), questo è davvero un altro modo di vedere oltre la barriera della vita come la intendiamo. E non crediate che sia contro i principi della religione, perché aver dato le proprie ultime risorse corporee per generare una nuova vita non è contro nessuna legge, divina, umana o scientifica.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

L’anima e l’arte della felicità

«Dicono che l’anima ritrova sempre la strada di casa.»

E’ l’incipit del film animato L’arte della Felicità. Il trailer è tutto un programma che invoglia a guardare il resto. Per chi si domanda dove, prima poi, ci fermeremo.
Il lavoro è firmato da Alessandro Rak e in Italia è passato (oh!) quasi inosservato, nonostante l’ambientazione in una splendida Napoli e i contenuti forti. Il film parla del futuro, quindi parla di tutti noi e ha anche il pregio di essere costato abbastanza poco grazie all’ingegno di un team creativo partenopeo con la media d’età di 30 anni. Siete diffidenti verso le animazioni italiane? Leggete che fior di critiche.

Il volo in punta di becco

Un cucciolo di pellicano perde i genitori dopo una tempesta ma è adottato dal centro di Greystoke Mahone in Tanzania. La confidenza con il personale cresce al punto che la sua storia e l’apprendimento del volo sono ripresi da una angolazione molto particolare.
La storia di come il grosso pennuto (i pellicani adulti superano  i 10 kg) è stato riabilitato è anche riportata nel blog. Da come vola si direbbe che siano riusciti a piazzare la camera in modo non invasivo sul becco. La protuberanza che serve agli uccelli per nutrirsi in certi punto è molto vascolarizzata e un tentativo maldestro di fissare l’apparecchiatura avrebbe provocato grandi dolori a questo cameraman d’eccezione.

Il miracolo del randagio

Della pet therapy abbiamo sentito parlare spesso, decantata come un toccasana in casi di stress o disturbi della psiche. Affiancarsi a un animale da compagnia aiuta, ma nel caso di Frase Booth, 4 anni, si è andati ben oltre. I medici non avevano lasciato speranze: dai 18 mesi il bimbo ha dimostrato i sintomi dell’autismo, un lento inesorabile isolamento in un mondo penetrato solo da pochi e descritto amabilmente da Fulvio Ervas nel suo libro “Se ti abbraccio non aver paura” (Marcos y Marcos).

Nel testo, basato sulla storia vera, un’avventura in moto è l’inizio di una grande esperienza. Nel caso di Frase, è successo invece grazie all’incontro con Billy, un gatto randagio capitato quasi per caso nella vita della famiglia.

La breve intervista alla mamma su YouTube chiarisce tutto in pochi minuti e con immagini che lasciano a bocca aperta. Soprattutto dimostra come il tesoro di una amicizia possa avere risvolti straordinari. E davvero non importa se si hanno due o quattro zampe.

Il sole, ma è solo un film

Cinquant’anni fa lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov immaginava per il New York Times, un 2014 con città sotterranee per sfuggire all’inquinamento e crisi di noia per l’uomo i cui compiti erano ormai svolti solo da robot.

Cosa ha azzeccato e cosa no nelle previsioni?
Sottovalutando la nostra innata ricerca per il bello e per il buono non aveva previsto che qualche sforzo sarebbe stato fatto per preservare certe aree. Fortunatamente non ci siamo giocati ancora tutto. Così pur nel disastro comportamentale che ci impone il progresso, cerchiamo di arginare i danni.

Sicuramente Asimov non sarebbe stupito delle immagini in arrivo dalla città di Pechino. Coi suoi 11,5 milioni di abitanti, la capitale cinese patisce un inquinamento decine di volte superiore alla soglia massima di pericolo segnalata dall’OMS. L’ambasciatore USA ha addirittura rimpatriato la famiglia e chiesto il trasferimento. Gli amministratori locali hanno dovuto rimediare con grandi schermi per dare un effetto emotivo alla popolazione per l’assenza del sole, non dell’ambasciatore. Purtroppo per loro, non è così immediato il rimedio per la qualità dell’aria.

Le altre previsioni di Asimov? Televisioni in 3D, schermi touch, università online, colonie lunari, attacchi di noia e altro. Più o meno ci ha preso. Mancano solo le colonie lunari che per adesso non ci servono e qualcosa sulla noia: ci ha pensato la crisi a farci ingegnare su come dover occupare il tempo. Per il controllo delle prossime previsioni, già commissionate al NYT, appuntamento al 2064.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Cronache dalla Terra degli orsi

Questo blog compie un anno.
Nato quasi per gioco, alimentato dalla passione, speranzoso di essere un po’ utile, sono trascorsi 365 giorni e oltre 27 mila pagine viste. Nessuna illusione: ci sono colossi con cui è impossibile competere per i numeri e la visibilità, ma non interessano i termini di paragone se chi legge aggiunge qualità a quello che è scritto. E sinceramente so che chi ha letto qui, ha quelle qualità che hanno aggiunto valore.
Quindi grazie. Grazie con una novità.
Ho deciso di cambiare nome. E’ da un po’ che ci pensavo. Non che l’ecoista non andasse bene. Un nome così ha il pregio di rendere con immediatezza la vocazione di chi scrive. Però ha il peso di trasmettere l’idea di qualcosa o qualcuno dalle posizioni un po’ estremiste. Piuttosto, fin dal  secondo post con lo strepitoso pezzo di Benni su Calcolino e la punizione extraterrestre, mi piace pensare a un comportamento ecologico praticabile da tutti come se guardassimo la nostra Terra da un luogo lontano, rendendoci conto che una bolla azzurra con foreste, cascate, città d’arte, culture antiche va presa per quello che è: un paradiso. Non importa se il punto di osservazione è sulla Terra stessa, magari in una foresta, su una montagna o in un golfo lontano, quel minimo di distacco ci fa capire che è sbagliato ogni comportamento che non lascia risorse a chi viene dopo, ogni pregiudizio che compromette la serenità di una esistenza pacifica, ogni gesto che lascia dietro di sé una traccia di rovina anziché un lieve passaggio di testimonianza responsabile.
Mi piace allora pensare di essere sulla mia montagna, tra gli orsi, e ascoltare le notizie che arrivano dal basso con la necessaria distanza per poter riconoscere quel che è giusto e quel che invece va migliorato. Senza estremismi.
Dalla terra degli orsi, il riferimento è sospeso tra Buzzati e il post “il giorno in cui sono morto un po’ “,  sarà interessante ascoltare le cronache di quel che succede fuori dal bosco, raccontando le cose belle e quelle meno belle con la certezza tutto è migliorabile.
Buon 2014.

Il menù nel Parco: oggi polpette, avvelenate

Qualcuno ci ha riprovato. Gli orsi sono un fastidio, ma il parco in generale è un fastidio. Pensi che un parco sia un oasi di verde che protegge la natura e fa star meglio l’uomo, ma se giri la medaglia, trovi qualcuno per cui doversi raffrontare con una riserva protetta significa avere dei limiti edilizi, divieti di bracconaggio, restrizioni al pascolo, chiusure al traffico di strade di montagna. Che rovina è?

Ecco allora che nel cuore della riserva integrale del Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise il “qualcuno” passa al contrattacco. Come? Polpette avvelenate per sterminare proprio l’animale simbolo della riserva, l’orso.

Poteva essere una carneficina ma, fortunatamente per gli orsi, i bocconi avvelenati sono stati intercettati dopo alcune segnalazioni di avvelenamento di altri animali di piccola taglia. Qualcuno, dunque, ci ha comunque rimesso la vita. Già nel 2007 due orsi e tre lupi si erano scontrati con la triste realtà dei bocconi avvelenati.
All’epoca il Wwf aveva anche messo una taglia, ma nessun colpevole è stato individuato in 6 anni.

Ho sentito allora Dario Febbo, il direttore del Parco. “Abbiamo 42 guardie che si muovono in 21 pattuglie e controllano 53000 ettari. Chi decide di attentare al nostro patrimonio non è facilmente contrastabile, tanto più se si parla di delinquenza organizzata che conosce bene il territorio”.

L’area del Parco è grande come una provincia ma la controllano solo in 42? “Non ci aiuta il fatto che non possiamo neppure fare intercettazioni ambientali – aggiunge – per quanto attraverso il magistrato ci stiamo muovendo di conseguenza”. Per la cronaca, Febbo mi ha precisato che, stando alle prime analisi, il veleno utilizzato sarebbe una sostanza normalmente acquistabile da chiunque in un consorzio agrario. Far morire un orso o un lupo dopo una sofferenza lancinante è davvero facile, dunque.

Non sono un inquirente, ma vorrei davvero appostarmi con le guardie e aspettare, vederli in faccia questi delinquenti senza scrupoli. Se li trovassi, nessuna tortura o prigione. Semplicemente li inviterei a uno di quei pranzi come solo in centro Italia sanno fare. Il menù? Variazioni di polpette, ora so anche dove procurarmi gli ingredienti!

Questo articolo è stato pubblicato anche sull’Huffington Post.