Bere vino in futuro, comincia col bio.

Secondo un’indagine britannica da qui al 2050 la geografia vinicola europea potrebbe subire dei drastici cambiamenti dovuti alle variazioni climatiche.

La mappa è abbastanza eloquente: stando ai dati, stiamo giocandoci il Piemonte, la Toscana e l’Umbria con quasi tutto il centro Italia (in rosso le zone a rischio, in blu quelle che diventeranno le nuove aree vinicole).

Possiamo fare qualcosa per invertire la tendenza e continuare a goderci il panorama e pedalare tra le vigne? No, non possiamo neanche essere certi che la tendenza climatica prospettata sia corretta, visto che i modelli non stanno dimostrando l’attendibilità sperata nel lungo periodo.
Nel nostro piccolo-piccolissimo, possiamo solo sensibilizzare chi ci circonda sulla necessità di un utilizzo più sostenibile del territorio e lo sviluppo di vigne più resistenti e meglio curate.

Suonerà strano, ma se impariamo a essere più accorti ora nell’uso dell’energia e nelle colture meno intensive, a usare meno i combustibili fossili (meno auto!), chiedere ai governanti il rispetto del territorio, forse possiamo farcela a continuare a bere del buon vino. Se poi volete fare un passo oltre, provate un sorso di vino biologico: dai cuori protetti delle nostre regioni vinicole, qui c’è qualcosa che potrebbe sorprendervi.

Il mondo dopo di noi, la città fantasma di Epecuen

Argentina. A cinquecento chilometri a sud ovest di Buenos Aires, l’acqua del lago di Epecuen è dieci volte più salata della media marina ed è nota per il suo potere terapeutico. Un quarto di secolo fa la tracimazione del bacino ha sommerso la città di Villa Epecuen costringendo gli abitanti alla fuga improvvisa.

Oggi, il ritiro delle acque, illustrato da un servizio fotografico da Worldpress, ha riportato alla luce l’abitato mostrando gli effetti devastanti della corrosione. Il paesaggio suggestiona, con immagini non distanti dai fotogrammi de La terra senza di noi e un messaggio chiaro su cosa accade quando l’uomo si ritira e tutto tende a tornare all’equilibrio iniziale.

Al margine della città non ha mai smesso di vivere il vecchio Pablo, che in una intervista racconta la sua esperienza di uomo che ha assistito alla fine del (suo) mondo.

Dove vado domenica? Ad allenare il pollice verde a Orticola

Se il tuo pollice è verde fino all’osso e hai passione per orti e giardini, questo fine settimana passa a Orticola, nei giardini Montanelli di Milano in via Palestro.

L’edizione 2013 si conferma interessante per i suoi espositori, per la qualità raffinata e la varietà delle piante esposte, per la cultura del verde che tutti i soggetti coinvolti vogliono diffondere e che perseguono come filosofia propria.

Quest’anno Orticola è ancora qualcosa in più e vuole dedicare particolare attenzione al giardino e ai tanti modi con cui le piante possono disegnare, arredare, animare ogni spazio verde o angolo di terra.

Ci facciamo un giro?

Al fotografo cieco è la Terra che suggerisce quando scattare

Se è esistito un grande musicista sordo, è ammissibile un grande fotografo cieco. Il Beethoven dello scatto si chiama Gary Albertson.

Quest’uomo cammina, si ferma, ascolta e immortala con una foto il paesaggio che ha di fronte. Non ci sarebbe nulla di strano se quest’uomo non fosse quasi completamente cieco dal 2010, quando un glaucoma gli ha provocato un danno irreversibile alla vista. Era probabilmente la cosa peggiore che potesse capitare a un fotografo, ma non si è arreso.
“Posso ascoltare e sento cosa succede, mi fido”, dichiara Gary costretto a marchiare la sua attrezzatura con dei grossi bolli gialli per trovarla e raccoglierla quando gli cade. Vederlo camminare nel bosco scavalcando le radici mette tenerezza e allo stesso tempo stupore per come si muove usando sensi che non siano la vista.

Non c’è dubbio che quest’uomo meriti la massima considerazione, come non c’è dubbio che la Terra parli davvero a chi è in grado di ascoltarla. Quel che nessuno si sarebbe aspettato è che la natura fosse addirittura in grado di suggerire quando scattare una foto.

Scopri qui quanto sei vicino a un tumore

Il neoministro Zanonato potrebbe riconsiderare le scelte dell’energia atomica. Ma abbiamo imparato qualcosa da Fukushima o no? Soprattutto: prima di costruire presupposti per nuovi scheletri, il neoministro ha idea di cosa fare di quelli vecchi? 
In Europa ci sono 89 centrali vicine al termine del loro ciclo vitale. Di questi siti, molti sono in prossimità del confine italiano. Ricordo che la prossimità in tema di impianti atomici è molto relativa: Chernobyl dista da Roma circa 1700 km ed ebbe gli effetti che sappiamo sulla nostra alimentazione (latte e alimenti contaminati in tutta Europa). Ci sono però degli effetti che purtroppo non conosciamo e non conosceremo mai.

Ci sono immagini che non vorremmo mai vedere

I siti del nucleare italiano ed europeo, da qui si capisce quanto si è distanti dal rischio

Precisato questo, mi sono domandato cosa succede quando gli impianti vanno dismessi.  Una macchina finisce da un rottamaio, una lavatrice in discarica, l’umido nel cassonetto verde, ma una centrale atomica? Non è un argomento semplice da trattare. Le centrali atomiche nel loro ciclo di vita generano tre tipi di prodotti: quelli altamente radioattivi che sono stati vicino al reattore e decadono in 100.000 anni (come dire che se i primi homo sapiens avessero avuto delle centrali saremmo qui ancora a subirne le conseguenze), quelli mediamente reattivi  e quelli pochissimo reattivi (paragonabili alle scorie prodotte dagli ospedali). Per saperne qualcosa in più basta leggere qui.
Quel che poi rimane della centrale vera e propia, è il problema più grosso e si sta ponendo in Italia con il reattore di Caorso (in provincia di Piacenza). A ruota si ci sarà da pensare a Trino (Vercelli), Latina e Garigliano (Caserta). Poi andranno bonificati i cinque impianti di trattamento del combustibile che erano di servizio agli impianti italiani (due in Piemonte, due in Lazio, uno in Basilicata).  Questa è la mappa del nucleare italiano.  La società che si occupa in Italia di questo genere di smantellamenti è la Sogin (acronimo di Società Gestione Impianti Nucleari). Ha già curato parecchi lavori tra cui lo smontaggio dell’edificio turbine di Latina (14.000 tonnellate, come il ponte di Brooklyn) e dell’acciaio di Caorso (10.000 tonnellate, Torre Eiffel). La società è altamente specializzata nel campo dal nome elegante di decommissioning, riportare cioè allo stato di green field (prato verde) senza alcuna emissione un sito che prima era una entità atomica. I nostri tecnici sono apprezzati anche all’estero e  stando alle affermazioni dell’AD della società Giuseppe Nucci, il lavoro dei prossimi anni sarà la più grande operazione di bonifica ambientale a livello europeo (guarda il video istituzionale) .
Dalle affermazioni di Sogin, è un’agenzia dello stato, apprendo che ad oggi abbiamo spedito oltre confine (destinazione non pervenuta) il 98% delle nostre scorie e che ci serve assolutamente un deposito di scorie italiano. Ne dovremo anzi  fare due, uno di superficie e un altro sotterraneo. Il primo sarà una specie di parco tecnologico (lo definiscono così e mi immagino una Disneyland dell’atomo) destinato a diventare un polo di eccellenza delle ricerca, almeno stando alle affermazioni del video istituzionale. Lo scavo sarà quello destinato invece ad ospitare il peggio della nostra energia atomica. La località iniziale prescelta del 2003 era Scanzano Jonico, ma seguirono reazioni infuocate alla comunica  del decreto legge. In effetti i lucani non l’avevano presa affatto bene e il governo aveva deciso di riconsiderare la scelta del sito, che attualmente è ancora in via definizione. Spetta alla Sogin fornire un elenco dopo un incontro con le località che si candideranno ad ospitare i rifiuti.
Sarò un po’ all’antica, ma mi immagino due scene curiose: la prima i rappresentanti delle località che sgomitano e si picchiano per contendersi il ruolo quando apriranno le selezioni (in Svezia è successo questo). La seconda i tecnici di Sogin che devono scegliere un luogo ad altissima sensibilità che sarà poi amministrato dalla stessa Sogin, come dire che controllato e controllore coincidono. E’ un conto in cui qualcosa non torna, ma intanto il tempo stringe. Presto ci saranno circa 80.000 metri cubi (una fila di TIR di 13 km) di materiale da gestire. La gestione tocca il trasporto, lo stoccaggio, il monitoraggio geologico, dell’aria e della falda  idrica del sito. Prima che l’esecutivo di Monti si arenasse, Passera aveva garantito una risposta entro l’inizio del 2013. Intanto la mappa è pronta e al ritmo a cui la Sogin sta smontando le centrali (sono bravini e procedono celermente) sarà una delle prime scelte che il prossimo governo dovrà affrontare e sono proprio curioso, probabilmente assieme a qualche altro milione di italiani, di scoprire a chi toccherà la patata bollente e le scorie quasi ancora tiepide.
Questo articolo è stato pubblicato anche sull’HuffingtonPost.

Una nave di artisti e ricercatori per sentirsi un po’ Darwin

Un pool di ricercatori e artisti, un navigatore e il suo brigantino si avventurano in luoghi dove la carta recita ancora “unexplored territory”.

Spedizione alla fine del mondo è il documentario vincitore del Trento Film Festival ma soprattutto il racconto di un viaggio che ha davvero il sapore dell’esperienza darwiniana.

La coda sul tetto del mondo, il buon senso resta a valle.

Il sole non è ancora sorto quando la comitiva di dieci persone e due guide è incolonnata appesa a una corda sotto un cielo che sta virando dal carbone al cobalto.

Ogni passo è un’impresa, ogni gesto uno sforzo, le maschere scandiscono il respiro. Basta un niente, ma davvero un niente come scivolare, cadere sulle proprie ginocchia, inciampare in una corda, per creare l’incidente che mette a repentaglio la vita del gruppo e delle guide. Lo illustra bene un filmato di National Geographic di una gita finita in tragedia. Ma l’Everest non è da gita, l’Everest non è per tutti.  Eppure una logica di sfruttamento commerciale vuole farlo diventare, portando in vetta comitiva di gente impreparata. Non bastano pochi giorni di acclimatamento per fare di chiunque un alpinista. Non basta una buona attrezzatura per prevenire l’assideramento.

Analogamente, una certa logica commerciale, se vogliamo ancora più sporca, fa in modo che i grandi alpinisti sponsorizzati da altrettanto grandi marchi diffondano a loro volta il nome delle montagne più alte del mondo. Il denominatore comune di tutti è poter dire “siamo stati lì”, vale per l’alpinista, per il suo sponsor, per i partecipanti della gita. Ecco allora il conflitto. Gli sherpa vedono negli alpinisti e nelle loro spedizioni milionarie un ostacolo al loro pane quotidiano. Gli alpinisti vedono negli sherpa e negli improvvisati gitanti un fastidio alla loro impresa. In qualche punto, lassù, il contrasto: dove non c’è lo spazio per un passo fuori posto non c’è spazio nemmeno per la lucidità di una discussione in caso di contatto. È quello che è successo. Gli sherpa attaccano. L’alpinista, nel caso Simone Moro, si difende.

Se anche è andata così non c’è un torto o una ragione. Dovrebbe esserci solo il buon senso. Ma è il presupposto al buon senso che manca: è davvero utile all’economia locale portare lassù una comitiva improvvisata? O davvero utile per il noto alpinista e il suo sponsor milionario cimentarsi nell’ennesima impresa sulla vetta? Tra le tante alternative, un uomo di buon senso non credo risponderebbe affermativamente a entrambe le domande. Simone Moro è abbastanza intelligente per trovare modo di dare eco alla propria capacità. Gli sherpa potrebbero essere stimolati a promuovere forme di turismo di scoperta che non preveda tornelli da metropolitana ai campi base. Ci sarà tempo per rifletterci a valle?

Questo post è stato pubblicato anche sull’HuffingtonPost.

Lo yoga senza gravità, benessere in volo

Avete mai sentito parlare di Yoga senza gravità?

E’ una sensazione inusuale, un modo per ricavarsi una dimensione di benessere sospesa a mezz’aria, soprattutto una pratica dopo la quale ci si sente davvero in grado di volare. Ci sono almeno 25 diversi benefici, dalla stimolazione ormonale al miglioramento del controllo sugli equilibri del corpo in questa pratica sviluppata oltreoceano. Un’ottima occasione per perdere il contatto da terra e ritrovare se stessi.

I praticanti si stanno diffondendo in Italia, con tanto di gruppo facebook a cui chiedere dove rivolgersi per provarci e qualche video tutorial.

Ridi che invecchi meno e ti si allunga la vita

Hanno dedicato una giornata al sorriso, domenica 5 maggio.

Abbonderá, come dice il proverbio, sulla bocca degli sciocchi, ma almeno allunga e migliora la vita. Se vi pare una sciocchezza da rotocalco, sappiate che i benefici sono documentati dalla ricerca medica. Così emerge che una risata:
>migliora il ricambio d’aria polmonare
>aumenta il flusso sanguigno al cuore
>aumenta le cellule coinvolte dal sistema immunitario
>induce positivitá allungando la vita
>combatte le rughe attivando 15 muscoli facciali
>migliora gli addominali attivando anche qui i muscoli
>induce la produzione di antidrepressivi
>per le donne interessate, addolcisce il latte materno.
Qui finisce la scienza, ma… avete mai pensato che un sorriso rende più attraenti e trasmette un’idea positiva di noi? In effetti è meglio uscire con uno che ha il buon umore addosso che non con un musone, no?