Il Rinoceronte è andato, per sempre

Circola in rete la notizia che è appena stato dichiarato estinto il rinoceronte nero  occidentale. Purtroppo è vero a metà, cioè è estinto ma la dichiarazione ufficiale risale al 2011. Non ne faccio una questione di data. La parte negativa del messaggio è che ci siamo giocati definitivamente il rinoceronte nero. Potremmo pensare: «ma con tutti i problemi che abbiamo, qualcuno sta a parlarmi di un animale dell’Africa che probabilmente non avrei mai incontrato?». Sì.

Se non siamo riusciti, nonostante tutti i segnali di allarme, nel relativamente facile e circoscritto compito di salvare un animale dalla sua estinzione, significa che non solo ci è mancata la capacità, ma anche la volontà di salvare un tassello di natura. Non solo.
Perché sarebbe stato utile avere successo nel salvataggio? Perché c’è comunque stato un certo impegno della comunità internazionale, perché sarebbe stato un segnale nei confronti dei bracconieri, perché sarebbe stato portato alla ribalta l’ostacolo teso alle organizzazioni malavitose internazionali che curano il traffico dei corni di rinoceronte di cui si era già parlato qui.

Mi attacco al magro bottino di uno stimolo: rimangono ancora gruppi di rinoceronte bianco e rinoceronte asiatico al mondo. Google ha investito cinque milioni di dollari in tecnologie di sorveglianza antibracconaggio messe a disposizione di WWF ed enti di ricerca. Che sia un segnale che quella persa con il rinoceronte nero sia solo una battaglia e non la guerra? Speriamo, il dato di fatto è che, almeno ad oggi, il rinoceronte nero è andato. C’è un “almeno” in più, cioè  finché non se ne avvisterà uno, cosa che non avviene dal 2006.

Le droghe naturali che produci in palestra o correndo.

Nel praticare una disciplina sportiva spesso sfugge il confine tra droga e passione. Il praticare uno sport con moderazione e buon senso é sicuramente una prova di carattere che affonda nel volersi bene. Il confine si supera quando la pratica diventa dipendenza, e con la dipendenza si induce un effetto di “ne ho bisogno come se fosse cibo, aria o una droga”. Qui entrano in campo le endorfine e il loro effetto. Intensi momenti di esercizio provocano il rilascio di endocannabinoidi (molecole paragonabili alla cannabis normalmente presenti nel cervello) e endorfine (dalla composizione simile alla morfina).

Un dibattito divulgato dal New York Times in questi giorni si domanda allora se lo sport é un espediente per allontanarsi dalle droghe insegnando una vita più regolare, o se invece le sostituisce con altre. La psicologa Monica Williams evidenzia il rischio di portarsi al limite dello sfinimento non per perseguire il benessere ma per esorcizzare i propri demoni. La domanda che mi pongo però é: di sicuro se esorcizzo i miei demoni sto bene, e non é quindi benessere? Il dibattito é aperto e spazia dal “lo sport é dipendenza ma ne vale la pena” al “il salutismo estremo é il sogno di sconfiggere l’invecchiamento in un delirio di onnipotenza”. C’é un dibattito aperto per leggere tutte le posizioni. Intanto buon allenamento.

UNESCO. 5 nuovi siti nella lista del World Heritage

Divulgata la lista dei nuovi siti riconosciuti come patrimonio naturale dell’umanità dall’UNESCO. L’aggettivo “nuovi” fa ovviamente riferimento solo all’elenco e non certo all’età del paesaggio, tenendo conto che tra i soggetti elevati agli onori della classifica si trova l’Etna, con una anzianità all’anagrafe dei vulcani di circa 500.000 anni, ben portati a giudicare dall’attività sempre scintillante. Nella lista è ben accompagnato dalla catena montuosa cinese dello Xinjiang Tianshan, dalle dune del Pianacate nel deserto di Sonora in Messico, dal Tajik National Park in Tajikistan e dal mare di Sabbia nel Deserto della Namibia.
In tutto il pianeta le realtà naturali che si fregiano del sigillo UNESCO sono 193 e si affiancano alle 759 culturali e alle 29 miste. Se l’Italia la fa da padrona per guidare la classifica culturale, non brilla per lista dedicata alle meraviglie naturali, solo 4 con le Dolomiti (tra Alto Adige – Südtirol, Veneto e Friuli), il Monte San Giorgio (Lombardia), le Eolie (Sicilia) e la new entry Etna. Perché così poche? Perchè i criteri di ammissione nella lista sono particolarmente severi e i furbetti non sono ammessi.
Se vi state domandano quali siano i parametri, eccoli:
> contenere fenomeni naturali superlativi o di eccezionale valore
> essere testimonianze inequivocabili e notevoli degli stadi di vita del pianeta
> analogamente al punto precedente, essere notevoli anche per i processi biologici di sviluppo della vita attraverso gli ecosistemi terrestri e marini
> contenere gli habitat rilevanti del territorio, curando che la diversità biologica autoctona, comprese le eventuali specie minacciate, sia preservata.
Se potremmo difenderci sui primi tre punti, ci sgretoliamo sul quarto.
AAA: cercasi pubblico amministratore pronto a farmi contento smentendomi e iniziando a fornire candidature UNESCO di patrimoni naturali anche da noi.

Questo articolo è pubblicato anche sull’HuffingtonPost.

Infradito, a ciascuno la sua, ecologica

Ho ricevuto un po’ di messaggi a strenua difesa delle infradito, calzatura estiva senza eguali per la libertà lasciata al piede ma che ha dei limiti ecologici per il forte impatto ambientale (non si recicla) e la dannosità al sistema articolare del piede e della gamba (non ammortizza).

Non voglio fare di ogni erba un fascio, anche perché adoro le infradito, e ho una serie di soluzioni da proporvi che però impongono delle scelte.

L’infradito della marchigiana Tecnofilm è realizzata in Ecopowerbio ed è completamente biodegradabile. In due anni di dissolve, ma solo se opportunamente compostata e non semplicemente tenendola ai piedi.
Rimane però il problema dell’ammortizzazione.

A questo rimediano i sandali infradito del tipo Crocs. Diciamocelo, non sono tra i più belli ma per esperienza personale riconosco che sono tra le cose più comode che possano avvolgere un piede, anche perchè sono realizzate con un tipo di gomma che permette alla pelle di respirare. Le Crocs, non le loro imitazioni, sono fabbricate in Croslite, un materiale con una base antibatterica che però non è riciclabile. L’azienda ha avviato un programma di riciclo proprio su una  filiera indipendente ma in Italia non è disponibile. Per contro, però, questo tipo di infradito dura molto di più, andando ben oltre la singola stagione. Il prezzo, intorno ai 32 euro, non è paragonabile alle altre infradito ma compete con molte calzature comode.

In ambito sportivo, le infradito di un  marchio da corsa sono di Salomon. Carine, avvolgenti e ben ammortizzate sembrano un buon compromesso tra chi domanda prestazioni (han la suola di un sandalo) e comodità.

Salendo ancora nella fascia di prezzo, tra i comodi evergreen ci sono i Birkenstock. Comodi, eleganti e molto trendy, anche se molto lontani come immagine dalla immortale flipflop da surfista.

Come saremo tra 100.000 anni

Sempre ammesso che ci si arrivi, tra più o meno mille secoli la razza umana potrebbe trasformarsi assumendo connotati con occhi di cerbiatto.

A sostenerlo è Alan Kwan, esperto di Genomica Computazionale. In modo non evidenziabile dal rendering, lo studioso sostiene anche che avremo una pelle più pigmentata per meglio resistere all’aggressività dei raggi cosmici e ci avvarremo di nanoteconologie per i difetti relativi a vista e udito, compromessi dalle intense attività spaziali che, prevede lo studioso, coinvolgeranno ogni uomo nel suo percorso lavorativo.

Qui la natura è un disegno

Sembra una galleria di suggestive creazioni di astrattismo, invece sono (ottime) foto di ambienti esistenti in natura. Fateci un giro, chissà che non ne traiate ispirazione per un viaggio o il prossimo safari fotografico. Gli scatti sono 17 e spaziano dall’Irlanda alla Namibia passando per gli USA, il Giappone e la terribile porta dell’inferno in Turkmenistan. L’Italia è rappresentata dalle Odle, un po’ pochino direi. Sono sicuro che impegnandoci possiamo aumentare il numero di paesaggi nostrani. Intanto accontentiamoci.

Le polpette di Fido

Vi premetto subito che Fido non è il destinatario del piatto, ne è l’ingrediente. Fermatevi qui se avete un cane o un gatto e non reggete la vista della violenza.

Shangai, una comitiva di giornalisti, gita verso le campagne per soddisfare i gli italiani affamati di tipicità. Accontentati trovando una specie di Gardaland uscita dalle stampe d’epoca, riabilitate con un po’ di contemporaneità grazie al potere dell’elettronica.
Cammino tra le vie con alcune colleghe. Non sanno nulla o molto poco della Cina. Tra i negozi cineserie varie, se non lì dove? Fino alla sezione animali. Sul banco del cibo ci sono le anatre laccate, e quando scrivo laccate intendo precisamente laccate, con finezza mobiliera, di una tinta color ebano da fare invidia a uno studio di notaio. A fianco dei cuccioli assonnati. Sono cagnolini e tartarughe.

«Che carini», dice una collega, ignara.
«Tu sai cosa sono, no?», ribatto.
«Certo, cuccioli in attesa del compratore», lo sguardo di fondo solfeggia anche un “ma mi hai preso per scema?”.
«Esatto. Cuccioli. Solo che il compratore indica anche il tipo e il grado di cottura», dico guardandola, non perché voglia guardar lei, ma perché non ho il coraggio di guardare nella gabbietta.
Per il resto del viaggio, fino alla conferma del nostro accompagnatore su quanto avevo detto, la donna non mi ha rivolto la parola.
Aneddoto a parte, rigorosamente vero, pare che ora in Cina le cose stiano cambiando e qualcuno si stia mobilitando anche dall’interno contro le ricette tradizionali a base di cani.  Le petizioni abbondano in rete e hanno un seguito anche tra i cinesi.
Qui c’è un filmato. Non nasconde nulla. Il dovere di cronaca mi impone di linkarlo, Attenzione però, a me ha bloccato il respiro, NON E’ PER TUTTI. Poi scegliete voi la petizione, ce n’è una redatta da volontari cinesi. Non sono nessuno per imporre alla seconda potenza mondiale di rinnegare le proprie tradizioni. Non sono neppure vegetariano, almeno per ora. Sono però abbastanza adulto e sensibile per chiedere quanto meno, alla stregua di quello che domando per polli, maiali e vitelli, condizioni di vita lontanissime da quelle del filmato.
Se siete arrivati fin qui, vi prego di fare uno sforzo in più: diffondere questo messaggio, perché nessun essere umano mi venga più a chiedere se lo credo scemo quando lui vede un cucciolo mentre purtroppo stiamo guardando una pietanza.

Banane, foresta e borracce

L’acqua del rubinetto è buona (almeno) tanto quanto quella delle bottiglie, risparmia gasolio e plastica per trasportarla e azzera il  rifiuto. Ora fa bene anche direttamente alla foresta.

SIGG, l’azienda svizzera produttrice di borracce, e Cuipo, l’organizzazione che si batte perché nel mondo “occidentale” si abbia maggiore consapevolezza nella tutela della foresta pluviale in via di estinzione, stanno condividendo un progetto.
Quattro bottiglie personalizzate per Cuipo, quattro modelli che dichiarano la nostra volontà di sostenere il progetto: Steve the Sloth, Bring Your Own Bananas, Fight Deforestation e Tiko.

Per ogni borraccia venduta, Cuipo riceverà un contributo in grado di salvare un metro quadrato di foresta pluviale. Le borracce prodotte da SIGG per l’iniziativa, sottolineano la necessità di un’azione urgente verso il più grande polmone verde del pianeta, attraverso un design audace e divertente.

La serie di SIGG Cuipo è disponibile in modelli da 0.6L e 0.3L e ogni borraccia è dotata di un codice di attivazione personalizzato. Di cosa si tratta? Nulla di più semplice: basta inserire il codice sul sito di Cuipo www.cuipo.org per scegliere e preservare il proprio metro quadrato di foresta pluviale a Panama. Le borracce sono disponibili online al sito www.sigg.com o www.cuipo.org e nei negozi SIGG europei.

La batteria arriverà dagli alberi

Pile e accumulatori esausti contengono piombo, cromo, cadmio, rame, zinco, ma soprattutto mercurio. Una pila stilo contiene 1 grammo di mercurio, sufficiente a inquinare 1000 litri d’acqua. Ecco perché vanno assolutamente conferite in discarica e MAI smaltite come indifferenziate.

I problemi delle batterie legati al loro peso in fase d’uso ma soprattutto al loro smaltimento a fine ciclo potrebbero aver trovato una soluzione alla Maryland University.
Una fetta di legno abbinata a strati di stagno potrebbe diventare una batteria durevole ed efficiente, ma soprattutto essere compatibile con l’ambiente.

«L’idea arriva dagli alberi – dicono i ricercatori – le fibre che compongono un tronco possono trattenere acqua altamente mineralizzata e quindi sono ideali per immagazzinare elettroliti, rendendo la struttura legnosa non solo la base ma la struttura attiva della batteria».

Facciamo due conti? Ogni anno si immettono sul mercato europeo 800.000 tonnellate di batterie per auto (come 8 grandi portaerei), 190.000 tonnellate di batterie industriali e 160.000 tonnellate di pile portatili (di cui solo il 30% ricaricabili). Vi rendete conto di quanto minerale (risorsa non rinnovabile) sprechiamo? Il legno almeno, in quanto risorsa coltivabile, potrebbe davvero diventare l’uovo di Colombo, utile nel ciclo di vita per trasformare CO2 in ossigeno e dopo la raccolta per accumulare energia.